John Christopher - I possessori

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Sfuggiti a una catastrofe cosmica i Possessori vagavano negli spazi siderali. Le spore erano state lanciate in tempo con la speranza che potessero ricreare su qualche pianeta remoto quelle creature quasi onnipotenti del cui seme erano portatrici. Le spore viaggiano.. e periscono.. nel gelo incommensurabile dei giganteschi pianeti esterni… ma alcune sopravvivono. Riposano tra i ghiacciai in attesa della vita. E sulla Terra, in Svizzera, uno strano contagio minaccia l’uomo. Pazzia, redivivi, strane cose succedono. Questa strana “presenza” deve essere distrutta!

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«Sono contenta che siamo usciti,» disse Jane. «Qualunque cosa, piuttosto che rimanere lì, e sapere che loro erano sopra di noi.»

«Sentite,» disse Selby. «Mi è venuta in mente una cosa.»

«Cosa?»

«Il nostro compito consiste nel metterci in contatto con i soccorritori prima degli altri… nel caso che il piano di George non vada a buon fine. Noi siamo diretti verso Nidenhaut. Ma l’elicottero era salito dalla valle, e veniva da ovest. Scenderebbe vicino allo chalet prima che noi avessimo la possibilità di attirare l’attenzione dell’equipaggio.»

Si fermarono sulla neve. Jane si strinse addosso l’impermeabile, rabbrividendo.

«Pensa che dovremmo avviarci dall’altra parte?»

«Penso che dovremmo dividerci,» disse Selby. Si rivolse a Douglas. «Lei porti Jane verso Nidenhaut, nel caso che arrivino soccorsi dalla strada. Io andrò verso ovest.»

«Crede che sia prudente dividerci così?»

«Lo ritengo indispensabile. Avremmo dovuto pensarci prima.»

Sembravano dubbiosi, ma Selby tagliò corto. Era inutile rimanere lì a discutere in quel freddo. Si allontanò, avviandosi verso ovest, giù per il pendio, come se fosse deciso a girare alla larga dalla casa.

Quando gli altri due furono fuori di vista, si orientò con le luci lontane e cominciò a risalire. Sebbene fosse molto freddo, la fatica lo faceva sudare. Si trovò a est della casa, e rifece a rovescio il percorso che li aveva portati dietro i capanni. Guardò di nuovo la finestra della mansarda e provò un senso di paura, di indecisione. Il piano poteva fallire in una dozzina di modi diversi, anche se erano presenti tutti e due. E allora anche loro sarebbero stati spacciati, e tutto sarebbe dipeso da Jane e da Douglas, che dovevano attirare l’attenzione dei soccorritori prima degli esseri arroccati nella casa.

La finestra era vuota, come prima, ma Selby arretrò ritraendosi nell’ombra. Pensandoci bene, era assurdo tornare indietro. Doveva fare ciò che aveva detto: avviarsi verso ovest, allontanandosi dalla casa, piazzarsi in un punto dove avrebbe potuto fare segnali all’elicottero quando fosse salito da Montreux. Questa era la sola cosa sensata da fare. George… George poteva essere sacrificato, come tutti.

La paura, che aveva sollevato i suoi dubbi, li risolse. Desiderava disperatamente andarsene, e fu questo a renderglielo impossibile. Alzò di nuovo lo sguardo verso la casa, in fretta, e si lanciò a corsa sulla neve fine come polvere.

Trovò la finestra che era stata sfondata in precedenza, e si arrampicò. La porta in fondo alla stanza era incorniciata di luce. Abbassando la voce, chiamò: «George.» Non vi fu una risposta immediata. Chiamò di nuovo: «George!»

Mentre lo faceva entrare, George disse: «Che razza di idea è questa? È ammattito?»

«È molto semplice,» disse Selby. «Non può farcela da solo. Nessuno ce la farebbe.»

«A uscire? Forse. Ma posso trascinare con me tutti quanti.»

«Non può fare neanche questo. Se le piombano addosso dai due lati… lei è in trappola e loro no. Lei non ha una via d’uscita. Loro ce l’hanno.»

«E crede che faccia molta differenza, essere in due?»

«Può darsi. Se uno di noi sta fuori, e tiene la terrazza sotto tiro con il fucile, mentre l’altro si prepara ad appiccare il fuoco…»

«Il fucile con una sola cartuccia,» fece amaramente George.

«Questo loro non lo sanno. Uno sparo li costringerà ad arretrare, il tempo sufficiente, per noi, per appiccare il fuoco e uscire. Due in più, per cercare di bloccare l’elicottero prima che lo facciano loro. Ed è questo che conta.»

«Sì.» George fece una pausa. «E gli altri due?»

«Sono sulla strada per Nidenhaut. Non torneranno indietro.»

«È già qualcosa.» George sogghignò all’improvviso, gaiamente, come un ragazzo. «Ammetto che non mi divertivo molto, a star solo.»

«È successo niente, di sopra?»

«No. Niente di niente. È questo che cominciava a darmi sui nervi.»

Selby disse: «Mi è venuto in mente che anche loro avrebbero potuto avere la stessa idea.» George lo guardò senza capire. «Il fuoco, voglio dire. Ma non credo che lo faranno senza aver tentato prima qualcosa d’altro.»

«Ha idea di quel che potrebbero fare?»

«No. Ma penso che dovremmo aprire la porta, e uno di noi dovrebbe sorvegliarla con il fucile. E l’altro, di guardia alla scala, pronto ad appiccare il fuoco.»

«Mi pare giusto.» George porse il fucile a Selby. «Allora prenda questo.»

«Sarebbe meglio viceversa.»

George lo fissò diffidente. «Perché?»

«Per due ragioni. Una, non sono abituato al fucile. L’altra, quando sarà stato sparato anche il secondo colpo, forse sarà necessario usare il fucile come una clava. E lei è più robusto e pesante di me.»

«E a lei toccherebbe appiccare il fuoco.»

«Sì. Mi sono qualificato come Boy Scout accendendo un fuoco nella New Forest in un piovoso giorno d’aprile. È una delle mie qualità più brillanti.»

George rifletté. «Sta bene. Ma se la chiamo fuori, lei viene subito. Chiaro?»

Selby annuì. «Chiaro.»

Il tempo passò lentamente e, come George, Selby si sentì invadere da un senso d’incertezza. Tuttavia, si disse, non era orribile come sarebbe stato se avesse dovuto attendere da solo. Sentiva il ritmo del respiro di George, qualche colpo di tosse. Di tanto in tanto si parlavano, ma il conforto più grande consisteva nel sapere che l’altro era là. La comunicazione tra gli esseri umani può offrire molte illusioni: ma la sua assenza è una cruda realtà.

Nelle sue riflessioni, si allontanava il più possibile da quel luogo e da quel momento, perché rimanere prigioniero nel presente significava pensare a Elizabeth, e pensare a lei era inutile. Riconsiderò i casi di cui avrebbe dovuto occuparsi molto presto alla Clinica, se tutto andava bene. La grossa voglia della piccola Minchin, il naso arrogante che Gordon Moncrieff voleva affinato e raddrizzato, i seni su cui Helen Enderby, una vedova ansiosa di risposarsi, sospirava tanto davanti allo specchio della toeletta. Selby pianificò ogni intervento meticolosamente, dettagliatamente.

Le tre. George si mosse, respirando pesantemente. Doveva fare freddo, accanto alla porta aperta. Lì nel corridoio non andava troppo male. Selby aveva la lampada, ma l’avevano spenta quando era incominciata l’attesa. Si frugò in tasca, cercando i fiammiferi. Per un momento di terribile apprensione, pensò che non ci fossero: e poi li trovò.

Un rumore. Guardò di nuovo l’orologio. Le quattro e dieci. Uno strascichio pesante di un oggetto di legno, dall’alto delle scale. Poi dal punto dove stava George venne un sibilo sommesso: aveva sentito anche lui. Poi Selby udì George muoversi cautamente, aprire la porta. Lo scorse per un momento, profilato contro la fioca luce esterna. Aprì appena la scatoletta, toccò i fiammiferi con la punta delle dita, per rassicurarsi. La porta venne richiusa, e George restò fuori. Si sentì impaurito, e atrocemente solo.

Ancora uno strascichio, e poi il suono inconfondibile della porta che si apriva, in cima alle scale. Un po’ di luce scese fino a lui, obliquamente. Si appiattì contro la parete. Dei passi. Una voce. Lui avrebbe voluto urlare. Elizabeth.

«Selby?» fece lei. «Sei lì, Selby? Voglio parlarti.»

La sua voce, eppure non era la sua voce. Le inflessioni, il timbro erano esatti, ma non era lei. C’era una lentezza strascicata.

«Vieni su, Selby,» disse la voce. E poi, con grottesca oscenità: «Vieni su, tesoro.»

Qualunque cosa fosse ciò che si serviva della voce di lei, lui l’odiava come non aveva mai odiato niente, in vita sua. Sarebbe stato capace di strappare a brani la carne di lei pur di arrivare a colpire l’essere che l’occupava e la tradiva. Se avesse avuto il fucile, sentiva che non sarebbe riuscito a trattenersi dal correre avanti, a sparare.

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