Bob Shaw - Autocombustione umana

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Autocombustione umana: краткое содержание, описание и аннотация

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Nella cittadina americana di Whiteford una ragazza va in cucina a preparare il caffè lasciando il padre seduto nella sua poltrona. Quando ritorna dopo pochi minuti, la stanza è piena di fumo ma non c’è più incendio: ciò che è bruciato (dall’interno) e ridotto in finissima cenere, è soltanto suo padre. Si scopre allora che testimonianze più o meno credibili sul fenomeno del CUS (Combustione Umana Spontanea) si erano avute fin dall’antichità. E pochi giorni dopo, nella stessa cittadina — un secondo caso si verifica sotto gli occhi dello stesso scettico giornalista che sta indagando sul primo. L’“autocombustione umana” è ormai un fatto accertato. Resta solo da spiegare chi o che cosa “si nasconda” dietro il mostruoso fenomeno.

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La stai prendendo dal verso sbagliato si disse. Se non riesci a smettere di pensare, cerca almeno di farlo in modo positivo, di capitalizzare l’eccesso d’energia mentale. Cerca di penetrare il futuro…

Il Thrabben doveva essere posto sulla superficie di Mercurio fra ventidue giorni, non appena la Quicksilver avesse raggiunto il pianeta e fosse entrata in un’orbita polare. Jerome provò un brivido elettrizzante nel visualizzare il minuscolo guscio di metallo che in quel momento stava lentamente avvicinandosi.

I tre uomini a bordo avevano viaggiato per diverse emozionanti settimane, e per uno di loro quello era un viaggio di ritorno. Quello che stilla Terra era l’astronauta Charles Baumanis, era in realtà un supertelepate dorriniano che aveva effettuato un transfer mentale dodici anni prima. Dopo l’atterraggio, e mentre i suoi due compagni esaminavano il supposto frammento di una nave interstellare, lui si sarebbe allontanato per un breve tratto per raggiungere il punto dove era stato messo il Thrabben, e se lo sarebbe infilato di nascosto in tasca. Fatta eccezione per i Guardiani, erano pochi quelli che avevano visto lo scrigno dei Quattromila, ma avevano detto a Jerome che assomigliava a un piccolo opale. Era davvero un paradosso che l’ingegneria psichica dorriniana fosse arrivata a un tal grado di perfezione da inglobare quattromila personalità umane nelle molecole di un singolo cristallo, e nello stesso tempo costruisse manufatti su larga scala che Henry Ford avrebbe potuto migliorare senza difficoltà.

Il gioiello lenticolare del Thrabben era inserito in un anello di platino in modo che il Dorriniano, Rithan Tell Marmorc, potesse trasportarlo senza che nessuno se ne accorgesse alla base di CryoCare. L’immaginazione di Jerome arrivava fino a questo punto… ma poi?

«Posso entrare?» La donna che aveva parlato stava sulla soglia dell’arco d’ingresso privo di porta.

Jerome si sollevò puntellandosi su un gomito, sorpreso ma contento che Donna avesse cambiato i suoi piani, ma poi si accorse che la sagoma sulla soglia apparteneva a una giovane in abito dorriniano. «Vi… vi conosco?»

«Ci siamo già incontrati una volta. Mi chiamo Avlan Fell Commelva.» La donna si avvicinò al letto e si fermò a guardarlo restando in piedi. Probabilmente era bella nella luce cruda dei corridoi, ma nella penombra della camera da letto il suo viso aveva la disumana bellezza di un’antica principessa egiziana. L’espressione era enigmatica, fra la bramosia e il disprezzo.

«Temo di non ricordare» disse Jerome alzandosi a sedere in modo da poterla guardare meglio.

Le camiciole a strisce unisex non avevano una funzione pratica in quanto nel caldo ambiente di Cuthranel non c’era bisogno di coprirsi, e le strisce grigioazzurre di quella donna si erano divise mettendo a nudo i seni. Jerome si sentì percorrere da un fremito notando che i capezzoli erano eretti.

«Mi trovavo nella sala ricovero quando siete stato trasferito.»

Jerome rievocò l’immagine dei suoi primi momenti su Mercurio, e rivide quella della donna che si era coperta la faccia con le mani, in preda alla disperazione.

«Credo di capire.»

«Dopo di allora vi ho evitato» riprese la donna con voce calda e intensa. «Amavo Okra Blamene… e vi odiavo perché avevate invaso il suo corpo.»

«Non ero stato io a volerlo.»

«Questo è ovvio. Ma allora ero fuori di me.» Avlan allungò lentamente la mano a sfiorargli il viso, con circospezione, come se si aspettasse di incontrare il vuoto. «Non sopportavo neppure di pensare a Orkra, i primi tempi, ma poi ho cominciato a sentire che io stessa sarei stata in parte colpevole del suo assassinio se avessi negato che era esistito. Ho imparato a consolarmi ricordandolo, e vorrei farlo materialmente, ma non sarebbe leale nei vostri confronti.»

«No, perché siete sincera» rispose Jerome tornando a sdraiarsi. «Be’ comunque è meglio di qualsiasi cosa mi sia capitata di recente.»

«Grazie» Avlan s’interruppe per sfilare la camiciola. «Potrei chiamarti Orkra?»

Jerome pensò a sua moglie che aveva fatto parte di un’altra vita. «Come vuoi… può darsi che anch’io ti chiami con un altro nome.»

9

«Ho ricevuto alcuni rapporti sul vostro conto, Rayner» disse Pirt Sull Conforden con aria pensosa, la pelle bianca e immacolata che pareva un guscio d’uovo alla luce del globo appeso al soffitto. «Ho sentito che non andate molto d’accordo coi supervisori.»

Jerome sospirò. «Se alludete a Glevdane… mi scuso. Non volevo punzecchiarlo, ma è un po’ troppo sciovinista.»

«Un dorriniano non può essere sciovinista. Criticando il lavoro dei Guardiani è come se criticaste i Guardiani stessi, e, per deduzione, i Quattromila.»

Dov’è il mio dizionario delle risposte diplomatiche? pensò Jerome. «Mi dispiace. Mi preoccupavo solo che il Thrabben raggiunga sano e salvo la Terra.» Guardò Sednik e Thwaite seduti al tavolo come nel primo colloquio. Avevano un’espressione seria e studiatamente neutrale, ma Jerome sentiva l’animosità di Zednik.

«Accetterò per vere le vostre parole, senza indagare più a fondo» disse Conforden.

«Non ho segreti, se è questo che intendete. Al pari di voi, non vedo l’ora di andarmene da questa topaia» dichiarò Jerome.

«Devi essere più rispettoso col Direttore» lo rimproverò Zednik. Jerome annuì con ironica sottomissione. Fin dal primo incontro era sorto dell’antagonismo fra loro, in massima parte perché Jerome s’era rifiutato di riconoscere l’autorità di Zednik, più vecchio di lui e sindaco del Recinto. Zednik era sceriffo di una cittadina della Florida quando era stato trasferito, nel 1950, e per quarant’anni aveva ricoperto cariche civiche nel Recinto. Jerome, che considerava il posto solo e unicamente come una prigione, non voleva stare al gioco.

«Non fa niente, Mei, comincio ad abituarmi al modo di esprimersi di Rayner» disse Conforden, e tornando a Jerome: «Mi hanno anche riferito che fate gli straordinari, nel tunnel.»

Jerome annuì. «Per lo stesso motivo.»

«E che grazie al vostro intervento avete salvato la vita di un uomo.»

«Non voglio una medaglia che fori la tuta» disse Jerome. «Ma dove volete andare a parare?»

«Il Thrabben sarà trasportato domani sulla superficie. Naturalmente solo i Guardiani lo possono avvicinare, ma io ho deciso che facciate parte della squadra di operai del seguito. Per noi questo è un grande onore» aggiunse con un breve sorriso, «voi forse potrete considerarlo un ulteriore passo sulla strada che porta alla Terra. Accettate?»

«Lieto di farlo» si limitò a dire Jerome, celando la smania che si era improvvisamente impossessata di lui, il bisogno ardente di alzare la testa e guardare oltre l’orizzonte nella profondità dello spazio. Forse sarebbe perfino riuscito a individuare il puntolino luminoso della Terra — oceani, montagne, pascoli, città con parchi e biblioteche — tutto compresso in un’unica scintilla. Non avrebbe potuto chiedere una ricompensa migliore per il suo lavoro.

«Scusatemi, Direttore» intervenne Zednik, «ma questo è contrario alle decisioni che abbiamo preso alla riunione del Consiglio del Recinto. Credevo che dovessi decidere io quali saranno i Terrestri che scorteranno il Thrabben. Secondo me, l’onore dovrebbe essere conferito all’operaio che ha lavorato per più tempo nel tunnel.»

«Non stiamo parlando di una parata» ribatté Conforden. «Rayner potrebbe rendersi utile in qualche modo, anche se è inconcepibile che qualcosa possa andare storto a questo punto.»

Le ultime parole famose pensò Jerome osservando il misto di eccitazione e di orgoglio sulla faccia giovane-vecchia di Conforden. È stata la superbia a farmi finire qui.

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