Harry Harrison - Largo! Largo!

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1999: automazione, società del benessere totale, gite sulla Luna per i “weekend”… o un mondo sovraffollato che, all’alba del nuovo millennio, è sull’orlo della catastrofe? Un mondo in cui miliardi di esseri umani sono ogni giorno di fronte al problema di estinguere la propria sete e di saziare la propria fame, vivendo di lenticchie, di farina di soja e (se hanno un colpo di fortuna, ogni tanto) di un topo morto. In una città con 35 milioni di abitanti, Andy Rush è impegnato nella caccia, solitaria e quasi impossibile, a un assassino di cui non importa niente a nessuno, nel mezzo del caotico travaglio quotidiano per la sopravvivenza. E quando infine nasce l’anno 2000, che suono ha l’augurio: “Buon secolo nuovo?”

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Sol gettò la mannaia sul tavolo e corse ad aprire. Andy si precipitò dentro, sudato e ansante, chiuse la porta dietro di sé e si mise a parlare a bassa voce, nonostante l'eccitazione.

«Senti, riempi il serbatoio dell'acqua e due canestri, e qualsiasi altro recipiente disponibile. Potresti anche chiudere il lavandino e riempirlo d'acqua. Riempi tutti i bidoni che puoi alla nostra fontana, ma se si accorgono che torni troppo spesso, vai alla fontana della 28 aStrada. Ma spicciati, Sol; Shirl ti aiuterà.»

«Che cosa sta succedendo?»

«Cristo! Non far domande. Va' e basta. Non vi avrei dovuto dire niente di tutto ciò. Non lasciate capire che ve l'ho detto io, o saranno guai. Devo tornare in ufficio prima che si accorgano della mia assenza.» Scappò rapidamente com'era venuto, sbatté la porta e sentirono i suoi passi che si allontanavano.

«Ma cos'era tutto quel trambusto?» chiese Shirl.

«Lo sapremo poi,» fece Sol infilandosi i sandali. «Ora dobbiamo muoverci. È la prima volta che Andy si comporta così e io che sono vecchio m'impressiono facilmente. C'è un altro bidone nella vostra stanza.»

Erano i soli ad apparire preoccupati, e Shirl si chiese a che cosa volesse alludere Andy. Vi erano solo due donne ad aspettare nella fila, una di esse aveva una sola bottiglia da riempire. Sol aiutò a portare i bidoni pieni fino alla porta, ma Shirl insistette per portarli su per le scale.

«Mi farà perdere un po' di grasso sui fianchi,» disse. «Io porterò giù i vuoti e voi tornerete a far la coda mentre io svuoto i pieni in casa.»

Ora la coda era un po' più lunga, ma nulla d'insolito. Era l'ora in cui la gente cominciava ad arrivare per essere sicura di avere un po' d'acqua prima della chiusura di mezzogiorno.

«Devi avere molta sete, nonno,» disse il poliziotto di guardia quando arrivarono alla fontana. «Non sei già venuto a rifornirti?»

«E con questo?» ribatté Sol puntando la barba verso il poliziotto. «Improvvisamente vi pagano per farmi i conti in tasca? E se volessi fare un bagno, una volta tanto, per non puzzare come certa gente che potrei nominare se volessi…»

«Comodo, comodo, nonnino.»

«Non sono tuo nonno, cagnotto, visto che non mi sono ancora suicidato, cosa che farei subito se lo fossi. Questa poi! Così, a un tratto, i poliziotti si mettono a contare quant'acqua prende la gente?»

Il poliziotto fece un passo indietro e voltò le spalle. Sol riempì i contenitori, sempre brontolando, e Shirl l'aiutò a portarli da un lato per avvitare il tappo. Avevano appena finito quando un sergente in motocicletta piombò sulla fontana.

«Chiudete la fonte,» disse. «Per tutto il giorno…»

Le donne che aspettavano in fila per riempire i loro secchi urlarono e corsero verso il rubinetto, inciampando, scavalcandosi per tentare di prendere un po' d'acqua prima che la chiudessero. Il poliziotto di guardia si fece strada fra la folla urlante. Prima ancora che arrivasse al rubinetto, questo cominciò a singhiozzare, poi venne giù un filo d'acqua che sparì quasi subito. L'agente guardò il sergente con espressione interrogativa.

«Già, questo è il guaio,» disse. «C'è una condotta rotta. Hanno dovuto chiudere. Domani sarà aggiustata. Ora fai disperdere la gente.»

Sol guardò Shirl senza dir nulla, presero i loro contenitori e se ne andarono. Entrambi avevano notato quella esitazione nella voce del sergente. Ci doveva essere qualcosa di più di una tubazione rotta. Trasportarono i contenitori per le scale con grande cura, per non perderne una goccia.

CAPITOLO TREDICESIMO

Anche se la polizia sapeva chi era stato, anche se lo cercavano, la fortuna era dalla sua, si ripeteva Billy Chung. Talvolta se lo dimenticava per un po', e gli tornava la paura, e doveva ricominciare a convincersi che la fortuna era dalla sua. I poliziotti non erano forse venuti a sorprenderlo quando lui era appena uscito dalla sua camera? Non era fortuna quella? E non era riuscito a nascondersi, a non farsi trovare? Anche quella era fortuna. E se avesse dovuto abbandonare tutto dietro di sé? Invece no, si era messo i calzoncini nei quali, proprio la vigilia aveva cucito tutti i suoi averi, perché temeva di perderli lasciandoli fra due strati delle suole delle scarpe. E così ora aveva con sé il denaro, e il denaro era la sola cosa veramente necessaria. Era scappato, ma da individuo in gamba. Per prima cosa era andato al mercato delle pulci, in Madison Square, aveva svegliato uno di quei mercanti che dormono sotto la bancarella, e si era comprato dei sandali. Poi era uscito da quella zona e si era diretto nella città bassa, senza mai fermarsi. Quando avevano aperto le fontane, egli si era lavato, poi si era comprato una vecchia camicia in un altro mercato, e alcuni crackers di alghe. Se li era mangiati camminando. Era ancora presto quando arrivò a Chinatown, ma le strade già si riempivano, e l'unica cosa che aveva da fare era quella di cercarsi un posto libero contro un muro, rannicchiarsi e dormire.

Svegliandosi, capì che non poteva rimanere in quel luogo, il primo che i poliziotti avrebbero perlustrato. Si doveva muovere. Alcuni degli abitanti del luogo cominciavano a guardarlo stranamente e sapeva che se la sua descrizione fosse già stata pubblicata, nessuno di loro avrebbe esitato a denunciarlo per un paio di dollari di premio. Aveva sentito dire che vi erano dei cinesi anche in un'altra zona, nell'East Side, e si diresse da quella parte. Non poteva rimanere a lungo nello stesso posto, lo avrebbero notato. Fintanto che durava il caldo, non importava dove avesse dormito. All'inizio questo suo vagabondare non era stato premeditato, ma dopo alcuni giorni scoprì che andando in giro per strade affollate nessuno gli badava. Poteva perfino dormire di giorno, e talvolta anche di notte, se trovava un posto tranquillo. Nessuno lo notava fintanto che le sue soste avvenivano in zone dove c'erano altri cinesi. Continuò a spostarsi e ciò lo tenne impegnato, evitandogli di preoccuparsi di ciò che gli poteva accadere. Finché duravano i soldi tutto era più facile. Poi… Non voleva pensare a quello che sarebbe successo allora. E non ci pensava.

Fu il temporale a deciderlo di trovarsi un posto in cui rintanarsi. Era stato sorpreso dalla pioggia e si era bagnato tutto. In principio gli aveva fatto piacere, ma solo in principio. Insieme con migliaia di altri senza-tetto, aveva cercato riparo sotto i rombanti archi del Williamsburg Bridge, e anche li non era al sicuro, perché ogni volta che cambiava il vento, spingeva sotto la campata montagne d'acqua. Tutta la notte rimase bagnato e infreddolito, non riuscì a dormire, e al mattino si arrampicò per le scale fin sopra il ponte e si asciugò al sole. Davanti a lui il passaggio pedonale si estendeva sino all'altra sponda del fiume ed egli lo attraversò per riscaldarsi, col sole sorgente in faccia. Era un'impressione nuova, per lui, guardare in basso il fiume e una città come quella. Un mercantile nucleare risaliva lentamente la corrente, e la moltitudine delle barche a vela e a remi si faceva da parte per lasciarlo passare. Per guardare in basso, doveva aggrapparsi alla ringhiera.

A metà del ponte fece la constatazione che era uscito da Manhattan per la prima volta in vita sua, e che non aveva altro da fare che continuare a muoversi. La polizia non lo avrebbe trovato mai. Brooklyn gli stava dinnanzi, una rupe frastagliata di strane sagome che si profilavano sul cielo, luogo del tutto nuovo per lui, e pauroso. Ne ignorava tutto, ma poi avrebbe scoperto ogni cosa. La polizia non lo avrebbe mai cercato così lontano, mai, neanche in cent'anni.

Una volta fuori del ponte, la paura svanì poco a poco. Quella zona somigliava a Manhattan, ma con gente diversa, strade diverse. I suoi abiti ora erano asciutti e si sentiva meglio; era solo molto stanco e aveva molto sonno. Le strade si allungavano all'infinito, piene di gente, rumorose, ed egli le seguì a caso, finché arrivò vicino a un muro alto che si ergeva su un lato della strada e non pareva finire mai. Lo seguì, chiedendosi che cosa vi fosse dall'altra parte; infine arrivò a un cancello chiuso, con del filo spinato in alto, per impedire alla gente di arrampicarsi e passare di là. Su un cartello sbiadito si leggeva: ARSENALE MILITARE DI BROOKLYN «VIETATO INGRESSO. Attraverso le sbarre Billy vide un immenso terreno coperto di edifici chiusi, di capannoni vuoti, di montagne di residui ferrosi arrugginiti, pezzi di navi, cumuli di rottami di cemento, e altri detriti. Una guardia panciuta camminava entro il recinto con un grosso bastone in mano, simile a una clava. Guardò Billy con diffidenza e questi si allontanò dal cancello continuando a camminare.»

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