Harry Harrison - Largo! Largo!

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1999: automazione, società del benessere totale, gite sulla Luna per i “weekend”… o un mondo sovraffollato che, all’alba del nuovo millennio, è sull’orlo della catastrofe? Un mondo in cui miliardi di esseri umani sono ogni giorno di fronte al problema di estinguere la propria sete e di saziare la propria fame, vivendo di lenticchie, di farina di soja e (se hanno un colpo di fortuna, ogni tanto) di un topo morto. In una città con 35 milioni di abitanti, Andy Rush è impegnato nella caccia, solitaria e quasi impossibile, a un assassino di cui non importa niente a nessuno, nel mezzo del caotico travaglio quotidiano per la sopravvivenza. E quando infine nasce l’anno 2000, che suono ha l’augurio: “Buon secolo nuovo?”

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Era proprio una tipica camera da scapolo, abbastanza in ordine; ma aveva altrettanto fascino che una vecchia scarpa. Dappertutto c'era una sottile patina di polvere, ma questo era colpa di Shirl, perché Andy non era rimasto molto a casa, durante quel mese. Se avesse potuto procurarsi un po' di pittura, una mano di vernice su quel canterano non ci sarebbe stata male. Non sarebbe stato così scalfito e graffiato neanche se fosse stato travolto da una valanga.

Per fortuna vi era una specchiera grande, con una lunga crepa in mezzo, ma ancora valida. E un guardaroba per appendere le sue cose. Non c'era, in realtà, da lamentarsi. Bastava ripulirla un po' e la camera sarebbe stata carina. E togliere di mezzo quei milioni di ragnatele sul soffitto.

Vi era un serbatoio d'acqua con un rubinetto, sulla parete divisoria, vicino alla porta, e quando l'apri, un rivolo d'acqua scese tintinnando nel catino fissato su due mensole sotto il serbatoio. Aveva un forte odore di prodotti chimici che Shirl aveva scordato poiché tutta l'acqua di Chelsea Park passava attraverso costosi filtri. Non trovò sapone in giro, ma si buttò un po' d'acqua in faccia, si sciacquò le mani e si stava asciugando sull'asciugamano sbrindellato appeso li vicino quando un suono ululante e metallico nello stesso tempo le giunse attraverso la tramezza. Non riuscì ad immaginare che cosa fosse, eppure non poteva venire che dall'altra stanza, quella abitata da Sol. Era lui, chissà come, che produceva quel suono, ed era cominciato soltanto dopo che lui l'aveva sentita muoversi, e usare l'acqua, il che era molto gentile da parte sua. Ma voleva anche dire che la camera di Andy, in quanto a rumori, aveva la stessa appartata intimità di una gabbia di canarini. Era purtroppo inevitabile. Si spazzolò i capelli, infilò lo stesso vestito che indossava la sera prima, si truccò appena. Quando fu pronta, respirò profondo e aprì la porta.

«Buongiorno,» gli fece, non riuscendo a trovare altro da dire e rimanendo nel vano della porta, irrigidita, trattenendo un urlo. Sol era seduto sul sellino di una bicicletta senza ruote, e non andava in nessun posto ma pedalava a tutta velocità, con i capelli grigi che gli svolazzavano sul capo, la barba che gli batteva sul petto a ogni pedalata. L'unico suo indumento era un paio di vecchi shorts molto rattoppati. L'ululato proveniva da un oggetto nero dietro la bicicletta.

«Buongiorno,» disse una seconda volta, più forte però. «Sono Shirley Greene,» gli disse.

«E chi altri potrebbe essere?» disse freddamente Sol scendendo dalla bicicletta e asciugandosi il sudore dal viso con l'avambraccio.

«È la prima volta che vedo una bicicletta come questa. Serve a qualcosa?» Non voleva litigare con lui, per quanta voglia Sol, invece, ne avesse.

«Certo,» disse, «fa il ghiaccio.» Andò a mettersi la camicia.

Dapprincipio Shirl pensò che fosse uno di quegli scherzi a freddo che lei non capiva mai, ma poi vide i fili che collegavano quella specie di motorino nero dietro la bicicletta ai numerosi accumulatori sovrastanti il frigorifero.

«Ho capito,» disse, felice della sua scoperta. «Fate funzionare il frigorifero con la bicicletta. Mi sembra una cosa meravigliosa.»

La sua sola risposta, questa volta, fu un grugnito, senza alcun commento, e lei seppe così che stava facendo progressi.

«Vi piace il kofee?»

«Che ne so, è tanto tempo che non ne bevo.»

«Ne ho mezza lattina nella borsetta. Con un goccio d'acqua calda se ne potrebbe fare un po'.» Non aspettò la risposta ma andò a prendere la lattina nell'altra stanza. Egli guardò per un attimo il suo contenuto marrone, poi alzò le spalle e andò a riempire d'acqua una pentola.

«Scommetto che sa di veleno,» disse mettendo l'acqua sul fornello. Prima però accese la luce della stanza e studiò il filamento incandescente del bulbo, poi assentì con diffidenza. «Tanto per cambiare, oggi abbiamo un po' di corrente. Speriamo duri abbastanza per far bollire due dita d'acqua.» Accese il fornello elettrico. «Io ho bevuto solo kofee, da due anni,» disse Shirl seduta sulla poltrona vicino alla finestra. «Si dice che non abbia il sapore del vero caffè, ma io non lo so.»

«Ve lo dirò io, non ha il sapore del caffè.»

«Voi avete assaggiato del vero caffè? Più di una volta?» Shirl sapeva che tutti gli uomini erano felici di raccontare le proprie esperienze.

«Assaggiato? Perbacco! Io vivevo di caffè. Voi siete una bambina, non avete idea di come erano le cose, ai tempi andati. Si bevevano tre, quattro tazze, talvolta tutta una caffettiera, senza neppure pensarci. Una volta mi sono perfino intossicato, la mia pelle diventava marrone, e tutto quanto, perché ne bevevo sino a venti cartoni al giorno. Ero un campione, come bevitore di caffè; avrei potuto vincere delle medaglie.»

Shirl poté soltanto scuotere la testa in segno d'omaggio, poi si sorbì il suo kofee. Era ancora troppo caldo. «Ora che mi ricordo…» disse balzando dalla sedia e andando nell'altra stanza. Tornò subito e diede a Sol due sigari. «Andy mi ha detto di darveli, che un tempo voi fumavate.» Il suo atteggiamento di superiorità maschile svanì di colpo e rimase a bocca aperta. «Sigari?» Fu tutto quanto riuscì a dire.

«Sì, Mike ne aveva una scatola, ma rimanevano solo questi due. Non so se sono buoni o no.»

Sol cercò di ricordare il rituale che accompagnava l'esame di un sigaro. Annusò con sospetto la punta di uno di essi. «Perlomeno ha odore di vero tabacco.» Poi avvicinò il sigaro all'orecchio, diede un pizzicotto all'estremità più piccola. Lo scricchiolio si udì nettamente. «Ah! ah! Troppo secco, l'avrei giurato. I sigari devono essere trattati con cura, tenuti nel clima adatto. Questi si sono essiccati. Avrebbero dovuto stare in un umidificatore. Così non si possono fumare.»

«Volete dire che non sono buoni? Li dobbiamo buttar via?» Era una triste constatazione.

«Niente affatto, calmatevi. Prenderò una scatola, ci metterò dentro una spugna bagnata, e aspetterò quattro o cinque giorni. C'è di buono, nei sigari, che, se si seccano, si possono far risuscitare, proprio come Lazzaro e forse meglio, perché dopo quattro giorni che era stato seppellito non aveva certo un buon odore. Vi farò vedere io come si trattano questi.»

Shirl bevette il kofee e sorrise. Le cose sarebbero andate bene. A Sol aveva dato fastidio l'idea che qualcuno venisse a stare con Andy, probabilmente era sconvolto. Ma era tanto bravo, aveva, certo, le sue manie, e aveva un modo buffo di parlare, un po' antiquato, ma Shirley seppe che sarebbero andati d'accordo.

«Questa mistura non ha un cattivo sapore,» disse Sol, «se uno riesce a dimenticare com'era il vero caffè. O com'era il prosciutto della Virginia, o il roast-beef, o il tacchino. Ve ne potrei raccontare, io, a proposito di tacchini! Era durante la guerra, e io ero di stanza giù nel Texas. Il vettovagliamento proveniva tutto da Saint-Louis, ed eravamo proprio gli ultimi nella linea di distribuzione. Ciò che giungeva fino a noi era così cattivo che ricordo di aver visto i sergenti di mensa rabbrividire quando aprivano i barattoli contenenti il nostro vitto. Nel Texas la gente alleva tacchini a miliardi. Lì manda poi a Nord per le Feste, come sapete.» Shirl annuì, ma non lo sapeva. «Ebbene, siccome c'era la guerra e non c'era mezzo di esportare tutti quei tacchini, l'aeronautica li comprò per pochi soldi e ne abbiamo mangiato per un mese. Vi dico io! Tacchino arrosto, tacchino fritto, brodo di tacchino, tacchino tritato, croquettes di tacchino…»

Si udì un rumore di passi veloci nel corridoio e qualcuno cercò di girare la maniglia con tale violenza da scuotere tutta la porta. Sol aprì silenziosamente il cassetto del tavolo e prese la piccola mannaia della carne.

«Sol? Ci sei?» gridò Andy dal corridoio, scuotendo nuovamente la maniglia. «Apri subito!»

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