Harry Harrison - Le stelle nelle mani

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Le stelle nelle mani: краткое содержание, описание и аннотация

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Esiste oggi, per uno scienziato, la possibilità di controllare l’uso delle sue scoperte? L’uomo che scompare dal suo laboratorio di Tel Aviv all’inizio di questo romanzo, non si fa molte illusioni al riguardo. Tenta ugualmente, con uno dei paesi più pacifici e democratici che l’Europa conosca: la piccola Danimarca. E subito tutti i servizi segreti delle grandi potenze sono in allarme. La quieta Copenhagen si trova da un giorno all’altro nell’occhio del ciclone. Ciò che le spie, gli agenti, gli informatori riescono a ricostruire non è molto e non ha molto senso: un’esplosione, una nave danneggiata in porto, un certo numero di alte personalità danesi ferite. Non si vede bene quale nesso ci sia tra questo fiasco e le stelle. Eppure, sott’acqua, si sta preparando qualcosa di fantastico.

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— Verissimo — convenne Arnie. — Ma noi non ignoriamo questa limitazione: stiamo semplicemente usando un diverso sistema di riferimento, nel quale non sono valide. Per trovare un’analogia, vi prego di considerare l’atto di chi gira una valvola. Un piccolo peso, basta per aprire una valvola che permette al gas compresso di lasciare il serbatoio, di espandersi in un involucro e far sollevare un pallone. Un paragone anche migliore si ha immaginando voi stesso penzolante da una corda appesa a quell’involucro, alto sopra il suolo. Una pressione di un’oncia e poco più sopra una lama affilata taglia la corda, riportandovi a terra con effetti altamente drammatici.

— Ma tagliando la corda si libera l’energia cinetica immagazzinata durante la salita a quell’altezza! — sbottò l’ufficiale. — È la gravità della Terra che mi porta giù.

— Esattamente. Ed è stata la gravità della Terra liberata, che ha permesso al Blaeksprutten di volare.

— Ma è impossibile!

— Impossibile o no, è accaduto — dichiarò un ufficiale di grado superiore. — Fareste molto meglio a credere ai vostri occhi, Preben, altrimenti vi farò degradare!

Preben sedette, imbronciato, tra risate generali che si calmarono soltanto quando l’ammiraglio Sander-Lange cominciò a parlare.

— Io credo a tutto ciò che affermate circa la teoria della vostra macchina, professore — disse — e vi ringrazio di aver cercato di spiegarcela. Ma spero che non vi offenderete se dichiaro che, per me almeno, la comprensione di essa non ha grande importanza. Da molti anni ho smesso di tentare di comprendere i dispositivi complicati e le diavolerie che si sistemano sulle mie navi, e mi sono imposto di capire semplicemente a che cosa servono e come vanno usati. Potete spiegarmi le possibilità insite nel vostro effetto Daleth, cioè che cosa si potrebbe ottenere applicandolo?

— Sì, certo. Ma spero vi rendiate conto che ci sono ancora annessi molti «se». Se l’effetto potrà essere applicato, come spero e come chiarirà il prossimo esperimento con il Blaeksprutten , e se il fabbisogno di energia necessaria ad ottenere i risultati desiderati è ragionevole, avremo ciò che potrebbe essere chiamata una vera e propria propulsione spaziale.

— Che cosa volete dire, esattamente? — domandò Sander-Lange.

— Prima di tutto considerate la propulsione spaziale che usiamo attualmente: razzi a reazione, come quelli di cui è dotata la capsula sovietica che sta dirigendosi verso la Luna. I razzi si muovono applicando il principio di azione-reazione. Espellete qualcosa in una direzione e vi muoverete in quella opposta. Migliaia di tonnellate di combustibile, cioè la massa di reazione, devono essere sollevate per ogni chilo che arriva a destinazione. Un processo costoso, complesso e di uso limitato. Una vera propulsione spaziale indipendente da questo rapporto massa-carico, sarebbe funzionalmente pratico come un’automobile o una nave. E servirebbe a creare una vera e propria astronave. I pianeti diventerebbero accessibili come lo sono adesso i vari continenti del nostro mondo. Non si dovrebbe più tener conto della massa di reazione; una vera propulsione spaziale potrebbe essere tenuta costantemente in funzione, continuando ad accelerare fino al punto medio del volo, e poi invertendo la direzione e decelerando fino all’atterraggio. Questo abbrevierebbe incredibilmente il tempo necessario per raggiungere la Luna o altri corpi celesti.

— Quanto ci si impiegherebbe? — domandò qualcuno. — Potreste darci delle cifre precise?

Arnie esitò, ma si alzò Ove Rasmussen per rispondere. — Credo di potervi aiutare io. Ci ho pensato mentre stavate parlando — disse. Prese il regolo calcolatore ed eseguì rapidamente altri calcoli. — Se abbiamo un’accelerazione e una decelerazione ininterrotta di un «G», gli occupanti del veicolo non proveranno alcuna sensazione di caduta libera o di peso eccessivo. Questa sarà un’accelerazione di… novecentootto, anzi, diciamo mille, per semplicità, centimetri al secondo. La Luna dista; in media, quattrocentomila chilometri. Il risultato perciò sarebbe…

Tutti rimasero in silenzio mentre Rasmussen calcolava ancora. Controllò i risultati, aggrottò la fronte, controllò di nuovo. Dovevano essere esatti, perché alzò gli occhi e sorrise.

— Se l’effetto Daleth fornirà una vera propulsione spaziale, c’è qualcosa di nuovo sotto il sole, signori. Saremo in grado di andare da qui alla Luna in poco più di quattro ore!

Nel silenzio attonito che seguì, eseguì un ultimo calcolo.

— Il viaggio su Marte richiederà un tempo un po’ più lungo. Dopotutto, il pianeta rosso dista ottanta milioni di chilometri, quando si trova nella sua congiunzione più favorevole. Ma anche quella distanza verrà percorsa in circa trentanove ore. Un giorno e tre quarti. Non è certo molto.

Tutti erano allibiti. Ma mentre meditavano sulle prospettive aperte dall’effetto Daleth, si levò un mormorio così insistente, che Arnie dovette battere col gesso sulla lavagna per zittirli. Dopo di che gli astanti ascoltarono con attenzione estrema.

— Come vedete, le possibilità di sfruttamento della propulsione Daleth sono pressoché incalcolabili. Dobbiamo cambiare il nostro atteggiamento nei riguardi delle dimensioni del sistema solare. Ma prima di poter partire per la Luna, per trascorrervi un week-end dedicato all’esplorazione, dobbiamo essere certi di avere una fonte di potenza motrice adeguata. Funzionerà la propulsione lontano dalla superficie terrestre? E la si potrà controllare con esattezza? Potremo cioè effettuare le delicate correzioni di rotta necessarie per raggiungere un oggetto a distanze astronomiche? Possediamo una fonte di potenza sufficiente a fornirci il fabbisogno di energia indispensabile al viaggio? Ci si può fidare costantemente della propulsione? Il prossimo volo del Blaeksprutten dovrebbe rispondere a tutti questi interrogativi. Il veicolo tenterà di sollevarsi molto in alto nell’atmosfera terrestre. E poiché io sono la persona più qualificata per tutto ciò che riguarda le attrezzature relative alla propulsione, eseguirò personalmente le prove. — Si guardò intorno, aspettandosi forse che qualcuno cercasse di dissuaderlo. Ma ci fu solo silenzio. Quella era la sua grande giornata.

— Grazie. Propongo che il secondo esperimento abbia inizio immediatamente.

8

— Comincio a capire perché gli serve un pilota di linea su un sottomarino — disse Nils, azionando l’ingranaggio che sigillava il boccaporto inferiore della torretta di comando.

— Se non vi spiace, tenete voi il giornale di bordo — fece Henning, indicando il libro aperto che stava sul piccolo tavolo del navigatore, fissato alla paratia.

— Va bene — disse Nils, lanciando un’occhiata all’orologio e scrivendo subito qualcosa. — Se l’esperimento funziona, voi sarete l’unico comandante di un sottomarino che sia mai stato stipendiato dalle forze aeree.

— Allontaniamoci un poco, comandante Wilhelmsen, per favore — disse Arnie, intento ai suoi strumenti. — Almeno alla distanza dell’altra volta.

Ja el. — Henning armeggiò con un dispositivo, e le pompe pulsarono sotto i loro piedi. Poi sedette al posto del pilota, davanti alla torretta di comando. Lo scafo si sollevava, in una specie di protuberanza che conteneva tre oblò rotondi, molto spessi. Un volante, molto simile a quello di un aereo, serviva a dare la direzione: per voltare bastava variare la velocità relativa dei getti d’acqua gemelli che propellevano il sottomarino e che erano orientati dai deflettori di poppa.

— Siamo distanti duecento metri — annunciò infine Wilhelmsen, riducendo la velocità.

— Le pompe dei vostri getti sono meccaniche? — domandò Arnie.

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