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Harry Harrison: Le stelle nelle mani

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Harry Harrison Le stelle nelle mani

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Esiste oggi, per uno scienziato, la possibilità di controllare l’uso delle sue scoperte? L’uomo che scompare dal suo laboratorio di Tel Aviv all’inizio di questo romanzo, non si fa molte illusioni al riguardo. Tenta ugualmente, con uno dei paesi più pacifici e democratici che l’Europa conosca: la piccola Danimarca. E subito tutti i servizi segreti delle grandi potenze sono in allarme. La quieta Copenhagen si trova da un giorno all’altro nell’occhio del ciclone. Ciò che le spie, gli agenti, gli informatori riescono a ricostruire non è molto e non ha molto senso: un’esplosione, una nave danneggiata in porto, un certo numero di alte personalità danesi ferite. Non si vede bene quale nesso ci sia tra questo fiasco e le stelle. Eppure, sott’acqua, si sta preparando qualcosa di fantastico.

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Poi, e non era un’illusione, le onde cominciarono a frangersi contro i fianchi e lo scafo restò quasi completamente scoperto. Sembrava sollevarsi nell’acqua in modo innaturale… sempre più.

Infine galleggiò come un enorme pallone sulla superficie del mare.

Poi si staccò anche da quella. Cinque, dieci, trenta metri. Arnie lasciò andare il binocolo e si tenne stretto al parapetto con tutt’e due le mani, impietrito.

Quel sottomarino da venti tonnellate e dallo scafo poderoso se ne stava sospeso con la grazia di un corpo più leggero dell’aria, quaranta metri sopra il livello del mare! Poi il Blaeksprutten sembrò ruotare sopra un perno invisibile, e puntò verso la nave appoggio. Si spostava lentamente, mentre una pioggerellina salata cadeva dallo scafo grondante. Nessuno parlava; tutti erano ammutoliti alla vista di quello spettacolo incredibile. Si udiva indistintamente il balbettio dei motori diesel del sottomarino. Senza staccare gli occhi dalla visione, Arnie agguantò il microfono.

— Potete scendere, ora — disse. — Credo che l’esperimento possa considerarsi riuscito.

7

Con la lavagna alle spalle e di fronte un cerchio di ascoltatori intenti, Arnie si sentiva profondamente a suo agio. Gli sembrava di trovarsi ancora in un’aula dell’università, invece che nel quadrato della Vitus Bering. Con fatica, resisté all’impulso di voltarsi a scrivere il suo nome in caratteri cubitali sulla lavagna. ARNIE KLEIN. Scrisse invece EFFETTO DALETH, molto chiaramente, aggiungendoci la lettera daleth , scritta in grafia ebraica.

— Se avrete la pazienza di ascoltarmi, vi terrò una breve lezione di storia, prima di spiegarvi ciò a cui avete assistito stamattina. Ricorderete certo che alcuni anni fa Israele eseguì con i razzi una serie di esperimenti per lo studio dell’atmosfera. Tali esperimenti dovevano servire a parecchi scopi: per esempio, a dimostrare ai paesi arabi che noi… cioè Israele… possedevamo razzi fatti in casa e non dovevamo dipendere dal capriccio degli stranieri. Date le limitazioni materiali imposte dai paesi limitrofi e dalle dimensioni stesse di Israele, avevamo ben poche possibilità di scelta riguardo alle traiettorie: dovevamo limitarci a un lancio verticale con ritorno altrettanto verticale. Non si poteva fare altro, e per ottenere questo fu necessario approntare precise tecniche di controllo. Ma un razzo capace di alzarsi verticalmente e di rimanere altrettanto verticalmente sopra la rampa di lancio, si dimostrò un mezzo di ricerca di valore inestimabile, sotto moltissimi aspetti. Una nube di fumo strisciante dava modo ai meteorologi di stabilire la direzione e la velocità del vento a qualsiasi quota, mentre i dati rilevati dagli strumenti che stavano all’interno del razzo permettevano poi di coordinare queste con la pressione atmosferica e la temperatura. Una volta fuori dall’atmosfera, si effettuavano altri esperimenti, ma quello che ci interessa ora è il test che inavvertitamente rivelò quelle che si possono soltanto chiamare anomalie gravimetriche. — E cominciò a scrivere la definizione sulla lavagna; ma poi si trattenne.

— A quel punto mi interessavo alle quasar e alla possibile fonte delle loro incomprensibili energie: neppure l’annichilimento totale della materia può spiegare la quantità di energia generata nelle quasar. Ma la cosa accadde quasi incidentalmente perché, per puro caso, quel razzo-sonda si trovava fuori dall’atmosfera quando ebbe inizio un brillamento solare. Rimase lì era oltre cinquanta minuti. Altre sonde erano state lanciate in passato, non appena ci si era accorti di un brillamento, ma con un ritardo inevitabile di almeno un’ora dal momento dell’esplosione originale di energia. Perciò io fui il primo ad ottenere dati riguardanti l’evoluzione completa di un brillamento solare e a poterli studiare. Magnetometro, particelle di raggi cosmici… e qualcosa che allora sembrò del tutto trascurabile: i dati tecnici. Ciò attrasse la mia attenzione perché da alcuni anni stavo studiando certi aspetti della teoria einsteiniana dei quanti, riguardanti la gravità. Queste ricerche erano arrivate a un punto morto, ma le avevo ancora in mente. Così, quando gli altri scartarono alcuni dei dati perché credevano che la telemetria desse un’interpretazione errata a causa dei forti campi magnetici, io investigai più dettagliatamente. I dati erano in realtà esatti, tuttavia ciò dimostrava che una forza del tutto inspiegabile era in azione e riduceva il peso della sonda, ma non la sua massa. Vale a dire che la sua massa gravitazionale e la sua massa di inerzia erano temporaneamente ineguali. Assegnai il simbolo Daleth a questo fattore di differenza e quindi cercai di scoprire che cosa fosse. Tanto per cominciare, pensai subito alla massa di Schwarzchild, o piuttosto all’applicazione di questa al continuum quadridimensionale dell’universo di Minkowski…

L’espressione perplessa di tutti i presenti colpì Arnie, che si fermò. Tra gli altri, c’era un alto ufficiale che lo fissava con occhi che quasi schizzavano dalle orbite. Il professore tossì, portandosi la mano alla bocca per celare la sua confusione: quelli non erano studenti di fisica, dopo tutto…

Voltandosi verso la lavagna, aggiunse un’altra sottolineatura a Daleth.

— Per non entrare troppo nei particolari, tenterò di usare parole semplici. Tuttavia dovete capire che si tratta di una spiegazione molto approssimativa. Mi trovavo di fronte a qualcosa che non sapevo spiegare, anche se quel qualcosa era lì, senza possibilità di dubbio. Era come prendere una dozzina di uova di gallina, farle schiudere, e vederne saltar fuori un’aquila. L’aquila era lì, questo è certo, ma il come e il perché, chi lo sapeva? — Un mormorio di sollievo percorse la stanza, e si notarono perfino alcuni sorrisi, quando i presenti si accorsero finalmente di capire quello che stava dicendo. Incoraggiato, Arnie, continuò.

— Incominciai a lavorare sull’anomalia, prima ricorrendo a formule matematiche per determinarne la natura, poi facendo qualche piccolo esperimento. In fisica, come in tutto, sapere che cosa si sta cercando può essere di grande aiuto. Per esempio, è assai più facile trovare un criminale in una città se si è in possesso di una descrizione e di un nome. Una volta scoperto l’elio nello spettro solare, si scoprì la sua presenza anche qui sulla Terra. L’elio c’era sempre stato, ma era passato inosservato fino a che non si era saputo che cosa cercare. Lo stesso può dirsi dell’effetto Daleth. Sapevo che cosa cercare e trovai la risposta al mio interrogativo. Immaginai che forse sarebbe stato possibile dominare questa… — cercò affannosamente una parola adatta. — Non è il termine esatto, e non dovrei servirmene, ma per il momento chiamiamola «energia», pur tenendo sempre presente che non lo è affatto. Allestii un esperimento per dominarla, ed ottenni risultati spettacolari. Era possibile controllarla. Una volta intercettata, l’energia Daleth poteva venire modulata: questa era poco più che un’applicazione di normale tecnologia. Avete visto i risultati stamane, quando il Blaeksprutten si è alzato nell’aria. Ma questa è una dimostrazione molto modesta: non c’è motivo perché il sottomarino non possa viaggiare anche fuori dall’atmosfera, alla velocità da noi fissata.

Una mano si alzò, decisa, e Arnie annuì in quella direzione. Perlomeno qualcuno lo stava ascoltando attentamente e sentiva il bisogno di fare domande. Era un ufficiale delle forze aeree, molto giovane, per il suo grado.

— Perdonate l’interruzione, professore — disse — ma mi hanno insegnato che questo è impossibile. Voi state negando le leggi newtoniane del moto. I motori del sottomarino non hanno una potenza sufficiente per sollevare la sua massa e tenerla sospesa in aria. Avete accennato alla relatività, che è basata sulla conservazione della quantità di moto della massa-energia e della carica elettrica. Quello che è avvenuto qui deve mettere in dubbio almeno due o tre dei principi di conservazione.

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