Una volta dentro la stazione, si servì di tutti i servizi che essa offriva, uno dopo l’altro. Comprò il giornale all’edicola presso l’entrata, girandosi per vedere chi veniva dietro di lui. Andò alla toilette, in fondo all’edificio, poi infilò libri e giornale in un armadietto automatico, e intascò la chiave. Scese una scala che portava ai treni, e, sebbene fosse proibito attraversare i binari, riuscì a risalire poco dopo attraverso un’altra scala. Nel frattempo, gli era venuta sete, e andò a riempirsi un bicchiere di Carlsberg al distributore automatico. Bevve in piedi, davanti a uno degli alti tavolini. Evidentemente tutte quelle manovre ottennero il risultato desiderato, perché, dopo essersi asciugato le labbra col dorso della mano, Schmidt uscì dalla porta posteriore della stazione e percorse non passo vivace Østbanegade, costeggiando i binari, dove questi emergevano dalla galleria nella luce del sole invernale. Al primo incrocio svoltò a sinistra e camminò lungo l’altro lato del cimitero. Era solo nella strada.
Quando se ne fu assicurato si guardò intorno liberamente e oltrepassò gli alti cancelli di ferro battuto dell’ambasciata sovietica.
— Ja, ja — disse il capitano Nils Hansen al telefono. — Jeg skal nok tale med hende. Tak for det. — Sedette, tamburellando con le dita sull’apparecchio mentre aspettava. L’uomo che si era presentato semplicemente come Skou, se ne stava in piedi, guardando fuori dalla finestra la luce grigia del freddo pomeriggio invernale. Si udì il rombo lontano dei motori, mentre uno dei grossi aerei rullava sulla pista.
— Salve, Martha — continuò Nils, in inglese. — Come va? Bene. No, sono a Kastrup, dove sono atterrato poco fa. Un bel vento di coda proveniente da Atene ci ha fatto arrivare presto. Il guaio è che devo ripartire subito… — Annuì e prese un’aria decisamente infelice.
— Senti, cara, tu hai perfettamente ragione, e io la penso come te, ma non possiamo farci assolutamente niente. Le autorità hanno deciso così. Ora non posso pilotare perché ho volato già troppe ore, ma mi ci portano in aereo. Uno dei piloti, uno svedese, è a letto con l’appendicite, a Calcutta. Devo partire col prossimo volo, me l’hanno riservato propria ora. Dormirò e passerò un’altra notte a Oberoi Grand, così sarò pronto per domani. Bene… Meno di quarantotto ore, direi. Mi spiace quanto te, di non poter venire al pranzo! Di’ agli Overgaards che sto piangendo a calde lacrime al pensiero di perdere le loro ghiottonerie… Invece dell’ottima selvaggina scandinava dovrò mangiarmi quell’orribile curry che corrode l’intestino… E starò male per una settimana. Naturalmente, skat , sentirò la tua mancanza. Mi farò pagare un premio e ti comprerò qualcosa di carino. Sì… okay… ciao.
Nils riappese e guardò con evidente disgusto la schiena di Skou.
— Non mi va di mentire a mia moglie — disse.
— Davvero spiacente, capitano, ma non si poteva evitare. Questione di sicurezza, sapete. Premunitevi oggi, e il domani si guarderà da sé. — Lanciò un’occhiata al suo orologio. — L’aereo per Calcutta sta per partire e voi dovete essere a bordo. Avete una prenotazione in un albergo di quella città, ma non potrete ricevere telefonate. Tutto predisposto fino nei minimi particolari. È uno stratagemma necessario, ma innocuo.
— Perché necessario? Voi spuntate dal nulla, mi portate in questo ufficio, mi mostrate delle lettere firmate da personaggi importanti che mi chiedono di collaborare, tra cui quella del comandante delle Forze Aeree di Riserva, mi strappate la promessa di aiutarvi, mi convincete a mentire a mia moglie… ma in realtà non mi dite niente! Che diavolo sta succedendo?
Skou si guardò intorno nella stanza, come se fosse tappezzata di innumerevoli apparecchi spia, e si limitò a portarsi un dito alle labbra.
— Se potessi, ve lo direi. Non posso. Ma tra poco saprete tutto. Adesso… possiamo partire? Vi porterò la borsa.
Nils l’afferrò prima che l’altro potesse impadronirsene e si alzò, calcandosi in testa il berretto dell’uniforme. Era alto uno e novantadue, senza scarpe: ora, in completa uniforme, con tanto di berretto e impermeabile, diventava talmente voluminoso da riempire quasi completamente il piccolo locale. Skou aprì la porta, e Nils lo seguì. Uscirono dalla porta posteriore dell’edificio, dove li aspettava un tassì. Il motore della Mercedes era già acceso e, non appena furono saliti, l’autista abbassò la bandierina e partì senza che nessuno gli desse istruzioni. Non appena fuori dall’aeroporto, voltarono a destra allontanandosi da Kastrup.
— Interessante — disse Nils, guardando fuori dal finestrino. Non era più arrabbiato, ora: non riusciva mai a restare irritato per molto tempo. — Invece di dirigerci verso Copenaghen e la sua vita brillante, puntiamo a sud su quella isoletta coltivata a patate. Che cosa possiamo trovare di interessante, in questa direzione?
Skou si protese verso il sedile anteriore, allungò un braccio e lo ritirò stringendo in mano un soprabito pesante e un berretto scuro. — Volete essere tanto gentile da levarvi il cappotto e il berretto dell’uniforme e da indossare questi? Sono certo che i pantaloni non verranno identificati come appartenenti a un pilota della SAS.
— Cappa e spada, perbacco! — disse Nils, sfilandosi a fatica il cappotto nello spazio ristretto del sedile posteriore. — Suppongo che questo tassista dall’aria tanto onesta sia al corrente di tutto, eh?
— Certo.
Dal sedile anteriore spuntò allora una valigetta dove entravano giusti giusti i capi appena tolti. Nils sollevò il bavero, si tirò il berretto sugli occhi e abbassò la testa.
— Ecco. Così ho abbastanza l’aria da cospiratore? — E non poté trattenersi dal ridere. Skou non condivideva la sua allegria.
— Vi prego di non fare niente che possa attrarre l’attenzione su di noi. Questo è molto importante, ve lo posso dire.
— Ci credo.
Proseguirono in silenzio, attraversando un paesaggio di campi arati di fresco che attendevano le semine di primavera. Il villaggio di Dragør non era lontano, e Nils guardò con sospetto i vecchi edifici di mattoni rossi. Non si fermarono, ma si diressero al porto.
— La Svezia? — domandò Nils. — Saliamo sulla nave traghetto?
Skou non si curò di rispondere e l’auto oltrepassò lo scivolo del traghetto, puntando verso il porto. Là erano ormeggiate alcune imbarcazioni da diporto, oltre a una motolancia di discrete dimensioni.
— Seguitemi, prego — disse Skou. E afferrò la borsa di Nils, prima che questi facesse in tempo a prenderla. Poi si diresse verso la lancia. Nils lo seguì docilmente, domandandosi in quale imbroglio stesse per immischiarsi. Skou salì sull’imbarcazione e mise le borse nella cabina; poi fece segno al pilota di salire a bordo. L’uomo che sedeva al volante fingendo di ignorare tutta la faccenda, accese il motore.
— Addio — disse Skou. — Credo che viaggerete molto comodamente, lì dentro.
— Ma, dove…?
Skou non rispose e cominciò a sciogliere gli ormeggi. Nils si strinse nelle spalle, poi si chinò per passare attraverso la porta della cabina.
Si lasciò cadere sulla panca che stava nell’interno e malgrado la scarsa luce che filtrava attraverso i piccoli oblò, si accorse di non essere solo.
— Buon giorno — disse alla figura infagottata che sedeva all’estremità della panca, dirimpetto alla sua. E ricevette in cambio una risposta impersonale. Quando i suoi occhi si furono adattati alla penombra, si accorse che al piede dell’uomo c’era una valigia e che anche lo sconosciuto indossava un cappotto nero e un berretto scuro.
— Cos’è questa storia? — chiese Nils, ridendo. — A quanto pare, hanno beccato anche voi. Stessa uniforme.
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