Harry Harrison - Le stelle nelle mani

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Le stelle nelle mani: краткое содержание, описание и аннотация

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Esiste oggi, per uno scienziato, la possibilità di controllare l’uso delle sue scoperte? L’uomo che scompare dal suo laboratorio di Tel Aviv all’inizio di questo romanzo, non si fa molte illusioni al riguardo. Tenta ugualmente, con uno dei paesi più pacifici e democratici che l’Europa conosca: la piccola Danimarca. E subito tutti i servizi segreti delle grandi potenze sono in allarme. La quieta Copenhagen si trova da un giorno all’altro nell’occhio del ciclone. Ciò che le spie, gli agenti, gli informatori riescono a ricostruire non è molto e non ha molto senso: un’esplosione, una nave danneggiata in porto, un certo numero di alte personalità danesi ferite. Non si vede bene quale nesso ci sia tra questo fiasco e le stelle. Eppure, sott’acqua, si sta preparando qualcosa di fantastico.

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— Sono cambiate molte cose dai tempi di Beria — interruppe la ragazza, brusca. — Un ex agente delle SS quale siete voi, non può certo invocare pretesti morali. — Lui non rispose e lei si voltò a guardare, fuori dalla finestra, il lungo edificio bianco appena visibile sotto la pioggia leggera. Indicò col dito.

— Eccoli là, Schmidt. Oltre il cimitero. C’è qualcosa di molto simbolico in questo. Ci avete mai pensato?

— Mai — disse lui freddamente. — Avete più intuito di me, in queste cose, tovarich Shirochenka.

— Be’, non dimenticatelo. Siete un individuo che sorvegliamo con molta attenzione. Cercate di arrivare più vicino a quel professor Rasmussen.

Si interruppe perché la porta si apriva. Un giovanotto in maniche di camicia entrò in fretta e le porse una striscia di carta staccata da una telescrivente. Lei lesse rapidamente e i suoi occhi si dilatarono.

Boshemoi! — mormorò, scossa. — No, non può essere vero…

Il giovane annuì in silenzio, con la stessa espressione di incredulità stupefatta.

— Quante ore sono, ormai? — chiese Arnie.

Ove lanciò un’occhiata al foglio appeso sopra il tavolo del laboratorio. — Più di duecentocinquanta, e di attività ininterrotta. Sembra che tutti i difetti siano stati corretti.

— Lo spero davvero. — Arnie ammirò lo splendido apparecchio cilindrico che riempiva quasi completamente la gabbia. Era tutto ornato di fili e di saldature elettroniche, e a fianco aveva un grande pannello di comando. Funzionava silenziosamnete, eccezion fatta per un basso e quasi impercettibile ronzio. — È un bel passo avanti — soggiunse.

— Furono gli inglesi a compiere la maggior parte del lavoro di fondo, negli ultimi anni del sessanta. Io mi interessai perché riguardava parte delle mie ricerche. Ero riuscito ad ottenere plasmi di duemila gradi, ma solo per periodi di tempo limitati, poche migliaia di microsecondi. Poi quei tipi di Newcastle sul Tyne cominciarono a usare plasma di elio-cesio a millequattrocentosessanta gradi centigradi, con un campo elettrico interno. Aumentavano la conduttività del plasma fino a duecento volte. Utilizzai la loro tecnica per costruire il Piccolo Hans , che vedete qui. Non sono ancora riuscito a graduare l’effetto, ma credo di vedere una via d’uscita. Comunque il Piccolo Hans lavora bene e produce costantemente alcune migliaia di volt; dunque non posso lamentarmi.

— Hai fatto miracoli! — Arnie ringraziò con un cenno del capo una delle assistenti di laboratorio che gli porgeva una tazza di caffè. Poi cambiò posizione, con aria pensierosa. — Graduata, questa potrebbe essere la fonte di potenza che ci serve per una vera nave spaziale. Un generatore atomico pressurizzato, del tipo ora impiegato nei sottomarini e nelle navi di superficie, risponderebbe alle nostre esigenze. Niente combustibile, niente ossidante. Ma avrebbe un aspetto negativo.

— Il raffreddamento — disse Ove, soffiando sul suo caffè bollente.

— Esattamente. Si può ottenerlo con l’acqua del mare, in una nave, ma è difficile trovare qualcosa del genere nello spazio. Suppongo che si potrebbe costruire un’unità irradiante esterna…

— Sarebbe molto più grande della nave stessa!

— Sì, ci credo. Il che ci porta al tuo generatore a fusione. Molta forza, non troppo spreco di calore da neutralizzare. Mi permetti di aiutarti?

— Magnifico. Fra tutti e due sono certo che… — Si interruppe, distratto da un mormorio proveniente dall’estremità del laboratorio. — Che c’è, laggiù?

— Scusate, professore. È solo una notizia. — La ragazza gli porse l’edizione di un quotidiano.

— Che cosa è successo?

— I russi. Si tratta del loro volo intorno alla Luna. Salta fuori che è qualcosa di più di una ricognizione intorno al satellite. Una capsula di atterraggio si è posata sul Mare della Tranquillità.

— Gli americani non ne saranno troppo soddisfatti — disse Ove. — Finora hanno considerato la Luna come un lembo d’America.

— Il guaio è — continuò la ragazza porgendogli il giornale — che dopo l’allunaggio qualcosa si è guastato nel modulo lunare. Non possono ripartire.

L’articolo diceva soltanto questo, aggiungendo la foto di tre sorridenti cosmonauti, scattata poco prima del lancio. Nartov, Shavkun e Zlotnikov. Un colonnello, un maggiore e un capitano in successione gerarchica perfetta. Tutto era stato organizzato a perfezione: riprese televisive, servizio giornalistico, decollo, primo stadio, secondo stadio, trasmissioni radio e ringraziamenti al compagno Lenin per aver reso possibile il viaggio, l’accostamento, l’allunaggio… Erano scesi sulla superficie della Luna, ed erano vivi, ma qualcosa non aveva funzionato. Dai rapporti non si capiva bene che cosa fosse accaduto, ma il risultato appariva evidente. Gli uomini erano là, intrappolati. Per sempre. Sarebbero vissuti soltanto finché fossero durate le bombole dell’ossigeno.

— Che morte orribile, così lontani da casa… — disse l’assistente, interpretando il pensiero di tutti.

Arnie rifletté, con calma, considerando l’accaduto. I suoi occhi andarono al generatore a fusione, e quando li staccò, vide che anche Ove l’aveva guardato, come se tutti e due avessero avuto la stessa idea.

— Andiamo — disse Rasmussen — torniamocene a casa. Qui, adesso, non c’è più niente da fare, e se partiamo subito riusciremo forse a evitare il traffico dell’ora di punta.

Mentre Ove si destreggiava nel fiume di biciclette, svoltando poi a nord, sulla Lyngbyvej, nessuno dei due parlò. La radio era accesa, e ascoltarono le ultime notizie fino a che non furono arrivati a Charlottenlund.

— Siete in anticipo — disse Ulla, quando li vide entrare. Ulla era la moglie di Ove, una rossa ancora piacente malgrado i suoi quarantacinque anni. Quando Arnie stava con loro, lei aveva una notevole tendenza a trattarlo troppo maternamente, perché la sua magrezza la commuoveva. Così approfittò subito di quell’occasione inaspettata. — Stavo appunto facendo il tè, e ve ne porto una tazza. Con qualche panino, per farvi resistere fino all’ora di cena. — Non si curò delle proteste e corse via.

I due uomini entrarono nel soggiorno e accesero la televisione. Il canale danese non era ancora collegato, ma quello della Svezia stava trasmettendo un programma speciale sui cosmonauti. Ascoltarono attentamente. I particolari venivano rilasciati a malincuore da Mosca, ma si cominciava a ricostruire l’intera tragedia.

L’allunaggio si era svolto regolarmente fino all’ultimo momento. La capsula era scesa nella zona scelta e, fino all’attimo in cui si era posata sulla crosta lunare, tutto era andato alla perfezione. Ma mentre venivano spenti i motori uno dei sostegni aveva ceduto. Non si sapeva con esattezza se il supporto si fosse spezzato o se fosse affondato in una buca, ma il risultato era chiaro: il modulo lunare si era inclinato su un fianco. Uno dei motori si era staccato, e una grande quantità di combustibile era andata perduta. Il veicolo non era più in grado di decollare e gli astronauti si trovavano bloccati là per sempre.

— Chissà se i sovietici hanno qualche razzo appoggio che possa arrivare in tempo? — disse Arnie.

— Ne dubito. L’avrebbero detto, se ci fosse stata la minima speranza. Hai sentito anche tu che toni da tragedia aveva l’intervista. Ormai li considerano spacciati e stanno preparando i loro busti per le onoranze.

— E gli americani?

— Se solo potessero farci qualcosa, salterebbero dalla gioia, ma non si sono ancora permessi commenti. Anche se un’astronave fosse pronta alla partenza, questo non sarebbe il mese adatto per tentare un viaggio sulla Luna partendo dall’America. E quando verrà il momento buono, per i tre cosmonauti sarà troppo tardi.

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