— E tutto si svolgerà con tanta facilità? — fece Nils, non troppo convinto.
— Perché no? — rispose Ove, cacciando fuori la testa dal compartimento macchine e ripulendosi le mani con uno straccio. — Il generatore è in funzione e l’energia erogata è del tutto soddisfacente. — Indicò la grande fotografia della Luna, incollata sulla paratia di fronte, e aggiunse: — Santo cielo! Tutti sappiamo com’è fatta la Luna, tutti l’abbiamo guardata attraverso un telescopio! E siamo in grado di localizzare il Mare della Tranquillità. Arriveremo là, nel posto esatto, e, se non avvisteremo subito i sovietici, ci serviremo del radiogoniometro per localizzarli.
— E in che punto del Mare della Tranquillità li cercheremo? Ci fidiamo di questa? — Nils indicò la foto confusa della Luna che era stata ritagliata dalla Pravda. C’era una stella rossa stampata a nord del «mare», dove erano scesi i cosmonauti. — La Pravda dice che sono lì. E noi ci orientiamo basandoci sulla foto di un giornale?
— Proprio così, a meno che abbiate voi da proporci qualcosa di meglio — rispose Arnie garbatamente. — E non dimenticate che il nostro radiogoniometro è un modello standard per piccole imbarcazioni, acquistato in un normale negozio di forniture nautiche. Vi preoccupa anche questo? Nils aggrottò la fronte, poi scoppiò a ridere. — È tutto così pazzesco, che per forza l’impresa deve riuscire! — Si abbottonò la giacca. — Blaeksprutten , al salvataggio! — gridò.
— È tutto assai più sicuro di quel che sembra — disse Ove. — In primo luogo, questo sottomarino è una nave spaziale a tenuta stagna, sperimentata, collaudata, autonoma; è stata costruita, sì, per un diverso tipo di spazio, ma lavora bene nel vuoto quanto nell’acqua. E poi la propulsione Daleth è degna di fiducia e ci porterà sulla Luna in poche ore. Inoltre il radar e il calcolatore, sulla Terra, calcoleranno per noi la rotta che dovremo seguire. Sono state prese tutte le precauzioni possibili perché il viaggio sia sicuro. In seguito si faranno altre spedizioni e gli strumenti verranno perfezionati, ma ora abbiamo tutto ciò che ci serve per andare e tornare con sicurezza. Dunque non preoccupatevi.
— E chi si preoccupa? — disse Nils. — Io sudo e impallidisco sempre, a quest’ora del giorno. Si parte?
— Ancora qualche minuto — disse Arnie, guardando il cronometro elettronico che gli stava davanti. — Ora decolleremo e prenderemo quota.
Le sue dita sfiorarono i comandi e i corpi cominciarono a premere sui sedili. Le onde si allontanarono. Sul ponte della Vitus Bering si vedevano minuscole figure salutare entusiasticamente con la mano. Poi le figure si rimpicciolirono sempre più e scomparvero alla vista, mentre il Blaeksprutten si levava sempre più veloce nel cielo.
La cosa più strana in quel viaggio, era la mancanza assoluta di imprevisti. Una volta usciti dall’atmosfera, accelerarono a un «G» costante. E un’accelerazione simile non dava sensazioni diverse da quelle date dalla gravità sulla superficie terrestre. Dietro a loro, come un giocattolo o un’immagine proiettata sopra un enorme schermo, la Terra si rimpiccioliva sempre più. E niente rumore assordante di razzi, rombo di motori, sballottamenti, vuoti d’aria… Poiché il sommergibile era a tenuta stagna perfetta, non si verificava neppure quel minimo abbassamento di pressione atmosferica che si produce sempre su un aereo di linea. Le attrezzature funzionavano alla perfezione e, una volta uscito dall’involucro atmosferico della Terra, il veicolo aumentò la velocità.
— Siamo in rotta… O almeno, stiamo puntando in direzione della stella-guida — disse Nils. — Ora potremmo metterci in collegamento con Copenaghen e vedere se ci seguono. Sarebbe simpatico sapere se proseguiamo nella direzione giusta. — Accese la ricetrasmittente sulla frequenza prestabilita e chiamò, usando il codice convenuto.
— Kylling chiama Halvabe. Mi sentite? Passo. — Girò l’interruttore. — Vorrei sapere chi è l’ubriaco che ha inventato questi nomi — borbottò tra sè. Il sottomarino era il pollo , e l’altra stazione il lemure , ma quei nomi, in gergo, significavano anche bottiglia da un quarto e bottiglia da mezzo litro di acquavite.
— Vi sentiamo forte e chiaramente, Kylling. Siete in rotta, anche se la vostra accelerazione supera leggermente l’optimum. Consigliamo una riduzione del cinque per cento.
— Ricevuto. Eseguiremo. Ci seguite?
— Affermativo.
— Manderete il segnale di inversione?
— Affermativo.
— Passo e chiudo. — Staccò l’energia. — Sentito? Le cose non potrebbero andar meglio.
— Ho ridotto l’accelerazione del cinque per cento — disse Arnie. — Sì, tutto fila alla perfezione.
— Qualcuno vuol bere una birra? — domandò Ove. — Ne hanno caricato un’intera cassa, là dietro. — Passò una lattina a Nils, ma Arnie rifiutò.
— Sbrigatevi — disse. — Non siamo lontani dal momento dell’inversione e non posso garantire che non si verifichi un po’ di confusione. Potrei ridurre a zero la spinta, prima di voltare la nave, ma così verremmo a trovarci in caduta libera per un poco, e preferirei evitarlo, se possibile. A parte le nostre preferenze individuali, le attrezzature non sono state progettate per una manovra del genere. Cercherò invece di far ruotare la nave di centootto gradi, mantenendo la spinta in pieno. Dopo di che, cominceremo a decelerare.
— Giusto — disse Nils, guardando attraverso il periscopio e facendo una correzione precisa — ma… la nostra rotta? Dovremo forse servirci di quel tubo del gas sul ponte? Quello che ha gettato Henning nella disperazione per aver dovuto praticare un foro nello scafo resistente alla pressione?
— Esatto. C’è un sistema ad obiettivo grandangolare, con un congegno di mira ottico inserito dentro.
— Del tipo usato sugli aerei da combattimento per sparare?
— Proprio così. Terrete in centro la stella come prima. Non vedo difficoltà.
— Neanch’io. — Nils si guardò intorno nel sottomarino trasformato e scosse la testa. — Qualcuno può prendere il mio posto per un attimo? Devo andare là in fondo. La birra, sapete…
L’inversione fu compiuta senza inconvenienti, e gli astronauti non si sarebbero neppure accorti di stare girando se non avessero visto la luce del sole strisciare lungo il ponte e su per la paratia. Alcuni oggetti si spostarono rumorosamente, e una matita cadde sul pavimento.
Il tempo scorreva veloce. Il sole ardeva e i tre parlarono un poco delle tempeste solari e delle radiazioni di Van Alien. Queste non costituivano un serio pericolo poiché lo scafo del sottomarino era una solida barriera metallica, infinitamente più spessa delle pareti dei razzi fino ad allora lanciati.
— Avete pensato a come potremo comunicare con i cosmonauti? — domandò Ove. Se ne stava sulla soglia del compartimento macchine, da dove poteva sorvegliare il generatore a fusione e contemporaneamente parlare con i compagni.
— Sono tutti piloti — disse Nils — dunque conoscono certo l’inglese.
Ove non era d’accordo. — Se hanno volato fuori dal territorio nazionale — disse. — Dentro i confini dello stato, la Flotta Aerea dell’Unione Sovietica usa il russo. Soltanto nei voli internazionali è necessaria la conoscenza dell’inglese per il controllo radio. Ho trascorso sei mesi all’università di Mosca, e così sono in grado di farmi capire. Però speravo che voi sapeste parlare meglio di me.
— Io parlo solo ebraico, inglese, yiddish o tedesco — disse Arnie.
— Io soltanto inglese, svedese e francese — dichiarò Nils. — Credo proprio che tocchi a voi, Ove.
Come la maggior parte degli europei con istruzione a livello universitario, Arnie e compagni erano convinti che tutti dovessero conoscere almeno un’altra lingua oltre alla propria. Gli scandinavi ne parlavano facilmente anche due o tre. E sembrava impossibile che i russi non facessero altrettanto.
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