Harry Harrison - Le stelle nelle mani

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Le stelle nelle mani: краткое содержание, описание и аннотация

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Esiste oggi, per uno scienziato, la possibilità di controllare l’uso delle sue scoperte? L’uomo che scompare dal suo laboratorio di Tel Aviv all’inizio di questo romanzo, non si fa molte illusioni al riguardo. Tenta ugualmente, con uno dei paesi più pacifici e democratici che l’Europa conosca: la piccola Danimarca. E subito tutti i servizi segreti delle grandi potenze sono in allarme. La quieta Copenhagen si trova da un giorno all’altro nell’occhio del ciclone. Ciò che le spie, gli agenti, gli informatori riescono a ricostruire non è molto e non ha molto senso: un’esplosione, una nave danneggiata in porto, un certo numero di alte personalità danesi ferite. Non si vede bene quale nesso ci sia tra questo fiasco e le stelle. Eppure, sott’acqua, si sta preparando qualcosa di fantastico.

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Il calcolatore seguiva il loro volo, e quando le quattro ore furono quasi completamente trascorse, i viaggiatori vennero informati da Terra che potevano azionare il radioaltimetro perché si stavano avvicinando al punto in cui avrebbe potuto funzionare. La sua portata massima era di centocinquanta chilometri.

— Ricevo un segnale a frange — disse Nils, emozionato. — La Luna è laggiù. — Dopo l’inversione non avevano più visto il satellite, che stava sotto la loro chiglia.

— Avvisatemi quando saremo a circa cento chilometri dalla superficie — disse Arnie. — Inclinerò la nave, così potremo sbirciare attraverso gli oblò laterali.

La tensione aumentava, ora, mentre il sottomarino spaziale si abbassava rapidamente verso la Luna, ancora invisibile sotto lo scafo.

— L’altimetro si svolge piuttosto rapidamente. — Il pilota, abituato a dominarsi, parlava in tono calmo, non rivelando la tensione che lo lacerava.

— Porto la decelerazione a due «G» — disse Arnie. — Tenetevi.

Provarono una strana sensazione, come se all’improvviso stessero diventando più pesanti: gli arti li trascinavano verso il basso, e il mento premeva sul petto. Le poltroncine scricchiolarono e il respiro degli uomini diventò faticoso. Nils allungò le mani verso i comandi e gli sembrò di avere dei pesi attaccati alle braccia. Pesava oltre centottanta chili, ora. — Ridurre la velocità di discesa — disse. — Ci avviciniamo ai cento chilometri. Ridurre la velocità di discesa fin quasi a zero.

— Resteremo fermi a questa quota, mentre cercheremo la zona che ci interessa — disse Arnie. Sentiva il proprio cuore battere forte, pompando faticosamente il sangue nella gravità raddoppiata. Ma quando ebbe regolato i comandi la sensazione di peso sparì, e sembrò a tutti di fluttuare liberamente. Il Blaeksprutten se ne stava immobile: erano entrati nel campo di attrazione gravitazionale della Luna, corrispondente a un sesto di quello terrestre. — Ora giriamo! — disse.

Gli oggetti liberi rotolarono sul pavimento e andarono a sbattere rumorosamente contro la parete, mentre la nave si inclinava; gli uomini si aggrapparono ai braccioli delle poltroncine. Una luce bianca entrò attraverso l’oblò.

Ih, du Almaegtige! — mormorò Nils. La Luna era lì. E riempiva tutto il cielo. A neanche centottanta chilometri sotto di loro. Butterata, segnata, morta e senz’aria… un altro mondo!

— Allora ce l’abbiamo fatta — esclamò Ove. — Fatta! — gridò, sempre più eccitato. — Per Diana, abbiamo attraversato lo spazio con questa carcassa e raggiunto la Luna! — Si slacciò la cintura e si levò in piedi, barcollando, sforzandosi di camminare nella bassa gravità. Scivolò, fu lì lì per cadere, e andò a sbattere contro la paratia mentre cercava di guardar fuori dall’oblò.

— Diamine, guardate! Copernico, il Mare delle Tempeste! Dove diavolo è il Mare della Tranquillità? A est, in quella direzione.

Si riparò con la mano gli occhi dalla luce riflessa, e aggiunse: — Ancora non lo vediamo, ma dev’essere là. Oltre la curva dell’orizzonte.

Silenzioso come una foglia che cade, il Blaeksprutten ritornò in posizione orizzontale, poi ruotò lungo un asse invisibile. Gli uomini dovettero appoggiarsi all’indietro per trovare l’equilibrio, mentre la prua si abbassava e la Luna riappariva, stavolta proprio di fronte.

— È un angolo sufficiente perché possiate «navigare»? — domandò Arnie.

— Sì. Da un aereo di linea la visibilità è peggiore.

— Allora mantengo la nave in questa posizione e a questa altezza, e passo a voi i comandi per gli spostamenti in avanti e di lato.

— Si parte… — canterellò Nils allegramente, mentre afferrava la leva di comando.

I tre cosmonauti scattarono sull’attenti, come meglio potevano, nello spazio ristretto del piccolo modulo. Le ultime note dell’ Internazionale si spensero e l’altoparlante della radio si riempì di scariche.

— Riposo — ordinò Nartov. E gli altri due si lasciarono cadere sulle rispettive cuccette, mentre lui afferrava il microfono e lo metteva in funzione. — A nome dei miei compagni cosmonauti, vi ringrazio. Loro sono qui, dietro di me, e sono d’accordo con me nel raccomandare a voi, compagni cittadini dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, di non rammaricarvi. Questa è una vittoria per noi tutti: per il presidente del partito, per i membri del Presidium, per i lavoratori delle fabbriche dove sono state costruite le parti del razzo e della capsula montate poi da…

L’attenzione di Zlotnikov cominciò a vagabondare: non era mai stato amante dei discorsi, lui. Durante i ventotto anni trascorsi sulla Terra aveva dovuto ascoltarne per ore e ore. E adesso… anche sulla Luna! Erano un male inevitabile, come la neve d’inverno e la siccità d’estate. Che ti andasse o meno, non si poteva far niente. Meglio prendersela con filosofia, facendo appello al famoso fatalismo slavo. Era uno dei migliori piloti da combattimento, e uno dei pochi cosmonauti; e, per mantenersi a quella altezza, valeva ben la pena di fare qualsiasi sacrificio. I discorsi erano ancora il minore dei mali. Neppure la morte gli sembrava un prezzo troppo alto da pagare. Non aveva rimpianti; il gioco valeva la candela. Però avrebbe desiderato di potersene andare con qualche discorso in meno. La voce del colonnello ronzava, monotona, e lui guardò verso l’oblò, ma si affrettò a staccarne lo sguardo, perché almeno una parvenza di cortesia era indispensabile. Tuttavia il colonnello gli voltava le spalle, e col pugno destro chiuso segnava il tempo al forte ritmo delle proprie parole. Doveva essere un buon discorso. Perlomeno, al colonnello piaceva. Zlotnikov si girò ancora verso l’oblò… Un punto luminoso che si muoveva piano, in alto, attrasse bruscamente la sua attenzione. Una meteora? Che si spostava così lentamente?

— … e quanti morirono in battaglia per conservare la libertà alla nostra grande terra? L’Armata Rossa non esitò mai ad abbracciare la morte per un bene migliore, per la pace, la libertà, la vittoria. I cosmonauti sovietici dovrebbero forse ritirarsi davanti alle loro responsabilità, ignorare le realtà di… — Il colonnello si scosse rabbiosamente di dosso la mano indiscreta che gli stava battendo sulla spalla e continuò: — …le realtà del volo spaziale, della complessità…

— Colonnello!

— …La complessità del programma, le grandi macchine, le responsabilità… — Disturbarlo nel bel mezzo del suo discorso… Ma era impazzito, quel bastardo? — …a tutti i lavoratori sovietici che hanno reso possibile…

Il colonnello si girò di scatto, per zittire con uno sguardo di fuoco Zlotnikov. Ma lo sguardo seguì invece il dito di questi, puntato verso l’oblò e si spinse oltre il vetro spesso, attraverso il paesaggio senz’aria e tormentato dai crateri, fino al piccolo sottomarino che stava lentamente scendendo nel cielo pieno di stelle.

Il colonnello tossì, spalancò la bocca, si schiarì la gola e fissò con una specie di orrore il microfono che stringeva in mano. — Termineremo questo collegamento più tardi — disse bruscamente, girando l’interruttore. — Che cosa diavolo è quello? — tuonò.

Per ovvie ragioni, nessuno degli altri due rispose. Apparivano scossi, e se ne stavano lì, senza parlare. Si udivano soltanto il sibilo estremo dell’aria impoverita che usciva dalla griglia e, alla radio, il mormorio della musica lontana che qualcuno, laggiù sulla Terra, aveva ordinato alla banda di suonare per riempire l’imprevisto silenzio dei cosmonauti.

Lentamente il sottomarino si abbassò fino a una cinquantina di metri dalla capsula, e restò sospeso un po’ sopra il terreno ghiaioso, prima di posarsi definitivamente.

Aveva alcuni fili di alghe marine, completamente secche, impastate sulla chiglia, e sottili strisce di ruggine a poppa.

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