Kim Robinson - La Costa dei Barbari

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2047: l’America soffre le conseguenze di un attacco nucleare portato a termine in maniera insospettabile da esecutori di nazioni diverse. Da quasi sessant’anni la più grande potenza mondiale è regredita a un’economia di pura sussistenza, e le comunità vivono un’esistenza separata, ristretta ognuna ai propri confini. Lo stato subisce una quarantena mantenuta con ferrea disciplina dalle squadre di sorveglianza militare giapponese e avallata dalle Nazioni Unite.
È in questo scenario apocalittico che si svolge la vicenda di Henry Fletcher, un giovane della comunità californiana di San Onofre, che per il suo sostentamento dipende interamente dalla pesca e dai raduni di baratto che si svolgono periodicamente nella valle. Dopo l’arrivo di alcuni viaggiatori di San Diego che hanno osato sfidare la vigilanza dei guardiani giapponesi. Henry viene gradualmente a conoscenza del nuovo mondo e delle sue insidie. La sua guida spirituale è Tom, l’uomo più anziano della valle, sopravvissuto alla catastrofe tristemente nota come II Giorno.
La scoperta di un mondo da cui gli americani vengono ingiustamente esclusi, il contatto con gli “stranieri” che vivono a pochi chilometri di distanza, le testimonianze di chi è riuscito a sfuggire alla prigionia in patria trascinano il giovane in un’avventura che segna la fine dell’adolescenza e la transizione verso la maturità, a cui si accompagna la speranza della redenzione per il popolo americano.

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Tom chiese a Gabby cos’era accaduto; Gab glielo spiegò in un paio di frasi. Tom non fece commenti. Il vento cadde di nuovo, udii ora il rumore delle forbici. Doc si asciugò fa fronte madida.

«Ferma così. Bene, metti l’altro capo nel barattolo, dammi subito il cerotto.»

«Cerotto.»

Qualcosa, nel modo in cui Kathryn lo disse, indusse Doc a trasalire e a rivolgere a Tom un sorriso amaro. Tom restituì il sorriso, ma poi distolse lo sguardo, con occhi pieni di lacrime. Sentii sulla spalla una mano; alzai gli occhi, guardai Rafael.

«Henry, vieni in cucina con Gabby. Non puoi fare niente, qui.»

Scossi la testa.

«Vieni, Henry.»

Con una scrollata di spalle gli scostai la mano, nascosi il viso nell’incavo del braccio. Uscito Rafael, sollevai di nuovo lo sguardo. Tom si mordicchiava una ciocca e guardava intensamente i tre. Kathryn posò l’orecchio sul petto di Mando. «Il cuore batte pianissimo.»

Mando sobbalzò. Aveva i piedi lividi.

«E le vene» disse Doc, con voce secca come il vento. «Tamponare, ohhh…» Si ritrasse, le mani strette a pugno, ai lati del collo. «Non posso farci niente. Non ho gli aghi.»

Mando smise di respirare.

«No» disse Doc. Con l’aiuto di Kathryn spostò Mando, sulla schiena anziché di fianco. «Reggi i tubi.» Premette bocca e mani sulla bocca di Mando. Soffiò dentro, tenendogli tappate le narici; si raddrizzò, gli premette con forza il torace. Il corpo di Mando si contrasse in uno spasimo.

«Henry, tienilo per le gambe» disse Kathryn, brusca.

Mi alzai rigidamente, afferrai Mando per gli stinchi, li sentii torcersi, lottare, tendersi. Rilasciarsi. Doc gli soffiò in bocca, gli soffiò in bocca, gli premette il torace, finché le pressioni divennero quasi colpi violenti. Nei tubicini colò sangue. Doc smise. Guardammo Mando: occhi chiusi, bocca aperta. Niente respiro. Kathryn gli resse il polso, cercò la pulsazione. Gabby e Rafael erano sulla soglia. Alla fine Kathryn allungò la mano sopra Mando, strinse il braccio di Doc; eravamo rimasti lì in piedi per un tempo lunghissimo. Doc posò i gomiti sul letto, abbassò l’orecchio sul petto di Mando. La testa rotolò finché la fronte posò su Mando.

«È morto» mormorò Doc.

Stringevo ancora i polpacci di Mando, quegli stessi muscoli che si erano appena contorti. Lasciai la presa, atterrito di toccarlo. Ma era Mando, era Armando Costa. Il viso cereo sembrava il viso tormentato di un fratello malato di Mando, non il viso del ragazzo che conoscevo. Ma era lui.

Dalla credenza contro la parete Kathryn prese un lenzuolo e lo distese su di lui, dopo avere scostato con gentilezza Doc. Era sudata, macchiata di sangue. Coprì il viso di Mando. Ricordai l’espressione che aveva avuto, quando lo portavo per San Clemente: perfino quella era preferibile, adesso. Kathryn girò intorno al letto, spinse Doc alla porta.

«Seppelliamolo» disse Doc, assorto. «Facciamolo subito, andiamo.» Kathryn e Rafael cercarono di calmarlo, ma lui insistette. «Voglio farla finita. Prendete la barella e portiamolo al cimitero. Voglio farla finita.»

Tom tossì forte. «Per favore, Ernest. Aspetta almeno fino a domani, amico mio. Devi aspettare la luce. Devi far venire Carmen, e scavare la fossa…»

«Possiamo farlo stanotte!» protestò Doc, petulante. «Voglio farla finita.»

«Possiamo, certo. Ma è tardi. Quando avremo terminato, sarà giorno. Allora lo porteremo lassù, lo seppelliremo davanti alla gente. Aspetta il giorno, per favore.»

Doc si strofinò il viso. «E va bene. Andiamo a scavare la fossa.»

Rafael lo trattenne. «Ci pensiamo Gabby e io» disse. «Resta qui.»

«Voglio farlo. Devo farlo, Rafe.»

Rafael guardò Tom. Poi disse: «D’accordo. Vieni con noi, allora.»

Lui e Gabby fecero indossare a Doc giacca e scarpe, lo seguirono fuori. Mi offrii di andare anch’io, ma videro che non sarei stato di alcuna utilità e mi dissero di restare. Dalla porta di casa li guardai scendere il sentiero fino al fiume. Nel chiarore che precede l’alba, Gabby e Rafael camminavano ai lati di Doc, lo sorreggevano. Tre piccole sagome sotto gli alberi. Quando scomparvero alla vista, mi girai. Kathryn, seduta al tavolo della cucina, piangeva. Andai a sedermi nell’orto.

Il vento calava un po’ d’intensità, con lo spuntare del giorno. Colpiva con violenza solo a tratti. La luce aumentava: distinguevo l’ondeggiare di rami grigiastri. Sotto il cielo pallido le distanze parevano tutte uguali. Le foglie tremolavano e pendevano immobili, tremolavano di nuovo, in ondate che s’ingrossavano lungo la cima degli alberi verso il mare. La volta del cielo divenne più chiara e più lontana, più chiara e più lontana. I grigi presero colore, i colori filtrarono nei grigi e poi il sole, verde foglia e abbagliante, incrinò l’orizzonte. Il vento soffiò una raffica.

Sedevo per terra. Ginocchio, gomito e mani mi pulsavano, dove mi ero tagliato cadendo. Impossibile che Mando fosse morto: questo pensiero mi rassicurò per lunghi tratti. Poi le mie mani sentirono di nuovo i suoi polpacci diventare inerti. Oppure udii dentro casa Kathryn rassettare… e capii che, impossibile o no, era la realtà. Ma non era un pensiero che potessi comprendere a lungo.

Il sole si era alzato più di una spanna sulle montagne, quando Doc e Gabby tornarono su per il sentiero, seguiti da Marvin e Nat Eggloff. Rafael aveva disceso il sentiero del fiume, bussava alle casa, svegliava la gente. Gabby barcollò visibilmente per l’ultimo tratto. Aveva gli occhi cerchiati di rosso, era sporco di terriccio, come Doc e Nat. Doc sollevò lo sguardo sulla casa, si fermò, attese. Marvin mi rivolse un cenno. Entrarono. Li udii parlare con Kathryn. Poi Kathryn cominciò a strillare contro il vecchio. «Sta’ giù! Non fare lo stupido! Ci basta già una sepoltura, per oggi!» Tom doveva dare dentro casa l’addio a Mando. Uscirono. Mando, avvolto nel lenzuolo, sulla barella di Rafael. Mi alzai, barcollando. Prendemmo tutti la barella, tre per parte. Lo portammo giù al fiume, oltre il ponte. Sole brutale riflesso sull’acqua. Prendemmo il sentiero del fiume, fra gli alberi. La gente avvisata da Rafael si unì a noi, una famiglia dopo l’altra, con aria sconvolta, o addolorata, o assente. Una volta, guardando indietro, vidi John Nicolin in testa al resto della famiglia tranne Marie e i bambini piccoli; aveva il viso gonfio per il dispiacere. Mio padre mi venne a fianco e mi circondò le spalle. Quando mi vide in faccia, aumentò la stretta. Per una volta non mi parve svanito di mente. Oh, aveva ancora lo sguardo vago di chi non capisce del tutto. Ma capiva. Non occorre essere intelligenti per capire il dolore. Oltre alla comprensione, nei suoi occhi c’era un leggero rimprovero. Non riuscivo a guardarlo in faccia.

Nella strettoia della valle eravamo all’ombra. Carmen ci venne incontro sulla porta di casa e ci guidò al cimitero. Indossava la tonaca delle prediche e reggeva la Bibbia. Nel cimitero c’era una fossa nuova: da un lato, una montagnola di terra fresca; dall’altro, la tomba della madre di Mando, Elizabeth. Posammo lì la barella. La gente che ci seguiva formò un cerchio. Quasi tutti gli abitanti della valle erano presenti. Nat e Rafael misero il corpo di Mando e il lenzuolo in una bara grande il doppio. Nat tenne fermo il coperchio, mentre Rafael lo inchiodava. Bam, bam, bam, bam. Raggi di sole filtravano tra i rami. Doc guardò con aria desolata i chiodi penetrare nel legno. Sua moglie e Mando erano morti giovanissimi, insieme non arrivavano alla metà dei suoi anni.

Inchiodato il coperchio, John avanzò di un passo e aiutò a sistemare le funi sotto la bara. Lui, Rafael, Nat e mio padre presero le funi e tennero sollevata sopra la fossa la bara. La calarono seguendo le brevi istruzioni sottovoce di John. Sistemata la bara, ritirarono le funi. John le raccolse e le diede a Nat: stringeva le mascelle con tanta forza da sembrare che avesse sassi in bocca.

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