«I pericolosi ribelli, i terribili schiavi che hanno osato spezzare le catene!», ghignò ironicamente Jal, accennando al gruppetto che aveva portato con sé. «È bastato un Loo per prenderli tutti al volo come farfalle, questi idioti».
Rheba non fece commenti, e l’uomo ebbe una risatina sprezzante. «Ma forse tanto idioti non sono, visto che hanno saputo causare tanti guai. Immagina il mio compiacimento, quando me li sono trovati sotto tiro. È bastato ammazzarne appena una dozzina, e i tuoi amici sono diventati così docili e ubbidienti da far pena. Ora sarò costretto a venderli, per rifarmi dei danni subiti … Ma non qui, purtroppo».
Di colpo l’espressione dell’individuo mutò, facendosi così rabbiosa e crudele che Rheba si sentì mozzare il fiato.
«Sottovalutarti è un errore che ho pagato quattrini sonanti, maledetta kaza-flatch ! Tu eri la più pericolosa. Cos’è successo alla città, dannata sgualdrina? Cos’è accaduto nell’anfiteatro? Dov’è l’Imperiale Loo-chim?
«All’inferno», disse lei.
«Morti?», sibilò Jal, incredulo.
«Tutti e due», confermò lei. «L’Imperiale e i Signori Chim non esistono più. La città è finita, e anche tu dovresti esserlo, bastardo».
Il dito di lui si contrasse sul grilletto, e nei suoi occhi Rheba lesse che il desiderio di ucciderla lo stava facendo quasi soffrire. Ma Jal aveva un forte istinto di conservazione, e per la sua sopravvivenza aveva bisogno di lei. Una città in rivolta non era un luogo salubre, per un ex padrone di schiavi.
«Il terminal sta bruciando, e tutte le astronavi sono state messe fuori uso dalla tempesta elettrica. L’intera Imperiapolis è …» Jal s’interruppe, con un mugolio di rabbia. «Voi selvaggi avete distrutto una città millenaria, una cultura superiore, una classe di aristocratici più civili di quanto voialtri barbari possiate capire. I nobili Signori di Loo sono stati assassinati dagli animali in rivolta, e quel che non hanno fatto il fuoco e la violenza lo ha fatto la tempesta».
Uno sospetto lo fece irrigidire. «Siete voi i responsabili della tempesta, vero? Confessa!»
«No», mentì lei. Ma involontariamente aveva lanciato un’occhiata in direzione di Lheket.
Notando il suo sguardo Jal si volse un attimo, vide il giovinetto che Ilfn teneva sulle braccia e ringhiò un’imprecazione. Poi volse su Rheba occhi che brillavano d’odio allo stato puro.
«Tu hai distrutto il mio popolo, la mia città, perfino la mia astronave. Adesso sono costretto a servirmi di te. Torneremo su Onan con questa, e intendo decollare subito».
Rheba non si prese la briga di rispondere. Era assolutamente certa che una volta giunto a destinazione Jal l’avrebbe uccisa, e le sembrava addirittura inutile sprecar fiato per dirgli che non lo avrebbe portato da nessuna parte e in nessun caso. Si limitò a fissarlo, chiedendosi se valeva la pena di sputargli addosso prima di morire.
Un impercettibile movimento attrasse la sua attenzione. Fssa era sgusciato dall’ombra e si stava avvicinando ai piedi di Jal, scivolando sulla superficie di una pozzanghera. L’acqua fangosa si divideva in due minuscole onde davanti alla sua testa. Giunto presso la scarpa destra dell’individuo il serpentello ebbe un guizzo e disparve sotto l’orlo della sua lunga tunica ricamata.
Perplessa Rheba vide che anche Jal s’era accorto della presenza di Fssa, e i suoi occhi esploravano il terreno per capire dove fosse andato a nascondersi. Borbottò un paio di insulti alla piccola creatura, e con la mano libera si strinse la tunica contro le gambe. Poi indicò il portello con uno scatto del lancia-aghi.
«Sali, schifosa. Andiamocene al caldo. Sono stanco di star qui a discutere al freddo e…» con un ansito improvviso perse l’equilibrio e si aggrappò alla scaletta, scosso da un tremito. Tutto il suo corpo rabbrividì con violenza. «Il f-freddo …» ripeté, battendo i denti.
Rheba vide la pistola risollevarsi faticosamente nella sua direzione, come se per puntargliela di nuovo addosso l’uomo stesse facendo uno sforzo terribile. Aveva gli occhi sbarrati. Con un balzo la ragazza si gettò da parte e rotolò sul terreno bagnato, ma dall’arma non partì alcun colpo. Nello stesso istante in cui ella toccò il suolo le sei guardie Loos morirono, attaccate dagli J/taals e dai clepts. Dapsl alzò la frusta, e quello fu l’ultimo movimento che fece, perché gli altri schiavi gli si gettarono addosso e lo schiacciarono al suolo. Quando si scostarono l’ometto dalla pelle purpurea giaceva esanime, col collo spezzato.
Kirtn aveva rialzato la ragazza da terra per spingerla al riparo, ma quando si volsero alla scaletta capirono che non era più necessario. Jal era disteso sulla pista fangosa in una posizione strana, con una gamba e un braccio sollevati rigidamente, e allorché si chinarono a toccarlo lo sentirono gelido. Ma non era semplicemente morto di freddo: il suo corpo era congelato, duro come se fosse stato appena tolto dalle profondità di un ghiacciaio, e su di esso l’umidità stava già formando perline di brina.
Da sotto la sua tunica irrigidita emerse Fssa, e Rheba vide che il serpente risplendeva e scintillava, colmo del calore che aveva assorbito dal corpo di Signore Jal. Insieme a quell’energia gli aveva risucchiato in pochi istanti anche la vita.
«Voleva farti del male», fischiò lo Fssireeme. «Comunque la sua morte è stata rapida e indolore».
Kirtn lo raccolse dal suolo e scosse la testa. «Tu non sei un parassita. Sei un predatore. E sei bello … Non sei mai stato bello come questa notte».
«Io invece ho freddo, sono bagnata e mi sento a pezzi», si lamentò Rheba. «L’unico di noi che sta bene è Fssa. Piantala di occuparti soltanto di lui».
Il serpentello volse la testa a guardarla, cambiò colore ed emise per istante uno strano collarino di piume metallizzate. Quando poi Kirtn lo avvicinò ai capelli di lei vi s’infilò svelto, mandò un suono di puro compiacimento e disparve fra essi.
I cinque J/taals s’erano accostati. Avevano in mano le armi prese agli avversari, e le porsero a Rheba con un gesto cerimonioso, come offrendole il bottino catturato in una battaglia. La ragazza stava per rifiutare allorché Fssa le mormorò un suggerimento all’orecchio, e chinando tre volte il capo indicò che accettava il dono. Ma quando vide quello che M/Dere le mostrava sul palmo di una mano le sfuggì un grido di emozione. Erano i due orecchini tolti a Jal.
Simili a gemme prive di luce ma ugualmente colme di significati preziosi, le due Facce Bre’n parvero palpitare fra le sue dita. Le fissò rapita, affascinata dall’infinito mistero che contenevano e del tutto dimentica di ciò che la circondava. In quei due piccoli volti c’era qualcosa che riusciva a captare adesso per la prima volta: un’armonia nata dalla forma, una musica che le raggiungeva la mente confondendosi nei suoi pensieri. E con la musica giungeva a lei un sussurro, parole senza suono e senza tempo nelle quali era rivelata, ogni risposta sulla totalità dei Bre’n e dei Senyasi. Con un fremito ascoltò la voce silenziosa che spiegava di qual genere fosse la loro unione, e negli occhi le comparve una luce sognante.
«Rheba». L’incitamento di Kirtn la distrasse da quell’ipnosi. «Dobbiamo decollare, prima che qualche altro Loo ci scopra. Non scordare che potrebbero avere altre astronavi in orbita, o armi pesanti».
La ragazza stentava a rammentare dove fosse, ancora assorbita in quel che aveva letto e udito nella Faccia Bre’n del proprio orecchino. Una mano di Ilfn entrò nel suo campo visivo come un’intrusa, e le tolse gentilmente l’altro di mano, assicurandolo poi all’orecchio sinistro di Lheket con la sua complessa fibbia.
Anche Rheba rimise il proprio, quindi si volse agli schiavi. «Fssa, traduci per questa gente. Dì loro che se vogliono salire a bordo li condurrò su un pianeta della Confederazione a loro scelta. O forse preferiscono restare su Loo, ora che i Signori sono morti?»
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