Quando si fu aperto la strada, afferrò Rheba e la costrinse a correre lungo un viale alberato. In quel momento un fulmine colpì un edificio alla loro sinistra, e dal suo interno si levarono fiamme. Sbalorditi si accorsero che le scariche elettriche si facevano ancor più intense, e sembravano collegare la città alle nubi sovrastanti con migliaia di dita infuocate. L’aria era satura dell’odore di ozono, il rumore si fece assordante, e i due dovettero rifugiarsi spaventati sotto l’arco di un portone.
Ma qualche minuto più tardi, mentre Rheba ansimava col volto schiacciato contro una spalla del compagno, d’improvviso i fulmini si placarono e la pioggia cessò. Nella strada c’era l’acqua alta che traboccava dalle fogne intasate, ma nel cielo rimase solo un vento freddo che prese a trascinar via le nuvole. La tempesta chiamata da Lheket era finita.
Nel tornare all’aperto Rheba si chiese se quella calma degli elementi fosse dovuta alla morte del giovinetto. Rifiutava di crederlo, ma quel pensiero le riempì gli occhi di lacrime, e sapeva che se avesse guardato Kirtn avrebbe visto lo stesso timore sul suo volto. La mano di lui la indusse a camminare, e inzuppata e stanca si avviò al suo fianco. In molti luoghi si levavano al cielo i bagliori degli incendi, mentre le strade erano canaloni di tenebra dai toni sanguigni. Il puzzo di bruciato e il fumo si fecero più. intensi.
In periferia udirono dietro di loro alcune forti esplosioni, e si volsero a osservare i tetti di Imperiapolis stagliati nel rossore degli incendi. Poco più avanti scorsero infine l’astroporto, e accelerarono l’andatura verso i cancelli secondari dalla parte del mare.
Il terminale era stato colpito dai fulmini e stava bruciando, e colonne di fumo si levavano da quasi tutte le astronavi che videro in sosta sulle piste principali. Appena entrati su quella adibita a deposito dovettero aggirare un vecchio mercantile interplanetario che s’era squarciato in due, fra le cui lamiere i cavi spezzati mandavano scintille elettriche. Più oltre due astronavi di piccole dimensioni erano in preda alle fiamme. Kirtn corse fra i relitti dei vascelli in sosta con gli occhi fissi sul Devalon , la cui sagoma lucida di pioggia era visibile più avanti. Ermeticamente chiusa, e difesa dai suoi servomeccanismi perfezionati, l’astronave Senyasi aveva accolto la tempesta con la più completa indifferenza. Rheba e Kirtn si avvicinarono con emozione al suo familiare scafo.
Tre forme sinuose e mortalmente agili balzarono fuori dall’ombra, sbarrando loro la strada. Ma subito si ritrassero, e prima ancora d’essersi potuta spaventare Rheba riconobbe i clepts. Gli animali guairono un benvenuto, e quasi nello stesso istante comparvero gli J/taals, così vicini che la ragazza sussultò. Aveva dimenticato come i mercenari sapessero muoversi rapidi e silenziosi una volta in azione.
M/Dere la accolse con un leggero inchino, e consegnò Arcobaleno a Kirtn. Lo strano essere aveva riassunto una compatta forma cristallina, ma allorché il Bre’n lo prese in mano pulsò di luce interna, quasi che lo avesse lietamente riconosciuto.
«Dove sono gli altri?», chiese Kirtn.
«Presso la nave», fischiò la voce di Fssa traducendo la risposta di M/Dere.
«Ilfn e Lheket sono salvi?»
La risposta fu ancora un fischio in lingua Bre’n, ma ad emetterlo non era stato il serpentello. Dall’ombra era uscita Ilfn, tenendo sulle braccia robuste il corpo inerte di Lheket.
«Non temete, è vivo», si affrettò a informarli la donna.
Il fischio di Kirtn vibrò fra il sollievo e un divertito rimprovero: «Dannazione! La prossima volta non lasciarlo danzare quando sotto la sua tempesta ci siamo noi».
Ilfn gli sorrise appena, poi si chinò a baciare la fronte del giovinetto Senyasi.
Rheba s’era avvicinata con ansia. «Come sta?», sussurrò notando che aveva nuove Linee di Potenza sugli avambracci.
«Si riprenderà. Lui è un Danzatore della Tempesta, ora». Per la prima volta la nota armonica con cui Ilfn lo definiva un «lui» indicò che non parlava più di un bambino.
Le preoccupazioni di Rheba sulle condizioni del ragazzo svanirono, quando s’accorse che i due Bre’n apparivano tranquilli. Con un brivido lasciò che la tensione e la paura accumulate in quell’interminabile giornata defluissero dal suo corpo sfinito. S’era lasciata alle spalle la violenza, pensò, e ora la attendevano le cure che avrebbe dovuto dare a Lheket per guarirlo e farlo divenire adulto. Kirtn le diede di gomito, accennandole di seguirlo alla nave. Il fischio in codice della ragazza fu captato e riconosciuto dai sensori esterni. Gli impianti automatici ronzarono nell’accendersi e il portello si spalancò, lasciando abbassare la breve scaletta fino al suolo. Rheba si appoggiò al corrimano con un sospiro di sollievo, avida di rientrare in quell’ambiente ben noto e rassicurante.
«Non tanta fretta, schifosa kaza-flatch !» La ragazza trasalì. A parlare era stata una voce che avrebbe creduto di non sentire, mai più, eccetto che negli incubi.
Capitolo 27
L’ULTIMO DEI LOOS
Ferma sul primo gradino della scaletta Rheba si volse. lentamente. Signore Jal era ad appena due metri da lei e la teneva sotto la mira della sua pistola lancia-aghi. Da quella distanza gli sarebbe stato impossibile mancare il colpo, ma soprattutto sarebbe riuscito a premere il grilletto prima che lei potesse colpirlo con una saetta d’energia. Il possesso di un’arma a funzionamento meccanico gli dava un vitale secondo di vantaggio su di lei, e quel secondo l’avrebbe sfruttato senza esitazione se appena avesse visto illuminarsi le sue Linee di Potenza. Rimase del tutto immobile.
Jal annuì. «Vedo che hai capito quel che ti conviene fare, sgualdrina».
Stagliata nella luce che usciva dal portello del Devalon , la ragazza non aprì bocca. Con la coda dell’occhio controllò la posizione degli J/taals, e vide che pur essendo vicini non lo erano abbastanza. Sia loro che Kirtn avrebbero certo ucciso in fretta Signore Jal, ma non prima che un ago avvelenato colpisse lei. E Ilfn aveva le braccia occupate da Lheket. Deglutendo saliva, si rese conto d’essere in trappola.
«Voialtri», ringhiò l’individuo. «Allontanatevi e senza movimenti bruschi. Muovetevi, o questa cagna morirà subito».
In silenzio gli J/taals e i clepts indietreggiarono sulla pista bagnata. Kirtn strinse i pugni ma fu costretto a imitarli, e Ilfn gli si affiancò volgendo le spalle all’astronave per riparare Lheket col suo corpo.
«Caposchiavo», ordinò Jal. «Porta qui davanti quelle cargone».
Da oltre la poppa del Devalon uscì Dapsl. L’ometto aveva in mano una frusta normale, evidentemente perché aveva capito che Rheba poteva rimandare l’energia della sferza neuronica contro chi la impugnava. Alle sue spalle avanzò una fila di schiavi malconci, a capo chino, che allo schioccare della frusta si allinearono lungo la paratia dell’astronave.
La piccola processione era affiancata da sei guardie in uniforme, e Rheba notò che erano tutte armate con lancia-aghi. Purtroppo quel tipo di pistola era intoccabile per lei, al contrario delle armi a raggi. Mentre le guardie prendevano posizione a distanza di sicurezza dagli schiavi, ella vide che anche gli J/taals si spostavano, separandosi maggiormente, pronti a gettarsi ciascuno su un avversario al minimo cenno di distrazione da parte di Jal. Solo la vista della loro J/taaleri sotto la mira di un’arma li costringeva alla cautela. Rheba capì che avrebbero attaccato a un suo segnale, anche minimo, e che subito dopo i Loos sarebbero morti … ma questo poteva costare la vita a lei prima che a loro.
Fra i suoi capelli inzuppati d’acqua Fssa mandò un sussurro: «Sei bella, Danzatrice del Fuoco».
Ma solo nel momento in cui se lo sentì scivolare giù lungo il collo la ragazza realizzò che quello del serpente era stato un saluto. Poi ci fu il lieve tonfo del corpiciattolo sulla scaletta, e quando abbassò gli occhi lo vide strisciar via nel buio. Un attimo dopo era sparito. Mormorò dentro di sé un addio allo Fssireeme, e sperò tristemente che almeno lui potesse trovare in qualche modo un futuro e la libertà.
Читать дальше