Una delle lumache, balzellando delicatamente, venne ad acquattarsi di fronte a Horton, dall’altra parte del corpo giacente. Un tentacolo si estroflesse dal molle corpo polposo, e la punta tastò cautamente Carnivoro. Horton alzò gli occhi, per guardare in faccia la lumaca, senza ricordare che non aveva faccia. L’estremità superiore del corpo ricambiò il suo sguardo… lo ricambiò come se avesse gli occhi. Gli occhi non c’erano, ma c’era la sensazione di essere guardato. Horton provò un formicolio nel cervello, strano e fioco, come una debolissima corrente elettrica, un’impressione spiacevole e nauseante.
«Sta cercando di comunicare con noi,» disse Nicodemus. «Lo sentite anche voi?»
«Cosa vuoi?» chiese Horton alla lumaca. Quando parlò, il formicolio elettrico nel suo cervello ebbe una specie di sussulto — un riconoscimento? — e poi riprese. Non accadde altro.
«Credo sia inutile,» fece Nicodemus. «Sta cercando di dirci qualcosa, ma non è possibile. Non riesce a stabilire un contatto con noi.»
«Stagno poteva parlare con noi,» disse Horton. «Stagno ha parlato con me.»
Nicodemus scrollò le spalle, rassegnato. «Queste cose sono diverse. Una mente differente, un tipo di segnale differente.»
Carnivoro riaprì gli occhi.
«Sta rinvenendo,» disse Nicodemus. «Soffrirà. Torno al campo. Credo di avere una siringa…»
«No,» disse Carnivoro, con un filo di voce. «Niente ago nel deretano. Non sarà per molto. Il mostro è morto?»
«Morto,» disse Horton.
«Bene,» disse Carnivoro. «Gli ho tagliato la maledetta gola. Sono molto bravo a farlo. Sono molto bravo, con i mostri.»
«Dovrai metterti tranquillo,» disse Horton. «Fra un po’, cercheremo di muoverti, di riportarti all’accampamento.»
Carnivoro chiuse gli occhi, stancamente. «Niente accampamento,» disse. «Qui va bene.»
Tossì, soffocato da un nuovo fiotto di sangue che gli sgorgò dalla bocca e gli scorse sul petto.
«Che ne è stato del drago?» chiese Horton. «È ancora qui?»
«È caduto dall’altra parte dello Stagno,» disse Elayne. «Non andava. Non riusciva a volare. Ha cercato di volare ed è precipitato.»
«È rimasto troppo a lungo nel tempo,» disse Nicodemus.
La lumaca alzò il tentacolo e toccò la spalla di Horton per richiamare la sua attenzione. Indicò la riva dove giaceva il mostro, una massa nera sulla terra. Poi toccò tre volte Carnivoro e tre volte se stessa. Estroflesse un altro tentacolo, e con entrambi mimò il gesto di sollevare Carnivoro, di stringerlo a sé, di cullarlo con tenerezza.
«Sta cercando di dire grazie,» disse Nicodemus. «Di ringraziare Carnivoro.»
«Forse cerca di dirci che può aiutarlo,» disse Elayne.
Con gli occhi ancora chiusi, Carnivoro disse: «Non c’è niente che può aiutarmi. Lasciatemi qui. Non muovetemi fino a che sarò morto.»
Tossì ancora.
«E per gentilezza non ditemi che non sto per morire. Resterete con me fino alla fine?»
«Resteremo con te,» disse Elayne.
«Horton?»
«Sì, amico mio.»
«Se non succede questo, mi prendevate con voi? Non mi lasciate qui? Mi portavate via quando lasciavate il pianeta?»
«Ti avremmo portato con noi,» disse Horton.
Carnivoro richiuse gli occhi. «Lo sapevo,» disse. «Lo sapevo che mi portavate con voi.»
Ormai era giorno, e il sole era una spanna sopra l’orizzonte. I raggi obliqui si riflettevano sullo Stagno.
E ormai, pensò Horton, non aveva importanza che il tunnel fosse chiuso. Carnivoro non sarebbe più rimasto in quel luogo che odiava. Elayne sarebbe partita con la Nave, e non vi sarebbe stato bisogno di trattenersi ancora. Qualunque cosa doveva accadere sul pianeta, ormai era accaduta. E vorrei sapere, pensò Horton, magari non adesso, ma un giorno vorrei sapere cosa significa tutto questo.
«Carter, guarda!» disse Nicodemus con voce tesa e sommessa. «Il mostro…»
Horton rialzò di scatto la testa e guardò, reprimendo un conato di vomito. Il mostro, che giaceva a un centinaio di metri di distanza, si stava sciogliendo. Ricadeva su se stesso, in una poltiglia putrescente. Fremeva di una vita apparente mentre si afflosciava in una pozza fetida ed oscena, da cui scorrevano rigagnoli di sozzura fumigante.
Guardò, inorridito e affascinato, mentre quello si riduceva a una schiuma oleosa e nauseante, e gli passò per la mente il pensiero che ormai non avrebbe più potuto fissarsi nella memoria la forma che aveva avuto. L’unica impressione che aveva ricavato, nell’attimo prima che Carnivoro gli lacerasse la gola, era di un grumo massiccio e tortuoso che in realtà non aveva forma. Poteva darsi che il male fosse così, pensò… che non avesse forma. Era un grumo e una pozzanghera di sozzura, e non sapevi mai che cos’era, ed eri libero di immaginarlo, spinto dalla paura dell’ignoto ad attribuirgli l’aspetto che più ti sembrava orribile. E così il male poteva assumere tante forme quanti erano gli uomini… e il male di ogni uomo sarebbe stato un po’ diverso da quello di ogni altro.
«Horton.»
«Sì, Carnivoro, che c’è?»
La voce era bassa, rantolante, e Horton s’inginocchiò accanto a lui, chinandosi per poter udire.
«Quando è finita,» disse Carnivoro, «lasciatemi qui. Lasciatemi all’aperto, dove mi possono trovare.»
«Non capisco,» disse Horton. «Chi ti deve trovare?»
«I becchini. I pulitori. I piccoli animali affamati che ingeriscono di tutto. Insetti, uccelli, animaletti, vermi, batteri. Lo farai, Horton?»
«Certo che lo farò, se vuoi. Se lo vuoi davvero.»
«Una restituzione,» disse Carnivoro. «Una restituzione finale. Non devo negare la mia carne alle piccole cose affamate. Devo fare di me stesso un’offerta a molte altre vite. Una grande comunione finale.»
«Capisco,» disse Horton.
«Una comunione, una restituzione,» disse Carnivoro. «Queste sono cose importanti.»
Mentre giravano intorno allo Stagno, Elayne disse: «Il robot non è venuto con noi.»
«È rimasto con Carnivoro,» disse Horton. «Per l’ultima veglia. È il suo modo di fare le cose. Una specie di veglia all’irlandese. Ma tu non puoi conoscere le veglie all’irlandese.»
«No. Cos’è una veglia all’irlandese?»
«Tenere compagnia al morto. Vegliarlo. Nicodemus lo ha fatto con gli altri umani che erano sulla Nave insieme a me. Su un pianeta solitario di un sole sconosciuto. Voleva pregare per loro; tentò di pregare e non ci riuscì. Pensava che non fosse giusto che un robot cercasse di pregare. Perciò fece un’altra cosa. Restò un po’ con loro. Non si affrettò ad andarsene.»
«È molto bello. Meglio di una preghiera.»
«Lo penso anch’io,» disse Horton. «Sei sicura di sapere dov’è caduto il drago? Non si vede.»
«L’ho visto cadere,» disse lei. «Credo di conoscere il posto. È proprio là.»
«Ricordi che ci siamo chiesti perché il drago era racchiuso nel tempo?» disse Horton. «Se pure era davvero chiuso nel tempo. Abbiamo scritto il nostro copione per nascondere il fatto che non sappiamo nulla. Abbiamo creato la nostra piccola favola umana per conferire un significato e una spiegazione ad un evento che sfuggiva alla nostra comprensione.»
«Per me,» disse Elayne, «è evidente, adesso, la ragione per cui era stato lasciato lì. Era stato lasciato ad attendere che il mostro uscisse dal guscio, per ucciderlo. Non so come, la nascita del mostro avrebbe fatto scattare la trappola nel tempo per liberare il drago… e l’ha liberato, per quel che è servito.»
Horton disse: «Loro… quali che siano, avevano incatenato il drago nel tempo, in attesa del giorno in cui il mostro sarebbe uscito dal guscio. Dovevano sapere che l’uovo era stato deposto: ma se lo sapevano, perché non hanno cercato e distrutto l’uovo, se lo era o qualunque cosa fosse? Perché tutta questa messa in scena drammatica?»
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