“Per salvarsi dal furore popolare, tutte le teste d’uovo confermarono la versione, dicendo sciocchezze interminabili davanti agli avvocati, ai giudici e al pubblico della televisione. Fra parentesi, questo servì anche a controbattere la voce allarmistica secondo la quale i cervelli in scatola, accumulando perversamente il sapere attraverso i secoli, sarebbero diventati inevitabilmente tiranni del mondo.
“Conclusa la crisi, rimaneva un problema: che fare delle trenta teste d’uovo? Se la maggioranza dei responsabili del colossale inganno avesse potuto fare a modo loro, senza dubbio sarebbero state liquidate senza far chiasso: ma non subito, in ogni, caso, perché questo avrebbe destato sospetti. Piuttosto, si sarebbe detto che erano morti, uno o due per volta, nel corso di una ventina di anni. Ma anche quelle morti distanziate nel tempo avrebbero tenuto vivo l’interesse, e l’obiettivo era quello di lasciare che l’intera faccenda svanisse nell’oblio.
“Anche allora le teste d’uovo, sebbene impotenti come altrettanti uomini paralizzati, avrebbero lottato per sopravvivere con i loro cervelli acutissimi, procurandosi degli alleati fra i più ambiziosi e meno importanti dei loro custodi, e riaprendo clamorosamente il caso, se necessario. Inoltre, fra i dirigenti c’era un gruppo notevole di persone che avevano sempre considerato l’immortalità delle teste d’uovo come un semplice sogno di Zukie, nonché del popolo e della stampa: e quindi credevano che i cervelli sarebbero morti presto, inevitabilmente, per imprevedibili difetti tecnologici nel loro processo di conservazione, per trascuratezza delle loro infermiere… o che sarebbero comunque impazziti a causa della loro innaturale condizione di disincarnati.
“E a questo punto entra in scena un’altra figura sbalorditiva: non un genio universale, ma un uomo straordinario sotto molti punti di vista, un editore di science fiction nella scia della grande tradizione di Hugo Gernsback. Si trattava di Hobart Flaxman mio antenato e fondatore della Editrice Razzi. Era stato intimo amico di Zukertort, e l’aveva sostenuto con il suo entusiasmo e il suo danaro. Zukie, a sua volta, l’aveva messo a capo del Trust dei Cervelli. A questo punto si fece avanti e reclamò i propri diritti: pretese la custodia dei cervelli. Poiché era conosciuto come un uomo molto solido, quella sembrò la migliore soluzione. Il Trust dei Cervelli divenne la Saggezza delle Età, un nome scelto per il suo suono falso, e tranquillamente si avviò verso un educato oblio.
“Non tutti i discendenti furono all’altezza del vecchio Hobart, ma per lo meno siamo riusciti a mantenere in vita il Trust. I cervelli hanno ricevuto cure tenere e affettuose, una dieta costante di notizie da tutto il mondo e di tutte le informazioni richieste… in un certo senso, come un vocabolario di un mulino-a-parole che viene costantemente aggiornato, adesso che ci penso. Nei primi anni, vi furono parecchie occasioni in cui si presentò la minaccia di veder finire di nuovo i cervelli sulle prime pagine dei giornali, ma ogni volta la crisi fu superata. Oggi, mentre si fanno scoperte che prolungano la durata della vita umana, i cervelli non rappresentano più una minaccia per la sicurezza pubblica, ma noi abbiamo mantenuto la nostra politica di segretezza… soprattutto per inerzia. Il mio caro papà, per esempio, non era quello che si può definire un uomo intraprendente. E io… ecco, questo esorbita dall’argomento.
“Ora, qualcuno di voi mi chiederà… — (Gaspard si accorse, con un sussulto, che Flaxman gli stava puntando contro un dito) — … perché il Vecchio Hobart, essendo un editore dotato di immaginazione, non intuì le potenziali capacità narrative dei cervelli e non li incoraggiò a scrivere e poi a pubblicare le loro opere, naturalmente sotto falsi nomi e con tutte le precauzioni. Ecco, la risposta principale è questa: erano appena venuti di moda i mulini-a-parole, i lettori erano stanchi di scrittori dotati di individualità così come lo erano i direttori editoriali: la gente amava l’oppio della produzione dei mulini, gli editori non avevano tempo né voglia di pensare ad altro.
“Ma ora… — (le sopracciglia di Flaxman si alzarono allegramente) — … non vi sono più mulini-a-parole, non vi sono neppure scrittori, e i trenta cervelli hanno il campo libero. Pensatecti! — E tese le mani in un gesto di appello. — Trenta scrittori che hanno avuto quasi duecento anni a disposizione per accumulare materiale e per maturare i loro punti di vista, che sono in grado di lavorare costantemente un giorno dopo l’altro, senza distrazioni… niente problemi sessuali o familiari, niente dolori di stomaco, niente di niente!
“Trenta scrittori provenienti da cento anni fa… di per se stesso questo è un poderoso richiamo pubblicitario, la gente va sempre pazza per l’Antico Narratore. Adesso non ho qui un elenco e non l’ho controllato da molti anni (in confidenza, una volta avevo una leggera avversione per la Saggezza delle Età… l’idea di un cervello in scatola mi fece venire un po’ i brividi, quando papà me ne parlò per la prima volta, e io allora ero un ragazzino) ma vi rendete conto che fra quei cervelli può esservi Theodore Sturgeon, o Xavier Hammerberg, o addirittura Jean Cocteau o Bertrand Russell? Questi ultimi due hanno vissuto abbastanza per potersi sottoporre al DPS, credo.
“Vedete, i primi scrittori che si sottoposero al DPS dovettero farlo nella massima segretezza. Fingevano di morire e lasciavano che i loro corpi, privati del cervello, venissero sepolti o cremati per ingannare il mondo… così come lo stesso Zukie fece per molti anni, inducendo il mondo a crederlo un semplice chirurgo del cervello che aveva l’hobby dell’elettronica. Era una operazione raccapricciante, in undici fasi, di cui si sa ben poco. Prima venivano tolti il viso e la parte anteriore del cranio, poi venivano instaurate le connessioni di nervi che presiedono alla vista, all’udito e alla parola, poi c’era il cambiamento, dal cuore alla pompa a isotopi, e finalmente tutte le altre connessioni nervose con il resto del corpo venivano bloccate e recise, una ad una…”.
“Ehi signorina Bishop, siamo pronti?”.
— Ne ho ancora per dieci minuti — rispose la ragazza.
Gaspard e Zane Gort si guardarono intorno. Un grande uovo argenteo, dalla lucentezza fioca, riposava sopra il suo cercine nero sulla parte della scrivania riservata a Cullingham. I suoi occhi TV, le sue orecchie e il suo altoparlante erano disposti in ordine davanti all’uovo, ma nessuno di essi era innestato. Per un attimo, Gaspard lo vide come un uomo i cui nervi erano stati recisi cento anni prima, il cui corpo era cenere sparsa nel vento o fango che era stato succhiato da cento generazioni di vegetali, e rabbrividì. Flaxman si fregò le mani.
— Aspettate un momento — disse mentre la signorina Bishop stava per prendere il cavo di una telecamera. — Voglio essere in grado di presentarlo in modo conveniente. Come si chiama?
— Non lo so.
— Non lo sapete? — Flaxman non nascose il suo sbalordimento.
— No. Mi avete detto di portare un cervello qualsiasi. E io ho fatto così.
Cullingham si interpose, con calma. — Sono sicuro che il signor Flaxman non intendeva affatto mancare di riguardo al vostro lavoro, signorina Bishop. Ha detto di portargli un cervello qualsiasi semplicemente perché ognuno di essi, per quel che ne sappiamo, è un artista ugualmente dotato. Quindi vi prego di dirci in che modo dobbiamo rivolgerci a lui.
— Oh — disse la signorina Bishop. — È il Numero Sette.
— Ma io voglio il nome — disse Flaxman. — Non i numeri che usate alla Nursery… il che mi dà l’impressione di una grande freddezza, fra parentesi. Spero che il personale della Nursery non abbia preso l’abitudine di trattare i cervelli come macchine… potrebbe guastare le loro capacità creative, indurii a considerarsi soltanto come dei computer.
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