Lei respirava ancora; all’interno dello spazio isolato dalle tende, egli sentiva addirittura l’aria muoversi. Portarla in un luogo riparato ne aveva solo ritardato la morte. Axxter si grattò una guancia, chiedendosi cosa avrebbe dovuto fare. Forse non sarebbe nemmeno morta per la lacerazione alla membrana, pensò. Sarebbe forse morta di fame , sarebbe tristemente deperita o qualcosa di simile, per non essere più in grado di fluttuare nell’aria e di fare tutto quello che gli angeli fanno. Come un grande uccello senza ali; come un’aquila. E avrebbe dovuto sfamarla per il resto della sua vita: non sarebbe stata una cosa lunga, ma triste. Merda; sarebbe stato più giusto ucciderla — avrebbe potuto somministrarle una quantità di anestetico dermico in grado di farlo. Avrebbe potuto spalmarglielo sulla pelle nuda e aspettare che il suo cuore sobbalzasse e poi si fermasse per sempre, soffocato da quella massa chimica.
Oppure… ecco la considerazione del mercenario; sempre in agguato: potrei chiamare la Chiedi Ricevi. E dire loro cos’aveva sul tavolo; avrebbero inviato immediatamente una squadra sul luogo. E l’avrebbero trasportata nei loro efficientissimi laboratori di ricerca e…
Scosse il capo. Andresti all’inferno — da qualche parte al di sotto delle nuvole, immaginò — se facessi qualcosa del genere. Essere responsabile del sezionamento dell’angelo. E se non ci fosse l’inferno, dovrebbe esserci per azioni simili.
Per un paio di minuti rimase fermo al tavolo, osservando l’angelo. Poi uscì dalla tenda e si arrampicò sul muro, verso la Norton. E tornò con il suo materiale da grafico. Lo sistemò sul tavolo e cominicò a tirar fuori gli attrezzi di cui aveva bisogno.
Si era assicurato con delle cinture al sidecar della Norton e riuscì anche ad addormentarsi in quella scomodissima posizione, con le gambe piegate. Non voleva trovarsi all’interno dello spazio protetto dalla tenda quando l’angelo si fosse svegliato; ne aveva già passate abbastanza senza doversi trovare davanti un grosso e spaventoso essere umano al suo risveglio.
Un suono echeggiò nel suo orecchio, svegliandolo. Gli ci volle un attimo, sbatté gli occhi e si passò la lingua sui denti, prima di capire di cosa si trattasse. — Si è svegliata? — Aveva lasciato un microfono attaccato alla tenda per cogliere anche il minimo rumore.
SUPPONGO. Le lettere si muovevano davanti ai suoi occhi. O È LEI O C’È QUALCOS’ALTRO LÀ DENTRO.
Axxter salì sulla piattaforma. Quando aprì le tende vide che l’angelo era seduto sul bordo del tavolo, lasciando dondolare i piedi. I capelli neri le cadevano sulle spalle e una ciocca le si arricciava sul seno.
Lo guardò dritto in faccia. — Ciao. — Sul suo viso e nella sua voce non c’era traccia di paura.
Egli era in piedi sul tavolo, con le tende ancora in mano. — Uh… La sua voce era spaesata. — Ciao.
Un sorriso aperto, che spezzava il cuore. — Lahft è il mio nome. Angelo il mio gioco.
Questo lo confuse. Anche fisicamente: si tenne stretto alle tende per non cadere dal tavolo. Chi diavolo sapeva che gli angeli sapessero parlare? E che dicessero anche cose quasi comprensibili! — Loft — ripeté lui, incapace di pensare a qualunque altra cosa.
Lei scosse la testa, muovendo i capelli neri. — Lahft. La-ah-ah- ahft. — Di nuovo quel sorriso. Aspettando.
Una gioia confusa e violenta lo invase, stupendolo. Quello era il motivo per cui aveva lasciato il livello orizzontale ed era andato sul verticale: guardò verso il basso e si sentì lo stomaco in gola; sì, per svegliarsi e trovarsi davanti una cosa simile… per quello. Per poter guardare quella creatura femminile. Che era qualcosa di grande. Un angelo che gli sorrideva. Era lì per lei… in un piccolo spazio e non c’era nient’altro tra lui e l’aria, se non quelle tende e il suo tavolo. Se anche gli fosse accaduto una volta sola nella vita, sarebbe già stata sufficiente. E sarebbe continuato ad accadere, da qualche altra parte. Qui fuori.
— Laaaahft. Come va così, meglio?
Lei annuì, poi rise quando lui le disse il suo nome. — Ny — Guardò verso l’alto, riflettendo su quel suono. — Ny, Nai, nei, noi. In un certo senso significa essere vicini.
La voce dell’angelo era allegra, quasi gioiosa — anche considerato quello che le era accaduto e la condizione in cui l’aveva ritrovata — e si chiese quanto davvero capisse di quello che stava dicendo o quanto piuttosto non si limitasse a ripetere a pappagallo parole che aveva sentito lì in giro. Ma dove avrebbe potuto sentirle? Forse aveva origliato… ma da chi? Lasciò perdere… sarebbe stato uno dei misteri della vita. Fece qualche passo in avanti, lasciando le tende; urtò qualcosa di piccolo e metallico con una scarpa. Guardò in basso e vide uno degli scalpelli che aveva usato per tagliare la parte bruciata della membrana dell’angelo. Tutti i suoi attrezzi medici erano disposti in ordine sul tavolo e la cassetta che li conteneva era sotto il tavolo. Era stata lei a fare quel lavoro, attentamente e in silenzio, prima di provocare inavvertitamente il rumore che aveva fatto scattare il suono d’allarme.
Scavalcò quegli attrezzi e si avvicinò al tavolo. Anche la sacca di pelle nera in cui c’erano i suoi strumenti di lavoro era lì sotto, ben chiusa; con il prudente istinto del vero libero professionista, la donna li aveva riposti con cura dove nessuno avrebbe potuto prenderli.
L’angelo non lo guardava, fissando lo sguardo sulle tende sopra la sua testa. — Il cielo è così piccolo qui. — Sembrava stupita.
— Oh… aspetta. — Si avvicinò alle tende, sganciò la chiusura e le aprì. L’angelo lo guardava con interesse e rise compiaciuta quando rivide il cielo.
— Eccoti — Axxter si attaccò al bordo del tavolo perché il vento non lo facesse cadere dalla piattaforma. Lei lo guardò con un dolce sorriso stupito. Essere meraviglioso e spontaneo; e Axxter si sentì un po’ triste. Come potrebbe conoscere qualcosa? — Sai, quello non era il cielo. Tu eri in uno spazio ristretto. Capisci? Prima ho scostato le tende.
— Prima… — Ora Lahft lo guardava. — Pri… ma — Poi guardò tranquillamente il cielo. — Ma… pri. Ma… dri. — Giocava con le parole.
Cristo! Forse Guyer l’aveva già rovinata. L’angelo sedeva sul tavolo con le mani in grembo, mentre il vento le muoveva i capelli sulle spalle. Axxter la guardò e notò che il suo desiderio di lei era diminuito. Era impossibile mantenere un interesse carnale per qualcuno — o qualcosa — tanto fragile. Sarebbe stato come violentare un bambino. E il rimorso l’avrebbe accompagnato per il resto della vita.
Oppure… — considerò un’altra possibilità — forse lei è più furba di quanto tu pensi. Per quanto riguarda le cose che gli angeli dovrebbero sapere. Solo con… un diverso senso del tempo. Se avevano il senso del tempo… si chiese quanto logico fosse che gli angeli avessero un simile concetto. Lei aveva notato qualcosa sopra le sue spalle e aveva girato il collo per vederlo meglio. La sottile membrana — di nuovo una gonfia sfera e non più il brandello lacerato in cui Axxter l’aveva trovata — rifletteva il suo viso, distorto nella lucida superficie metallica.
— Uh… sono stato io — Axxter non sapeva se stesse scusandosi o vantandosi. — Ho dovuto, perché era un bel pasticcio. Ecco perché adesso è un po’ diversa.
— Diversa?
Non c’era differenza senza il concetto di prima. — Questo… — si allungò per toccare la membrana e con la punta delle dita sfiorò il biofoglio che le aveva trapiantato per sostituire il tessuto bruciato. — Questo non è il modo in cui era… — ma si fermò vedendo il suo sguardo sorridente che non capiva. Era ; a cosa serviva? Era come insegnare matematica superiore a un gatto. Non sapeva nemmeno perché stesse cercando di spiegarle.
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