— Merda — disse rosicchiandosi un’unghia. La morte era già un avvenimento spiacevole, ma quella di un angelo era ancora peggio. Cosa doveva fare di fronte a una cosa simile? Non certo aiutarla a morire più in fretta del previsto. Non poteva spingerla verso le nuvole… e allora? Guardare e aspettare finché non fosse morta ? — Dannazione! Devo fare qualcosa per lei. Come posso fare? Cosa può aiutarla? — Le sue conoscenze mediche erano rudimentali e scarse per essere un libero professionista… e poi gli angeli erano simili agli umani? Sembrava di sì, anche se le ossa erano un po’ più sottili ed eteree, in modo da poter essere sollevate in aria… Merda, forse sono uccelli senza penne. O qualcosa di totalmente diverso, creato dagli esseri tanto intelligenti che erano vissuti prima della Guerra. Axxter scosse il capo, continuando a mangiarsi l’unghia.
— Bene… — Il vento allontanava la sua voce. — Non puoi ucciderla di più, giusto? — Strinse la presa sul cavo e si avvicinò all’angelo.
Il vento era aumentato da quando l’aveva notata. La membrana ebbe un leggero fremito, mentre il vento ne strappava i brandelli più lunghi. L’angelo sprofondò ancora di più nella specie di culla formata dal tessuto morto e un braccio esile penzolava verso le nuvole. Il suo peso strattonava il punto in cui la membrana era rimasta impigliata nel cavo, rompendosi in lunghe strisce sottili.
Axxter prese una corda dalla sua cintura e fece in modo che la testina triangolare cercasse un punto di ancoraggio sulla superficie ruvida dell’edificio. Teneva una mano sulla corda tesa, lasciandosela scivolare tra le dita; un’inelegante discesa a corda doppia, mentre con la mano libera cercava di sollevare l’angelo. Con un braccio le circondò le spalle, facendo in modo che la testa si appoggiasse al suo petto. Era quasi senza peso e gli sembrò di sollevare qualcosa d’incorporeo, una figura percepibile solo visivamente. Quell’impressione durò solo un attimo; sollevando il fragile corpo liberò una parte della membrana che era rimasta impigliata contro il muro. Il vento l’afferrò, gonfiandola come fosse una vela; la corda gli bruciava le dita mentre scendeva.
Istintivamente, strinse più forte al petto la donna, quando guardò verso il basso e vide la massa di nuvole che lambiva il muro dell’edificio, mentre i capelli dell’angelo, come una rete contro il suo viso, gli finivano in bocca quando cercava di respirare. Un’altra raffica di vento, la membrana si gonfiò e ondeggiò intorno a loro, ed egli avvertì la solida presa degli stivali al muro. Il suo pugno si strinse e la corda era come una lama tra le sue mani; si fermò perpendicolarmente al muro, spingendosi all’indietro, verso l’aria.
— Maledizione! — Guardò il viso dell’angelo. Sembrava addormentata, nuda, con la guancia appoggiata alla spalla del suo amante. Axxter sentì il calore di quella debole vita penetrargli attraverso la camicia e… Il solito maledetto vecchio scherzo. La carne. Maledetta; sei disgustoso, si disse. Sei sospeso con il culo verso le nuvole e questo è tutto quello a cui riesci a pensare? Gesù Cristo! Stancamente sollevò un braccio, un membro meno offensivo del suo corpo, dalla schiena dell’angelo e riafferrò la corda di sicurezza. Cominciò a tirarsi su, tenendo sempre saldamente l’angelo contro di sé. L’agitarsi della membrana mossa dal vento diminuì quando tornò ad avvicinarsi al muro dell’edificio.
Una volta tornato nella posizione verticale, l’angelo fu abbastanza leggero da poter essere trasportato con un braccio solo: le sue braccia penzolavano dietro alle spalle di Axxter che si stava dirigendo alla Norton. Lo mise nel sidecar e l’assicurò con una cintura che gli fece scorrere trasversalmente dal fianco all’ascella. Si piegò su di lei e sentì ancora il suo respiro… più profondo? Non poteva dirlo. Tirò fuori la sua attrezzatura da grafico e il suo tavolo da lavoro pieghevole.
Ovunque fosse fissato, quel tavolo gli forniva abbastanza spazio per muoversi agevolmente intorno a qualunque guerriero muscoloso e ben piazzato su cui stesse lavorando; l’esile forma dell’angelo occupava a malapena la metà di quello spazio. Axxter tirò le tende per ripararla dal vento e si piegò sull’angelo svenuto.
Nella debole luce che filtrava attraverso il tessuto che formava una cupola sulla sua testa, Axxter osservò il petto dell’angelo sollevarsi e abbassarsi debolmente. Avrebbe potuto applicarle qualche strumento per monitorare i suoi segnali vitali — li teneva da qualche parte nell’equipaggiamento medico — ma pensò che fosse del tutto inutile. Non avrebbe saputo cosa significassero, comunque, sia che l’angelo avesse caratteristiche umane o meno. Non c’era alcuna ferita chiaramente visibile, a parte qualche contusione: la più grande, sulla cassa toracica, mostrava il segno del cavo di transito su cui era rimasta impigliata. Le sollevò gli arti, controllando che non ci fossero fratture prima di girarla.
Riparato dal vento, ora poteva sollevare la leggera membrana per valutare l’entità del danno. Il tessuto semitrasparente aveva più elasticità di quanta si aspettasse, una sottile pellicola che si allungava tra le sue mani e i cui capillari formavano una specie di ragnatela. Solo dove la membrana era bruciacchiata il vento e il peso dell’angelo erano riusciti a lacerarla. L’abbassò, come una mantellina sulle spalle dell’angelo e si chinò a rovistare nella sua attrezzatura medica.
Usando una mezza dozzina di corde ausiliarie fissate alla struttura delle tende, Axxter allargò la membrana e la sistemò come fosse una tenda da campeggio. Ora poteva vedere con precisione l’entità della bruciatura. Qualunque lingua di fuoco l’avesse raggiunta — e l’odore della carne bruciata gli ricordò quello acre che aveva sentito nella zona distrutta — chi o cosa l’avesse presa di mira, aveva vaporizzato una sezione della membrana. Axxter valutò che si trattasse di più di un terzo della grandezza totale del tessuto. Vi aveva lasciato un buco tondo e nero che andava dal fianco sinistro dell’angelo su su fino alla nuca. La bruciatura era più ampia verso la curvatura in basso e si restringeva di qualche centimetro verso la cima. Studiando la ferita, Axxter poté immaginare ciò che aveva ridotto la membrana in cenere, come una torcia contro un palloncino di carta.
L’angelo doveva trovarsi là. Toccò il bordo della bruciatura: un frammento di membrana bruciata gli rimase sulla punta delle dita. L’angelo doveva fluttuare nell’aria con il suo dolce sorriso sulle labbra, quando i Centri dei Morti si erano spalancati su quella sezione di muro. Le urla e tutti i rumori acuti di quei succhiacisti orizzontali e la grande esplosione luminosa devono esserle apparsi molto affascinanti. Axxter scosse il capo, facendo una smorfia come se avvertisse sulla lingua il sapore acre di bruciato. E quegli stronzi — intendeva i Centri dei Morti, anche se non riusciva nemmeno a formularne il nome nei suoi pensieri — dovevano aver guardato verso il cielo attraverso il buco della parete; e lì avevano avuto la visione di quella meravigliosa donna nuda che fluttuava in aria con il viso sorridente e curiosa di capire cosa stesse succedendo… e alle sue spalle si trovava una sfera inondata di luce che assomigliava a una farfalla… Così, naturalmente, avevano rivolto le armi verso di lei o si erano limitati a guardarla con i loro occhi morti, tutti acciaio e fuoco. E l’avevano abbattuta. Brutti stronzi. Un angelo non ha alcuna opportunità in questo mondo.
— Ecco cos’hai guadagnato a essere curiosa, dolcezza. — Axxter guardò il viso addormentato dell’angelo sdraiato di fianco sul tavolo, ma questa non sembrava affatto aver sentito. — È probabilmente la fine che farò anch’io, prima o poi — e ricordò la sua passeggiata nella zona distrutta, l’odore di bruciato nelle narici, gli sguardi vuoti dei morti orizzontali, puntati su di lui.
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