K.W. Jeter - L'addio orizzontale

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Nella letteratura gialla, si sa, c’è stato
di Raymond Chandier, e in fantascienza
di Leigh Brackett, che in Italia è stato tradotto, purtroppo, con un altro titolo. Sono metafore suggestive, un modo laconico per attirare la nostra attenzione su avventure disperate, forse ai confini del possibile, ma non per questo meno profondamente umane. È perciò che, giocando sulle parole, abbiamo deciso di tradurre letteralmente il titolo di questo romanzo di K.W. Jeter: una storia intensa che ci ricorda i maestri del cyberpunk e dove ogni azione, ogni personaggio sembra fare il doppio gioco, in un intrigo che si risolve solo alla fine. Jeter è più che una promessa della fantascienza, e non esitiamo a raccomandare L’addio orizzontale ai nostri lettori come una storia «diversa» , forte e insolita, ma credibile e senz’altro avvincente come un romanzo hard-boiled.

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Ci pensò un attimo prima di parlare. — Sì, voglio qualcos’altro. — Si sfregò le mani sulle ginocchia. — Prima di tutto, questa volta voglio una linea protetta.

Guyer alzò lo sguardo dal libro che teneva in mano quando egli comparve. — Che dolce. — Disse sorridendo. — Hai fatto tutta questa strada.

Gli OloGiorni avevano portato la sua immagine fluttuante nello spazio, a un metro di distanza dal muro. Egli allungò una mano e afferrò la cintura che assicurava la donna. Da qualche punto della parete metallica, arrivava alle sue orecchio il nitido e debole suono della sua moto.

— Volevo vederti un’altra volta.

La donna lasciò un dito nel libro per non perdere il segno. — Dev’esserti costato parecchio.

La sua immagine incorporea scosse le spalle. — Mi hanno addebitato una sovrattassa per aver dovuto cercare la tua posizione. Tutto qui.

Il sorriso della donna si fece triste. — Di solito non faccio nulla, se non con corpi reali. È una delle mie preferenze, Ny. Se è per questo che sei venuto. — Appoggiò il libro su un piccolo cuscino al bordo della cintura. — Sai che ci sono dei posti dove puoi andare per questo; potrei raccomandartene qualcuno.

Lui scosse la testa. — No. Non è importante. Ma… se tu volessi provare… ho pagato per avere un completo apparato sensoriale… con intensificazioni sulla linea. Potrei rispondere davvero bene.

La donna spalancò gli occhi. — Davvero? Devi sentirti davvero in forze.

L’immagine di Axxter chinò la testa all’indietro e guardò l’imponente edificio, scuro come la notte che lo circondava. — No… — Guardò di nuovo la donna. — No, mi sento una merda.

— Be’… in questo caso… — Guyer allungò la mano e gli aprì la camicia. Sulla sua pelle c’era uno strato di fumo. — Ti costerà un po’ di più. Sai, per principio.

— Certo. — Chiuse gli occhi. Le mani della donna lo sentivano fremere mentre gli accarezzava la schiena. — Io capisco ogni cosa.

Axxter appoggiò la testa sul suo seno. Erano insieme nella cintura; lei lo teneva tra le braccia, un piacevole cerchio intorno all’immagine. — Ho visto me stesso. — Egli la guardò negli occhi. — Prima. Prima di venire qua.

Lei fece il gesto di scompigliargli i capelli, ma in realtà le sue dita non potevano neanche sfiorarli. — Davvero?

— Era come uno specchio. Solo che si muoveva anche se io stavo fermo.

Egli sentì che la donna si era irrigidita. — Ny… — Il suo sguardo non era più scherzoso adesso. — Se vedrai ancora qualcosa di simile, e se ti rivolgerà la parola, non ascoltarlo. D’accordo? Semplicemente non farlo. Io conosco queste cose.

L’immagine di Axxter si sollevò sui gomiti. — Cosa potrebbe dirmi? È solo uno dei tanti fantasmi sulla linea.

Con una mano, la donna si coprì con il lenzuolo. — Alcuni spettri sono diversi dagli altri. — Si lisciò il lenzuolo sulle gambe. — Vogliono tutti giocare. — Pronunciò quella parola con amarezza. — Solo che vogliono farlo in modi diversi, a volte.

Egli non disse nulla, mentre la guardava scostarsi i capelli dal viso.

— È meglio che tu vada, Ny. Stai spendendo un sacco di soldi.

Lui annuì. — Cosa ti devo?

— Lascia stare. Te lo metterò sul conto; ci metteremo a posto la prossima volta. — Si appoggiò al cuscino e chiuse gli occhi.

Quando tornò nel suo io corporeo, Axxter chiese il resoconto del suo conto corrente. Le escursioni di quella notte gli avevano mangiato i profitti ricavati dalla vendita dei film degli angeli e delle rovine spettrali. Sotto il bagliore della Piccola Luna, egli guardò il muro del Cilindro fino alla sagoma della zona metallica distrutta. Un buio profondo che si stagliava contro le fitte tenebre. Tutto il calore era svanito.

4

Un angelo morto. Un altro angelo morto; per un attimo Axxter pensò che il film del vecchio Opt Cooder, quello che aveva guardato così spesso da ragazzino, mentre ancora si trovava al settore orizzontale, fosse in qualche modo uscito dagli archivi e si trovasse ora davanti ai suoi occhi. Fermò la Norton e guardò oltre il manubrio, verso il basso. La confusa sovrapposizione tra il passato registrato e il sanguinante presente svanì, mentre il delicato cadavere giaceva impigliato sul cavo di transito dove si era bloccata la ruota della moto.

Era una donna; giaceva immobile con il piccolo seno contro il muro d’acciaio, cullato dalla membrana sgonfia sulle spalle. Il sottile tessuto non aveva più la forma sferica gonfiata dai gas; era solo un brandello grigio mosso dal vento. Annerito; mentre Axxter lo guardava, il vento soffiava via la cenere dai suoi bordi bruciacchiati. Era diverso dall’angelo filmato da Cooder, il cui corpo non mostrava alcuna ferita evidente e la membrana era sgonfia solo perché il sangue aveva smesso di scorrere. Ed era biondo, pallido, quasi trasparente. Quello che aveva davanti a sé era moro; guardò la scura chioma che le ricadeva sulle spalle, poi la bianchissima pelle delle braccia: che contrasto cromatico.

Il vento afferrò una piega della membrana, gonfiandola dietro alla testa dell’angelo. Il suo viso si girò, baciato dal vento, e alzò il mento, facendo risaltare il lungo collo. Sembrò che quel corpo ricambiasse lo sguardo di Axxter, anche se gli occhi erano nascosti dalle lunghe ciglia scure. Trasalì quando riconobbe l’angelo.

È lei. Ne era certo, l’aveva stampata nella memoria; non aveva bisogno di controllare la registrazione in archivio. Che io sia dannato; spense il motore della Norton che disturbava quella scena e i suoi pensieri. Era lo stesso viso che aveva visto l’ultima volta: le sopracciglia tremanti e la bocca aperta come se stesse piangendo; la testa all’indietro e i capelli scuri al vento; le mani contro il petto dell’uomo e la membrana gonfia, dietro alle sue spalle, inondata dalla luce dell’alba… aveva visto allora quel viso, nel mirino della telecamera che riprendeva gli angeli che facevano l’amore lontani dal muro del Cilindro. Ora lo stesso viso era lì, davanti a lui, davanti alla ruota della sua moto, con la membrana sgonfia simile a un cuscino preparato per un lungo sonno.

Egli sapeva perché aveva provato quel brivido. Irrazionale: non avrei dovuto filmarla. Filmarli. Aveva rubato loro la vita, proprio mentre non lo stavano guardando, intenti com’erano ad altro. Bel lavoro, campione; l’hai rubata e venduta e adesso ti trovi davanti al suo corpo senza vita. Giusto per farmi sentire una merda.

Provò disgusto al pensiero mercenario di tirar fuori la telecamera e filmarla. Vadano tutti a fare in culo; gli occhi ingordi di quelli che vivevano nell’edificio avevano già un angelo morto da guardare.

Axxter scese dalla moto e i suoi stivali si agganciarono al muro. Con una mano cercò di afferrare il cavo di transito e a fatica si arrampicò fino al punto in cui si trovava l’angelo. Il tessuto della membrana, tanto simile a seta, gli avvolse il braccio. Voleva liberarla dal cavo e farla scivolare via dall’edificio, giù, fino allo strato di nuvole e oltre, dove tutti gli angeli morti andavano a riposare. La sua mano si trovava a un centimetro dal viso dell’angelo quando avvertì un debolissimo alito d’aria, più caldo di quello del vento. Svanì, poi lo sentì ancora: un respiro, più profondo di quello che aveva sentito un attimo prima.

— Cristo! — Con delicatezza le sfiorò la gola. Una leggerissima pulsazione. La testa dell’angelo cadde da una parte quando egli ritrasse la mano.

Viva. Qualunque cosa avesse distrutto e bruciato la membrana (un ricordo, il luogo scuro dietro al metallo lacerato e l’odore di oggetti bruciati , si mosse nei suoi pensieri) aveva lasciato un filo di vita nel fragile essere. Ma, naturalmente, non per molto. Quel corpo pieno di luce che egli aveva filmato due mattine prima stava ora diventando grigio, insieme al materiale simile a seta che fluttuava intorno alle sue braccia. Pensò che si fosse trattato di uno shock, forse qualche ferita interna. La perdita di sangue sembrava minima e non c’era alcuna lacerazione visibile sulla pelle. La bruciatura aveva cauterizzato tutte le vene che portavano sangue alla membrana.

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