Jack Vance - L'ultimo castello
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- Название:L'ultimo castello
- Автор:
- Издательство:Mondadori
- Жанр:
- Год:1994
- Город:Milano
- ISBN:88-04-38222-8
- Рейтинг книги:4 / 5. Голосов: 1
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— Claghorn — disse Xanten. — Ho fatto tutta questa strada per staccarvi quella vostra testa arrogante… — ma l’altro non gli dava più retta e si era rimesso al lavoro.
— Claghorn! Ascoltatemi!
— Xanten, andatevene da un’altra parte a urlare, per favore, sfogatevi con i vostri Uccelli.
Xanten si girò e riprese il viottolo. Le ragazze intente alla raccolta delle more lo fissarono con aria interrogativa e si spostarono per lasciarlo passare. Xanten si guardò intorno, ma Glys Meadowesweet non si vedeva da nessuna parte. Riprese a camminare ancora più adirato, ma si fermò di colpo quando vide Glys a poca distanza dagli Uccelli, seduta sul tronco di un albero abbattuto intenta a esaminare un filo d’erba come se fosse una testimonianza del passato. Miracolosamente gli Uccelli gli avevano obbedito e lo avevano aspettato con un certo ordine.
Xanten guardò il cielo e sferrò un calcio sull’erba. Respirò e si avvicinò a Glys. Vide che aveva infilato un fiore nei capelli sciolti.
Dopo alcuni istanti la ragazza sollevò lo sguardo e lo fissò in viso.
— Perché siete tanto adirato?
Xanten si picchiò la coscia con la mano, quindi si sedette vicino a lei.
— Adirato? Niente affatto. Sono solo esasperato. Claghorn è ostinato come un mulo. Sa come salvare Castel Hagedorn ma non vuole dirmi il segreto.
Glys Meadowesweet scoppiò a ridere, una risata disinvolta e piacevole, del tutto diversa da quelle che si udivano al castello.
— Il segreto? Ma se lo so anch’io!
— Eppure deve essere un segreto e non me lo vuole rivelare.
— Ascoltatemi. Se non volete che gli Uccelli sentano ve lo dirò a bassa voce — e gli sussurrò alcune parole all’orecchio.
Forse fu quel dolcissimo respiro che gli sconvolse la mente, comunque il concetto della rivelazione non riuscì a entrare nella testa di Xanten. Proruppe in un risolino acre.
— Ma questo non è un segreto, è solo quello che gli Sciti chiamavano bathos. È un disonore per noi nobili! Forse che balliamo con i Contadini? o serviamo le essenze agli Uccelli? o parliamo con loro della bellezza delle nostre Phane?
— E così è un «disonore»? — Glys balzò in piedi. — Allora dovreste sentirvi disonorato anche a stare qui a parlare con me, a starmi seduto vicino facendo delle ridicole insinuazioni!
— Ma io non ho fatto nessuna insinuazione! — protestò Xanten. — Me ne sto qui seduto con un contegno più che decoroso…
— Troppo decoro, troppo onore! — Con uno slancio che stupì Xanten, Glys si strappò il fiore dai capelli e lo gettò a terra. — Andatevene via!
— No — le rispose Xanten, improvvisamente umile. Si chinò a raccogliere il fiore, lo baciò e lo rimise fra i capelli della ragazza. — Non voglio esagerare con l’onore. Prometto che cercherò di fare del mio meglio. — Le circondò le spalle con le braccia ma lei lo allontanò.
— Voglio sapere — gli chiese con un tono da donna matura — avete qualcuna di quelle donne insetto?
— Io? Una Phane? No, neanche una.
Glys si calmò e si lasciò abbracciare, nonostante le risate sghignazzanti degli Uccelli che facevano rumore con le ali.
XIII
L’estate era al termine. Il 30 di giugno Janeil e Hagedorn celebrarono la Festa dei Fiori nonostante l’altezza della diga intorno a Janeil aumentasse sempre di più. Poco tempo dopo Xanten volò a Castel Janeil per proporre al Consiglio di evacuare il castello per mezzo degli Uccelli. I consiglieri ascoltarono impietriti, e senza profferir parola passarono a un altro argomento.
Xanten tornò a casa e muovendosi con la massima discrezione riuscì a convincere una quarantina di cadetti e nobili. Non gli riuscì comunque di mantenere nel segreto la base del suo intento.
I tradizionalisti all’inizio fecero del sarcasmo lanciandogli accuse di poltroneria, ma dopo insistenti raccomandazioni di Xanten i suoi compagni, anche quelli più impulsivi, rinunciarono a qualsiasi reazione.
Castel Janeil cadde la sera del 9 settembre. La notizia giunse a Castel Hagedorn alcuni giorni dopo portata dagli Uccelli che continuavano a ripetere sempre più istericamente l’orribile svolgimento dei fatti.
Hagedorn, smarrito e sfinito, riunì subito il Consiglio che prese nota del terribile avvenimento.
— Siamo rimasti l’ultimo castello, adesso! Molto probabilmente i Mek non possono farci del male. Possono circondarci di dighe per vent’anni di fila, arriveranno soltanto alla disperazione. Noi siamo al sicuro, comunque è strano pensare che qui a Castel Hagedorn vivono gli unici nobili sopravvissuti dell’intera razza umana!
Intervenne Xanten, con parole colme di convinzione.
— Vent’anni… cinquanta… che differenza fa per i Mek? Una volta che ci avranno circondato saremo in trappola. Ma non capite che questa per noi è l’ultima possibilità di fuga?
— Fuggire? Che cosa va dicendo! È vergognoso! — tuonò O.Z. Garr. — Prendete pure il vostro gruppo di disgraziati e andatevene, nella steppa, nella palude, nella tundra… dove volete, voi e i vostri poltroni, ma per favore, non angustiateci più con questi stupidi allarmismi!
— Garr, da quando sono diventato un «poltrone», come dite voi, ho capito una cosa: che la sopravvivenza consiste nella buona morale. L’ho appreso dalla bocca di un gran saggio.
— E chi sarebbe?
— Se ci tenete proprio a saperlo, si tratta di A.G. Philidor.
O.Z. Garr si batté una mano sulla fronte.
— Parlate dell’Espiazionista forse? È uno dei più estremi, uno dei più arrabbiati. Xanten, siate ragionevole!
— Abbiamo davanti lunghi anni… sempre che ci liberiamo del castello — replicò Xanten impassibile.
— Ma il castello è tutta la nostra vita! — esclamò Hagedorn. — Cosa saremmo noi senza di esso? Animali, Nomadi?
— Saremmo vivi.
O.Z. Garr sbuffò e si volse verso la parete per esaminare un arazzo.
Hagedorn scosse il capo, dubbioso e perplesso. Beaudry alzò le mani al cielo.
— Xanten, riuscite sempre a esasperarci. Venite qui e iniziate a insistere sulla necessità di affrettarci… perché? Qui siamo al sicuro come tra le braccia materne. Cosa potremmo guadagnare lasciando tutto… l’onore, la dignità, gli agi, le raffinatezze della civiltà… e solo per nasconderci in posti desolati?
— Anche Janeil si riteneva che fosse sicuro — replicò Xanten — e adesso, cos’è? È solo morte, putredine, vino acido. Cosa ci guadagneremmo a nasconderci? La vita! E io ho intenzione di fare molto di più che nascondermi.
— Si possono citare centinaia di situazioni nelle quali la morte è preferibile alla vita — insorse Isseth. — Dobbiamo forse morire disonorati? Dovremo rinunciare alla dignità proprio negli ultimi anni?
Entrò B.F. Robarth.
— I Mek si stanno avvicinando — annunciò.
Hagedorn si guardò intorno disperato.
— Non riusciamo a metterci d’accordo? Cosa faremo?
Xanten sollevò le mani.
— Ognuno farà quello che ritiene meglio per lui! Io non ho più niente da dire, ho deciso. Hagedorn, vi prego di togliere la seduta in modo che ciascuno possa dedicarsi a quello che più gli preme… e che io mi possa nascondere.
— La seduta è tolta — annunciò Hagedorn e tutti corsero sui bastioni.
I Contadini marciavano intruppati lungo il viale interno al castello. Venivano dalle campagne circostanti e avevano sulle spalle il loro fardello. All’altro lato della valle, ai confini della foresta di Bartholomew, c’era una massa d’oro brunito, affiancata da un gruppo di energovagoni: i Mek.
Aure allungò il braccio verso Ovest.
— Guardate… salgono dalla Lunga Palude — poi si volse a Est. — E anche da Bambridge!
Quasi di comune accordo tutti si volsero per scrutare il crinale settentrionale e O.Z. Garr individuò anche da quella parte le sagome d’oro brunito.
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