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Jack Vance: L'ultimo castello

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Jack Vance L'ultimo castello

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Jack Vance

L’ultimo castello

I CLAN DI CASTEL HAGEDORN E I CASATI ASSOCIATI

CLANCOLORICASATI
Xanthengiallo, profili neriHaude, Quay, Idelsea Esledune, Salonson Roseth
Beaudryblu scuro, profili bianchiOnwane, Zadig, Prine, Fer, Sesune
Overwhelegrigio, verde, rosette rosseClaghorn, Abreu, Woss, Hinken, Zumbeld
Auremarrone, neroZadhause, Fotergil, Marune Baudune, Godalming, Lesmanic
Issethviola, rosso scuroMazeth, Floy, Luder-Hepman Uegus, Kerrithew, Bethune

Il primo nobile del castello, eletto a vita, prende il nome di “Hagedorn”. Il capo clan, scelto dagli anziani dei casati, porta il nome del suo clan, pertanto “Xanthen”, “Beaudry”, “Overwhele”, “Aure”, “Isseth” indicano tanto i clan quanto i capi clan.

L’anziano del casato, eletto dai capi delle famiglie, prende il nome del suo casato. Quindi “Idelsea”, “Zadhause”, “Bethune”, “Claghorn” indicano sia i casati che gli anziani dei casati.

Gli altri nobili e dame hanno come primo nome quello del clan, quindi quello del casato e infine il nome personale. Pertanto: Aure Zadhause Ludwick è abbreviato in A.Z. Ludwick, e Beaudry Fer Dariane è abbreviato in B.F. Dariane.

I

Al termine di un tempestoso pomeriggio estivo, quando il sole stava finalmente aprendosi un varco tra le nere e rotte nuvole gonfie di pioggia, Castel Janeil venne espugnato e i suoi abitanti annientati. Fino all’ultimo le fazioni presenti nel castello avevano litigato tra di loro sul modo migliore di combattere il Destino, ma i nobiluomini più in vista erano arrivati alla conclusione di ignorare quella circostanza tanto poco decorosa e di continuare le quotidiane occupazioni con la solita attenzione. Alcuni cadetti, disperati, avevano impugnato le armi per resistere, la maggior parte invece si era predisposta per una passiva attesa. Erano pronti, anzi quasi felici, di espiare i peccati dell’intera umanità.

La morte giunse uguale per tutti, soddisfacendo ciascuno. I più orgogliosi se ne stavano seduti sfogliando i loro magnifici libri, parlando dei pregi di un’antica essenza o coccolando la Phane preferita. Costoro morirono senza degnarsi di rendersene conto. I più agitati corsero sul pendio fangoso che, contraddicendo ogni criterio razionale, sovrastava i parapetti delle mura. La maggior parte di questi furono travolti dalle frane di sassi; quelli che riuscirono a raggiungere la cima si batterono furiosamente con le pistole, le asce e altre armi da taglio finché vennero a loro volta colpiti da proiettili, trafitti da pugnali, massacrati dalle asce. I più mortificati si disposero in attesa assumendo la classica posa dei penitenti, in ginocchio a capo basso, e credettero di perdere la vita per un processo nel quale i Mek fungevano da simboli e la realtà umana era il peccato.

Insomma morirono tutti: nobiluomini, dame, Phane nei padiglioni, Contadini nelle stalle. Della popolazione di Janeil sopravvissero solo gli Uccelli, creature goffe, senza voce, maldestre, ignare della fierezza e della fedeltà, più interessate alla propria vita che alla dignità del castello. Non appena i Mek superarono in massa i parapetti, gli Uccelli, strillando striduli oltraggi, fuggirono verso oriente, diretti ad Hagedorn, l’ultimo castello della Terra.

II

I Mek erano comparsi davanti a Janeil quattro mesi prima, appena finito il massacro di Isola del Mare. I nobiluomini e le dame del castello avevano osservato quei guerrièri d’oro brunito dalle torrette o dalle balconate, o percorrendo la Promenade del Tramonto , oppure dai bastioni o dai parapetti. Avvertivano dentro di loro un miscuglio di differenti sensazioni: indifferenza, disprezzo, dubbi e tristi presentimenti. La civiltà squisitamente sottile in cui vivevano, la protezione delle mura, l’incapacità a concepire un modo per cambiare le cose determinavano in loro questo stato di cose.

I Mek di Janeil già da tempo erano andati a unirsi ai rivoltosi. Erano rimasti solo le Phane, i Contadini e gli Uccelli, la caricatura di una forza punitiva. Ma per il momento non ve n’era bisogno. Janeil era inespugnabile. Le mura, sessanta metri d’altezza, erano composte di roccia fusa, trattenuta e rafforzata da reti d’acciaio azzurrino. Le esigenze del castello erano soddisfatte dalle celle solari e in casi estremi si poteva ricavare il cibo dall’anidride carbonica e dal vapore, così come si poteva produrre lo sciroppo per le Phane, per i Contadini e per gli Uccelli. Ma una simile necessità non venne neppure considerata. Janeil era autosufficiente e sicura, anche se, data l’assenza dei Mek, avrebbero potuto sorgere dei problemi per le eventuali riparazioni dei macchinari. La situazione, pertanto, era incerta ma non disperata e durante la giornata alcuni nobiluomini presero le pistole a energia e i fucili da caccia e ammazzarono tutti i Mek che si portavano a tiro.

Col buio, gli invasori avvicinarono gli energovagoni e i muoviterra e iniziarono a spingere terra contro le mura del castello. Gli abitanti di Janeil non riuscirono a capire cosa stesse succedendo finché la terra arrivò ai quindici metri d’altezza e il terriccio iniziò a riversarsi all’interno delle mura. A quel punto l’intenzione dei Mek fu chiara a tutti e il disinteresse lasciò il posto a tristissime premonizioni. Tutti i nobili di Janeil eccellevano in un campo del sapere: alcuni erano matematici, altri avevano approfondito le scienze fisiche. Un gruppo di questi ultimi cercò, con l’aiuto dei Contadini, di riportare in funzione il cannone a energia, ma disgraziatamente il suo stato di conservazione era tutt’altro che buono. Alcune parti erano corrose, altre danneggiate. Sicuramente si sarebbero potute sostituire con pezzi di ricambio fabbricati nelle officine dei Mek al secondo sottolivello, ma nessuno conosceva la terminologia dei Mek né tantomeno il criterio usato nel magazzino. Warrick Madency Arban suggerì di far perlustrare il magazzino da un gruppo di Contadini. Ma viste le scarse capacità intellettive di costoro la proposta cadde nel vuoto e anche il progetto di riparare il cannone a energia venne accantonato.

I nobili del castello, uomini e donne, restarono a guardare, affascinati, il mucchio di terra che diventava sempre più alto intorno a loro creando una barriera simile al bordo di un cratere. Un giorno temporalesco di fine estate la terra e il pietrisco superarono il livello delle mura e iniziarono a penetrare all’interno, riversandosi nei cortili e nelle piazze. Presto Janeil sarebbe rimasta sepolta e i suoi abitanti sarebbero morti soffocati. Fu allora che alcuni tra i cadetti più giovani, più spinti dallo slancio che guidati dalla dignità, si armarono e si inoltrarono sul pendio. Vennero ricoperti da terriccio e pietre, ma non tutti perirono. I sopravvissuti raggiunsero la vetta e lottarono in preda a una tremenda esaltazione.

La violenta battaglia durò una quindicina di minuti. La terra era bagnata di pioggia e di sangue. Per un istante i cadetti riuscirono a scacciare i Mek dalla cima e se la maggior parte dei loro compagni non fosse stata sepolta dal pietrisco sarebbe potuto accadere l’impossibile. Invece i Mek si ricomposero e ripresero ad avanzare. I cadetti restarono in dieci, poi in quattro, poi uno solo, infine nessuno. Gli avversari scesero in marcia dal pendio, scavalcarono i parapetti e uccisero ferocemente tutti quelli che erano nel castello.

Janeil, casa di valorosi e di graziose dame per più di settecento anni, era ridotta a un mucchio di rovine senza vita.

III

I Mek erano abbastanza simili all’uomo e provenivano da un pianeta di Etamin. Avevano la pelle dura e coriacea, bronzo-ruggine, talmente lucida da sembrare oliata o incerata. Dal collo e dallo scalpo fuoriuscivano delle spine rivestite da un sottile strato di cromo-rame. Gli organi sensoriali erano raggruppati al posto delle orecchie e il volto, completamente corrugato e simile a un cervello umano, faceva spesso sobbalzare chi lo incrociava in uno dei corridoi inferiori. La mandibola era perfettamente inutile, data la presenza del sacco da sciroppo sotto la pelle delle spalle, e l’apparato digerente si era atrofizzato. I Mek non indossavano nessun indumento, fatta eccezione per il grembiule da lavoro e la cintura per gli attrezzi, e la loro pelle faceva un piacevole effetto vista alla luce del sole. Da soli, i Mek erano efficienti come gli uomini, anzi, di più, merito del cervello che fungeva anche da ricetrasmittente. Quando invece erano in gruppo, parevano un ibrido tra un subumano e uno scarafaggio e il loro comportamento era assai meno ammirevole.

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