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Jack Vance: L'ultimo castello

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Jack Vance L'ultimo castello

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Alcuni scienziati, soprattutto D.R. Jardine di Luce del Mattino e Salonson di Taung, ritenevano i Mek tranquilli e flemmatici. Claghorn di Castel Hagedorn, invece, la pensava diversamente e sosteneva che le emozioni dei Mek erano talmente differenti da quelle degli uomini da risultare quasi incomprensibili. Dopo lunghe e faticose ricerche Claghorn aveva individuato una dozzina di emozioni mek.

Ma nonostante questi studi la rivolta dei Mek colse tutti alla sprovvista, anche Claghorn, D.R. Jardine e Salonson. Perché? si chiedevano tutti. Come aveva fatto una razza tanto a lungo sottomessa a ordire un complotto così crudele?

L’ipotesi più ragionevole era anche la più semplice: l’avversione dei Mek verso la schiavitù e verso gli uomini che li avevano tolti al loro habitat naturale. Alcuni sostenevano invece che tale teoria trasportava emozioni umane in esseri non umani. Secondo loro i Mek avevano mille motivi per essere grati agli uomini che li avevano liberati da Estamin Nove. Ma i sostenitori della prima teoria ribattevano che anche gli avversari giudicavano secondo parametri essenzialmente umani, al che venivano rimbeccati: — Dal momento che non si sa la verità, nessuna ipotesi è assurda.

IV

Castel Hagedorn si ergeva su un picco di diorite che sovrastava un’ampia valle aperta verso Sud. Più grande e imponente di Janeil, il castello era circondato da mura che avevano una circonferenza di milleseicento metri e un’altezza di novanta. I parapetti si innalzavano a più di trecento metri dal fondovalle e torri e torrette arrivavano ad altezze anche maggiori. A Est e a Ovest della fortezza si aprivano dei precipizi ininterrotti fino a valle, mentre gli altri pendii, più dolci, erano stati modellati a terrazze per la coltivazione di carciofi, viti, peri e melograni. Un viale che partiva dal fondovalle saliva fino alla piazza centrale del castello girando tutto intorno al picco. Davanti alla piazza centrale si trovava la Rotonda, circondata dai palazzi dei ventotto casati.

Al tempo della sua costruzione, al ritorno degli uomini sulla Terra, il castello sorgeva sulla odierna piazza. Era stato il decimo Hagedorn che, avvalendosi di un contingente di Mek e di Contadini, aveva fatto costruire le nuove mura e abbattere il vecchio castello. Sempre allora, cinquecento anni prima, erano stati edificati i ventotto palazzi.

Sotto la piazza erano stati scavati tre livelli di servizio. Più in basso di tutti quello per le stalle e le rimesse, quindi quello per le officine dei Mek e i loro quartieri, infine quello per il forno, la distilleria, il lapidario, l’arsenale, il deposito e gli altri magazzini speciali.

L’Hagedorn attuale, il ventiseiesimo, era un Claghorn degli Overwhele. La sua elezione aveva stupito tutti, dal momento che O.C. Charle, come veniva chiamato, non eccelleva né per l’aspetto né per la presenza. Non spiccava per eleganza, intuito o istruzione, e non si era mai distinto per originalità di pensiero. Fisicamente era ben proporzionato: aveva il volto squadrato e ossuto, con il naso corto e diritto, la fronte benevola e piccoli occhi grigi. Sembrava sempre distratto, «vacuo» lo definivano i suoi diffamatori, ma quell’espressione si trasformava velocemente in un atteggiamento imbronciato di testardaggine con un semplice movimento delle ruvide sopracciglia bionde. Lui, O.C. Charle o Hagedorn, sembrava non accorgersene neanche.

La sua alta carica, benché quasi completamente priva di rilevanza ufficiale, lo metteva in primo piano dinanzi a tutti e il suo stile avrebbe condizionato l’intera popolazione. Ecco il motivo per cui l’elezione di Hagedorn aveva un’importanza tutt’altro che trascurabile ed era sottoposta a centinaia di riflessioni. Era raro trovare un candidato di cui non venisse messa a nudo qualche vecchia sgrammaticatura e qualche goffaggine. E se anche il candidato dava mostra di non farci caso, parecchie amicizie si guastavano, si accrescevano i rancori e le reputazioni andavano in frantumi. La scelta di O.C. Charle era stata il risultato di un compromesso tra le due fazioni del clan Overwhele, clan che aveva ricevuto il privilegio di dare il nuovo Hagedorn.

I nobiluomini che lo avevano scelto erano tutti degni del massimo rispetto, ma si differenziavano tra di loro per il modo di affrontare la vita. Il primo di essi era Garr, della casata Zumbeld. Era la vivente personificazione di tutte le virtù tradizionali di Castel Hagedorn: conosceva le essenze e si vestiva in modo raffinato, senza mai una piega o un petalo della rosa degli Overwhele fuori posto. Fondeva disinvoltura, intuito e dignità in un piacevole miscuglio e la sua conversazione era brillante e raffinata, mordace se stuzzicato. Conosceva tutte le principali opere letterarie e suonava il liuto a nove corde, per cui era estremamente necessario alla Parata delle Antiche Cotte d’Armi. Era un erudito antiquario, sapeva l’ubicazione di tutte le più importanti città della Vecchia Terra e poteva andare avanti a parlare per ore dei tempi antichi. In campo militare le sue conoscenze non avevano eguali. Gli unici che potevano avvicinarvisi erano D.K. Magdah di Castel Delora e forse Brusham di Tuang. E i difetti? Se ne annoveravano pochissimi. Era eccessivamente puntiglioso, per meglio dire suscettibile, e ostinato, ma si sarebbe potuto più correttamente parlare di intransigenza. O.Z. Garr non si sarebbe mai potuto giudicare insipido o indeciso e il suo coraggio era al di sopra di ogni discussione. Due anni prima, quando una banda di zingari era penetrata nella valle uccidendo i Contadini, rubando le bestie e arrivando addirittura a colpire al petto con una freccia un cadetto del clan Isseth, aveva costituito una spedizione punitiva di Mek, li aveva caricati su energovagoni ed era partito per cacciare i nomadi. Raggiunti vicino al fiume Drene, nei pressi delle rovine della cattedrale di Worster, questi si erano rivelati inaspettatamente astuti e decisi a combattere. O.Z. Garr si era comportato in maniera esemplare, dirigendo l’attacco dall’energovagone. Lo scontro era terminato con la fuga dei nomadi, che avevano lasciato sul campo ben ventisette morti ammantati di nero, mentre i Mek ad aver perso la vita furono solo venti.

L’avversario di O.Z. Garr nella corsa al titolo di Hagedorn era il membro più anziano della casata dei Claghorn. Anche costui era perfettamente inserito nelle squisite discriminazioni della società di Hagedorn. La sua erudizione non aveva nulla da invidiare a quella di O.Z. Garr, ma non era altrettanto versatile, essendosi specializzata sui Mek, sulle loro abitudini linguistiche e sociali. Aveva una conversazione più profonda ma meno brillante e pungente del suo antagonista. Solo raramente si serviva di strani modi di dire e delle sottili allusioni che erano proprie di Garr. Le sue preferenze andavano a un modo di parlare più sobrio. Non aveva neanche una Phane, al contrario di O.Z. Garr, le cui quattro, Delizie del Velo, difficilmente venivano uguagliate in bellezza alla Parata delle Antiche Cotte d’Armi.

Ma la differenza fondamentale fra i due verteva sulle concezioni filosofiche. Garr era un tradizionalista e un accanito sostenitore della sua società, della quale accettava tutti i principi senza riserve. Non aveva nessun tipo di dubbio o di senso di colpa e non pensava neppure a cambiare una situazione che permetteva a oltre duemila nobili, uomini e donne, di trascorrere la vita nel lusso più completo. A Claghorn invece, pur non essendo un Espiazionista, non andava a genio quel modo di vivere e le sue argomentazioni erano talmente obiettive che molti rifiutavano di ascoltarle perché generavano in loro un senso di disagio. In realtà un indefinibile malessere si era impossessato della società di Hagedorn, perciò Claghorn raccoglieva molti sostenitori anche tra la gente di rilievo.

Al momento delle votazioni, però, nessuno dei due candidati aveva ottenuto un sufficiente numero di preferenze e così la scelta si era spostata su un gentiluomo che mai aveva pensato di poter accedere a una carica tanto onorifica. Era decoroso e dignitoso, ma non aveva una eccessiva profondità d’animo; non era insolente, ma neppure vivace. Insomma, con la sua affabilità e la sua incapacità di farsi valere O.C. Charle era diventato il nuovo Hagedorn.

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