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Jack Vance: L'ultimo castello

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Jack Vance L'ultimo castello

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— Non possiamo farlo — affermò Uegus davanti al Consiglio. — Persino l’impianto più banale richiederebbe anni e anni di lavoro, senza contare che non abbiamo neanche un tecnico a disposizione. Bisogna aspettare di avere almeno la manodopera qualificata.

— Guardando le cose in prospettiva — commentò Isseth, il più anziano tra i capi clan — bisogna ammettere che noi non siamo abbastanza previdenti. Abbiamo giudicato volgari gli uomini dei Mondi Patrii trascurando i rapporti con loro. Avremmo fatto meglio a mantenere i collegamenti interplanetari, invece!

— Non è stato per mancanza di previdenza che abbiamo rotto i rapporti — precisò Claghorn. — Lo abbiamo fatto solo perché i primi signori non volevano che la Terra fosse invasa dagli arrivisti dei Mondi Patrii, non per altro.

Isseth stava per replicare quando Hagedorn si intromise.

— Purtroppo, però, Xanten ha detto che le astronavi sono fuori uso e nonostante alcuni di noi abbiano approfondite conoscenze teoriche, nessuno sarebbe in grado di fare materialmente il lavoro anche con la disponibilità delle astronavi.

— Con sei plotoni di Contadini a mia disposizione e sei energovagoni dotati di cannoni ad alta energia riconquisto io le rimesse! — esclamò O.Z. Garr. — Non è difficile!

— Per lo meno è un punto di partenza — commentò Beaudry. — Parteciperò all’addestramento dei Contadini e sebbene non abbia la minima esperienza in fatto di cannoni, sarò a disposizione per qualsiasi consiglio.

Hagedorn si guardò in giro corrugando la fronte e tormentandosi il mento.

— Sì, ma ci sono dei problemi. Per prima cosa disponiamo solo dell’energovagone portato da Xanten. In secondo luogo chi sa dirmi in che condizioni sono i cannoni a energia? Erano nelle mani dei Mek e nessuno li ha più ispezionati, dopo: potrebbero essere stati sabotati anche loro. O.Z. Garr, voi che avete fama di grande esperto in questioni di teoria militare, cosa ci potete dire al riguardo?

— Non è ancora stata fatta nessuna ispezione — ammise O.Z. Garr. — La Parata delle Antiche Cotte d’Armi ci occuperà tutta la giornata, fino al tramonto — consultò l’orologio. — Sarebbe meglio riprendere il discorso quando sarò meglio informato sullo stato dei cannoni.

Hagedorn chinò il capo massiccio in segno di consenso.

— Si sta davvero facendo tardi. Oggi avremo la possibilità di ammirare le vostre Phane?

— Solo due — rispose O.Z. Garr. — Lapislazzula e Undicesimo Mistero. Sono ciò che di più adatto ho trovato per le Delizie del Velo e per la mia piccola Fatina Azzurra. Gloriana, invece, non è ancora pronta. Al centro dell’attenzione oggi saranno invece le Variflore di B.Z. Maxelwane.

— È vero — ammise Hagedorn. — Ne ho già sentito parlare. Allora la seduta è aggiornata a domani. Claghorn, avete qualcosa da dire?

— A dire il vero sì — confessò Claghorn in tono tranquillo. — Il tempo a disposizione è molto limitato e dovremmo approfittarne. Dubito molto dell’efficienza di un esercito di Contadini. Contro i Mek saranno come conigli contro lupi, mentre noi avremmo bisogno di pantere.

— Vero — rispose Hagedorn vago — è verissimo.

— E dove potremmo trovare delle pantere? — Claghorn si volse intorno con aria interrogativa. — Nessuno lo sa? È un peccato, ma se non abbiamo pantere dobbiamo accontentarci dei conigli. Mettiamoci subito all’opera per trasformarli a loro volta in pantere e rimandiamo tutti i festeggiamenti e gli spettacoli a quando il futuro ci apparirà più sereno.

Hagedorn corrugò la fronte e fece per parlare ma si fermò. Fissò Claghorn per cercare di capire se aveva parlato sul serio o se aveva scherzato, quindi si guardò intorno.

Beaudry scoppiò in una risata alquanto stonata.

— Sembra che il colto Claghorn sia caduto in preda al panico.

— A essere sinceri, mi sembra al di là della nostra dignità lasciare che l’impertinenza dei nostri servi ci crei tanto scompiglio. Il solo pensarci mi imbarazza — commentò O.Z. Garr.

— A me invece non imbarazza per niente — lo rimbeccò Claghorn pieno di quella compiacenza che tanto indispettiva O.Z. Garr. — E non vedo il motivo per cui vi debba disturbare. Le nostre vite sono in grave pericolo e mi sembra che in tale frangente l’imbarazzo passi in secondo piano.

O.Z. Garr, alzatosi, salutò bruscamente Claghorn, quasi a rivolgergli un affronto. Quello, alzatosi a sua volta, lo ricambiò nello stesso modo, tingendo di ridicolo l’insulto dell’altro. Xanten, che odiava Garr, scoppiò in una forte risata.

O.Z. Garr ebbe un attimo di esitazione. Poi, resosi conto che eccedere in quella situazione sarebbe stato scorretto, se ne andò.

IX

La Parata delle Antiche Cotte d’Armi, l’annuale sfilata delle Phane in abiti sontuosi, aveva luogo sulla Grande Rotonda, nella parte a Nord della piazza centrale. Metà circa dei nobiluomini e un quarto delle dame teneva abitualmente delle Phane. Creature provenienti dalle caverne della luna di Albireo Sette, erano una razza docile, lieta e affettuosa. Con migliaia di anni di riproduzione controllata erano diventate sifilidi di provocante bellezza. Circondate da una garza che usciva dai pori posti dietro le orecchie, sulle braccia e sulla schiena, erano completamente inoffensive, desiderose di piacere e ingenuamente vanitose. Molti uomini le trattavano affettuosamente, ma talvolta capitava di sentire che una dama aveva bagnato di ammoniaca una Phane particolarmente odiata. L’ammoniaca rendeva opaca la sua pelliccia e impediva la riproduzione della garza.

Un nobile invaghito di una Phane veniva messo in ridicolo. Le Phane, nonostante il loro aspetto prettamente femminile, se usate sessualmente si sgualcivano e le loro garze si scolorivano, per cui si capiva subito tutto. Da questo punto di vista le dame dei castelli vantavano la loro superiorità, e lo facevano con tale provocazione che di fronte a loro le Phane sembravano le più ingenue creature del mondo. La loro vita durava circa una trentina d’anni. Durante l’ultimo decennio della loro esistenza, una volta persa la bellezza, si sprofondavano in mantelli di garza grigia e si dedicavano alle mansioni più umili negli spogliatoi, nelle cucine, nelle dispense e nelle camere dei bambini.

Insomma, la Parata delle Antiche Cotte d’Armi era più un’occasione per vedere le Phane che le cotte d’armi, nonostante il grande valore di queste.

I padroni delle Phane se ne stavano seduti su un basso podio, speranzosi e orgogliosi, pieni di esultanza quando una delle loro creature si distingueva dalle altre, disperati quando invece si esibiva con meno eleganza del previsto. Durante l’esibizione, un nobile appartenente a un clan diverso da quello del padrone della Phane suonava un liuto: non spettava mai al proprietario stesso accompagnare con la musica l’esibizione. Non si trattava di una vera e propria competizione e non si potevano fare apprezzamenti, ma tutti gli spettatori riconoscevano la Phane più bella e il suo padrone acquistava merito ai loro occhi.

Quel giorno la parata iniziò con una mezz’ora di ritardo a causa della defezione dei Mek che aveva costretto a ricorrere ad alcune improvvisazioni. Nessuno avanzò delle critiche e non vennero neppure notati gli errori di un gruppo di Contadini che si impegnavano in compiti poco congeniali. Le Phane erano belle come al solito. Si piegavano, si giravano a tempo di musica, muovevano le dita come a riprodurre la pioggia e poi, all’improvviso, si incurvavano, scivolavano, si raddrizzavano come giunchi, facevano un inchino e scendevano di corsa dalla piattaforma.

A metà della manifestazione un Contadino si avvicinò di corsa a un cadetto e gli sussurrò qualcosa frettolosamente. Immediatamente il cadetto si diresse verso il palco di lucido giaietto sul quale era seduto Hagedorn. Questi ascoltò, annuì, disse poche parole di risposta e tornò ad accomodarsi sul suo seggio, come se il messaggio fosse stato della minima importanza. I presenti se ne sentirono rassicurati.

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