Con un gesto sprezzante Enrico VIII strappò il cappuccio del monaco. Apparve una faccia liscia, di età indefinibile.
«Buon giorno, signore» disse Solomon. «Deploro che non abbiate accettato i miei consigli.»
«Deplorate? Perché?» chiese Markham, in tono secco.
«Per gli esseri umani già morti, e per quelli che andranno a raggiungerli tra poco» rispose Solomon.
Markham si strinse nelle spalle. «Non possiamo distruggere gli androidi, specialmente quelli programmati per l’omicidio, senza perdite umane. Ma il Palazzo ormai è distrutto, e così, credo, l’Ufficio Centrale. Tra poco potremo concentrare l’attacco sulle altre filiali dello Psicoprop. Direi che la battaglia sta per finire. E per voi, certamente la fine è imminente.»
Solomon rise. «Scusate, signore, non sono d’accordo. La battaglia tra poco ricomincerà. Il mio destino è irrilevante. Tutti gli androidi sono sostituibili.»
«Forse» disse mellifluo, Hyggens «non ci prenderemo il disturbo di sostituirli, nemmeno quelli della vostra qualità, Solomon.»
Solomon, scorgendo Vivain, ignorò Hyggens. «Posso esprimervi le mie scuse, signora, per la sostituzione di vostro padre? Durante gli anni in cui abbiamo lavorato insieme ho sempre nutrito per lui molto rispetto. Ma la considerazione personale è irrilevante quando entra in gioco l’interesse e la salvezza della Repubblica.»
«Un punto sul quale androidi ed esseri umani non la pensano allo stesso modo» disse tranquillo Markham. «E forse anche un androide infallibile può commettere l’errore di sottovalutare l’importanza che gli uomini danno ai valori umani.»
Solomon rise di nuovo, e la sua risata echeggiò sotto le volte della galleria. «Che ne sapete degli androidi?» chiese lanciando un’occhiata a Marion-A. «Sì, so dei vostri esperimenti di riprogrammazione. Ma che cosa avete concluso? Niente, un fallimento completo. Il soggetto non è più orientato come androide, e non può essere orientato come donna. Da una macchina avete creato una mostruosità, ecco tutto.»
«Qual è la tua definizione di mostruosità, Solomon?» La voce apparteneva a Marion-A. Markham si girò di scatto, e vide Marion fare un passo avanti per affrontare il Primo Ministro.
«Una creatura senza scopo» rispose Solomon imperturbabile, «senza funzione e senza futuro.»
«Allora io non sono una mostruosità» disse Marion-A, alzando una pistola automatica.
«Se questo è il tuo scopo» continuò Solomon, «cosa resterà quando avrai premuto il grilletto? Eri un androide personale, oggi non lo sei più. Se la cosiddetta Armata di Liberazione vincerà, non diventerai altro che una curiosità bizzarra. La tua programmazione, la tua intelligenza, si atrofizzerà. Sarai soltanto un ricordo barbarico che il signor Markham userà per intrattenere i suoi amici. Hai rinnegato la tua razza, e nel fare questo, hai eliminato la tua ragione di esistere.»
«Interessante» disse Markham. «Forse, Solomon, sarete tanto gentile da definire lo scopo degli androidi?»
«Certo, signore. Ma non servirà a modificare le vostre idee. La vostra psiche primitiva ci ha interpretato in termini di animismo. Vedete gli androidi come esseri sinistri e maligni, il cui scopo è di ridurre l’umanità all’impotenza. Ma, nel fare così, signor Markham, negate la nostra stessa storia. Fummo creati come servi, in un mondo a corto di manodopera. Dovevamo assolvere funzioni monotone: fare lavori essenziali ma ripugnanti e noiosi per l’essere umano. Apprezzate le nostre capacità, la nostra sfera d’azione si allargò, finché giungemmo a controllare l’intero sistema economico. Per voi, questo è un piano calcolato per dominare il genere umano. Invece è la logica estensione della nostra capacità di servire. Non state attaccando degli oppressori. State distruggendo i vostri schiavi. Non solo è sciocco, è addirittura disastroso.»
«Molto brillante!» esclamò ironico il professor Hyggens. «Consideratevi applaudito. Un tempo ero professore di filosofia, Solomon, finché i vostri cari androidi mi sollevarono dalla penosa incombenza. Così divenni un Fuggiasco, il che mi diede tempo di meditare su piccolezze quali per esempio la natura della vita. E conclusi che, tenendo presente l’infinita grandezza di Dio, la vita non poteva essere rinchiusa entro schemi convenzionali. Perciò mi chiesi: possono gli androidi procreare? E la risposta fu: sì! Si evolvono? Sì! Tentano di dominare l’ambiente in cui vivono? E la risposta fu ancora: sì! Finalmente mi chiesi: hanno uno scopo, sono coscienti di se stessi, sanno quello che stanno facendo? E dovetti solo guardare ciò che stava succedendo nella Repubblica per avere la risposta.»
«Dunque anche voi, professore, pensate che siamo vivi?» chiese Solomon.
Improvvisamente, Vivain si riebbe dal torpore in cui il discorso del Primo Ministro pareva averla gettata. Strappò la pistola dalle mani di Marion-A. «Se sei vivo, puoi anche morire!» gridò.
Solomon s’inchinò. «Spiacente di deludervi, signora. Non sono programmato per avere paura. Inoltre, poiché ho un piccolo trasmettitore automatico dentro di me, penso che a quest’ora il British Museum sia circondato.»
Quando Vivain sparò, fuori cominciò la sparatoria, quasi che gli attaccanti avessero aspettato un segnale convenuto. La prima pallottola perforò il centro principale di controllo di Solomon. L’androide barcollò, continuando a sorridere. Il secondo proiettile gli entrò nel petto, ma mancò la pila d’energia. Il colpo lo mandò a urtare contro un sarcofago. Ma, sempre sorridendo, Solomon disse con voce bassa e legata: «Né sono programmato per... soffrire.»
Il terzo proiettile gli trapassò la fronte, mandandolo a rotolare grottescamente nel sarcofago.
Nello stesso istante, Markham vide Paul Malloris, la testa avvolta in uno straccio insanguinato, avanzare barcollando nella galleria con il corpo di una ragazza sulle braccia.
«Paul, che fai?»
«È Shawna» disse Paul. «Avrei dovuto saperlo. Per poco non mi ha fatto prendere da una pattuglia di androidi.»
«Chi l’ha uccisa?»
Paul guardò, serio, la faccia pallida della ragazza. «Io... Non era più Shawna. Voglio seppellirla degnamente appena terminerà la battaglia, John. Sono un pagano disgustosamente sentimentale!»
La distese con delicatezza nell’ombra, dietro una grossa pietra. In silenzio, Helm Crispin la coprì con un mantello.
«Paul, per amor di Dio, che cosa sta succedendo fuori?»
«Oh, fuori!» Paul sembrava istupidito. «Androidi omicidi dappertutto. Per fortuna avevo con me abbastanza uomini per aprirmi un passaggio.»
La sparatoria si era intensificata. Qualche proiettile fischiava già all’interno della Galleria Egiziana.
«Il fu Solomon» disse il professor Hyggens, sussultando mentre un proiettile sfiorava la statua di Iside alla quale si era appoggiato «ci ha informati che il Museo è circondato... Esagerava, forse?»
Paul guardò il professore con aria assente. «Non credo. Gli androidi non sono programmati per esagerare.» E sorrise, stralunato.
«Allora sarà meglio fare qualcosa» disse Markham, afferrando un mitragliatore e qualche granata. «Siamo rimasti sì e no in sessanta, a resistere.»
Paul non si reggeva in piedi.
«Dimenticavo di darti le ultime notizie» disse rauco. «Chissà come mai... l’Ufficio Centrale si è difeso strenuamente, abbiamo perso una quantità di uomini, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Grazie a Dio sono arrivati i rinforzi.»
«Quali rinforzi?»
«I cittadini di Londra» rispose Paul. «Si erano stancati di fare da spettatori. O forse sono rimasti male quando gli androidi omicidi hanno cominciato a sparare addosso a loro. Ormai, penso che l’esercito ammonti almeno a cinquemila uomini.»
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