Edmund Cooper - Uomini e androidi

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Uomini e androidi: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel sottosuolo vicino a Londra viene scavato un immenso magazzino dove, grazie a opportuni accorgimenti, potranno essere conservati enormi quantitativi di generi alimentari. Lo scopo dell’impresa è quello di preservare le scorte di cibo da un inquinamento radioattivo, nel caso che si scateni una guerra atomica. Dei lavori si è interessato l’ingegnere John Markham. Così, quando viene segnalata una irregolarità negli impianti elettronici, è Markham a scendere nei sotterranei per un controllo. A un tratto, una scossa violentissima, seguita da altre, poi un crollo improvviso. L’ingegnere pensa a un terremoto o a un errore di costruzione. Comunque, lì vicino c’è una delle tante nicchie col telefono collegato all’esterno. Vi arriva scavalcando i detriti, ma l’apparecchio non funziona. Be’, si tratterà di aspettare un po’. Fuori si accorgeranno che è successo qualcosa e scenderanno a cercarlo. E deve proprio essere andata così perchè Markham, adesso, è in un lettino. Si sente un po’ debole ma è sano e salvo. Però ha freddo. Molto freddo. E quella donna che si china su di lui è Katy! No, non è lei. Ma Dio Santo come le assomiglia. E quello strano dottore che dice cose tanto strampalate... Insomma, affrettatevi a leggere questo romanzo per poter dire a John Markham dove esattamente si trova e cosa gli è successo.

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Con un gesto sprezzante Enrico VIII strappò il cap­puccio del monaco. Apparve una faccia liscia, di età indefinibile.

«Buon giorno, signore» disse Solomon. «Deploro che non abbiate accettato i miei consigli.»

«Deplorate? Perché?» chiese Markham, in tono secco.

«Per gli esseri umani già morti, e per quelli che andranno a raggiungerli tra poco» rispose Solomon.

Markham si strinse nelle spalle. «Non possiamo di­struggere gli androidi, specialmente quelli program­mati per l’omicidio, senza perdite umane. Ma il Pa­lazzo ormai è distrutto, e così, credo, l’Ufficio Centra­le. Tra poco potremo concentrare l’attacco sulle altre filiali dello Psicoprop. Direi che la battaglia sta per finire. E per voi, certamente la fine è imminente.»

Solomon rise. «Scusate, signore, non sono d’accor­do. La battaglia tra poco ricomincerà. Il mio destino è irrilevante. Tutti gli androidi sono sostituibili.»

«Forse» disse mellifluo, Hyggens «non ci prende­remo il disturbo di sostituirli, nemmeno quelli della vostra qualità, Solomon.»

Solomon, scorgendo Vivain, ignorò Hyggens. «Pos­so esprimervi le mie scuse, signora, per la sostituzione di vostro padre? Durante gli anni in cui abbiamo la­vorato insieme ho sempre nutrito per lui molto rispet­to. Ma la considerazione personale è irrilevante quan­do entra in gioco l’interesse e la salvezza della Re­pubblica.»

«Un punto sul quale androidi ed esseri umani non la pensano allo stesso modo» disse tranquillo Mar­kham. «E forse anche un androide infallibile può commettere l’errore di sottovalutare l’importanza che gli uomini danno ai valori umani.»

Solomon rise di nuovo, e la sua risata echeggiò sotto le volte della galleria. «Che ne sapete degli androidi?» chiese lanciando un’occhiata a Marion-A. «Sì, so dei vostri esperimenti di riprogrammazione. Ma che cosa avete concluso? Niente, un fallimento completo. Il sog­getto non è più orientato come androide, e non può essere orientato come donna. Da una macchina avete creato una mostruosità, ecco tutto.»

«Qual è la tua definizione di mostruosità, Solomon?» La voce apparteneva a Marion-A. Markham si girò di scatto, e vide Marion fare un passo avanti per af­frontare il Primo Ministro.

«Una creatura senza scopo» rispose Solomon im­perturbabile, «senza funzione e senza futuro.»

«Allora io non sono una mostruosità» disse Marion-A, alzando una pistola automatica.

«Se questo è il tuo scopo» continuò Solomon, «cosa resterà quando avrai premuto il grilletto? Eri un androide personale, oggi non lo sei più. Se la cosid­detta Armata di Liberazione vincerà, non diventerai altro che una curiosità bizzarra. La tua programmazio­ne, la tua intelligenza, si atrofizzerà. Sarai soltanto un ricordo barbarico che il signor Markham userà per in­trattenere i suoi amici. Hai rinnegato la tua razza, e nel fare questo, hai eliminato la tua ragione di esi­stere.»

«Interessante» disse Markham. «Forse, Solomon, sarete tanto gentile da definire lo scopo degli androidi?»

«Certo, signore. Ma non servirà a modificare le vo­stre idee. La vostra psiche primitiva ci ha interpretato in termini di animismo. Vedete gli androidi come esse­ri sinistri e maligni, il cui scopo è di ridurre l’umanità all’impotenza. Ma, nel fare così, signor Markham, ne­gate la nostra stessa storia. Fummo creati come servi, in un mondo a corto di manodopera. Dovevamo assol­vere funzioni monotone: fare lavori essenziali ma ri­pugnanti e noiosi per l’essere umano. Apprezzate le nostre capacità, la nostra sfera d’azione si allargò, fin­ché giungemmo a controllare l’intero sistema economi­co. Per voi, questo è un piano calcolato per dominare il genere umano. Invece è la logica estensione della nostra capacità di servire. Non state attaccando degli oppressori. State distruggendo i vostri schiavi. Non so­lo è sciocco, è addirittura disastroso.»

«Molto brillante!» esclamò ironico il professor Hyggens. «Consideratevi applaudito. Un tempo ero professore di filosofia, Solomon, finché i vostri cari an­droidi mi sollevarono dalla penosa incombenza. Così divenni un Fuggiasco, il che mi diede tempo di medi­tare su piccolezze quali per esempio la natura della vita. E conclusi che, tenendo presente l’infinita gran­dezza di Dio, la vita non poteva essere rinchiusa entro schemi convenzionali. Perciò mi chiesi: possono gli androidi procreare? E la risposta fu: sì! Si evolvono? Sì! Tentano di dominare l’ambiente in cui vivono? E la risposta fu ancora: sì! Finalmente mi chiesi: han­no uno scopo, sono coscienti di se stessi, sanno quello che stanno facendo? E dovetti solo guardare ciò che stava succedendo nella Repubblica per avere la ri­sposta.»

«Dunque anche voi, professore, pensate che siamo vivi?» chiese Solomon.

Improvvisamente, Vivain si riebbe dal torpore in cui il discorso del Primo Ministro pareva averla gettata. Strappò la pistola dalle mani di Marion-A. «Se sei vi­vo, puoi anche morire!» gridò.

Solomon s’inchinò. «Spiacente di deludervi, signo­ra. Non sono programmato per avere paura. Inoltre, poiché ho un piccolo trasmettitore automatico dentro di me, penso che a quest’ora il British Museum sia circondato.»

Quando Vivain sparò, fuori cominciò la sparatoria, quasi che gli attaccanti avessero aspettato un segnale convenuto. La prima pallottola perforò il centro prin­cipale di controllo di Solomon. L’androide barcollò, continuando a sorridere. Il secondo proiettile gli en­trò nel petto, ma mancò la pila d’energia. Il colpo lo mandò a urtare contro un sarcofago. Ma, sempre sor­ridendo, Solomon disse con voce bassa e legata: «Né sono programmato per... soffrire.»

Il terzo proiettile gli trapassò la fronte, mandando­lo a rotolare grottescamente nel sarcofago.

Nello stesso istante, Markham vide Paul Malloris, la testa avvolta in uno straccio insanguinato, avanza­re barcollando nella galleria con il corpo di una ra­gazza sulle braccia.

«Paul, che fai?»

«È Shawna» disse Paul. «Avrei dovuto saperlo. Per poco non mi ha fatto prendere da una pattuglia di androidi.»

«Chi l’ha uccisa?»

Paul guardò, serio, la faccia pallida della ragazza. «Io... Non era più Shawna. Voglio seppellirla degnamen­te appena terminerà la battaglia, John. Sono un pa­gano disgustosamente sentimentale!»

La distese con delicatezza nell’ombra, dietro una grossa pietra. In silenzio, Helm Crispin la coprì con un mantello.

«Paul, per amor di Dio, che cosa sta succedendo fuori?»

«Oh, fuori!» Paul sembrava istupidito. «Androi­di omicidi dappertutto. Per fortuna avevo con me ab­bastanza uomini per aprirmi un passaggio.»

La sparatoria si era intensificata. Qualche proiettile fischiava già all’interno della Galleria Egiziana.

«Il fu Solomon» disse il professor Hyggens, sus­sultando mentre un proiettile sfiorava la statua di Isi­de alla quale si era appoggiato «ci ha informati che il Museo è circondato... Esagerava, forse?»

Paul guardò il professore con aria assente. «Non credo. Gli androidi non sono programmati per esage­rare.» E sorrise, stralunato.

«Allora sarà meglio fare qualcosa» disse Markham, afferrando un mitragliatore e qualche granata. «Sia­mo rimasti sì e no in sessanta, a resistere.»

Paul non si reggeva in piedi.

«Dimenticavo di darti le ultime notizie» disse rau­co. «Chissà come mai... l’Ufficio Centrale si è difeso strenuamente, abbiamo perso una quantità di uomini, ma alla fine ce l’abbiamo fatta. Grazie a Dio sono ar­rivati i rinforzi.»

«Quali rinforzi?»

«I cittadini di Londra» rispose Paul. «Si erano stancati di fare da spettatori. O forse sono rimasti ma­le quando gli androidi omicidi hanno cominciato a sparare addosso a loro. Ormai, penso che l’esercito am­monti almeno a cinquemila uomini.»

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