L’elianto venne portato sul prato dal nascondiglio dove era stato celato momentaneamente. Markham aprì la portiera, accese i motori aerei e si sedette comodamente ai comandi.
Mentre si levava in volo, gettò un’occhiata al gruppetto di uomini che osservavano la sua partenza. Sorrise tristemente tra sé. L’Esercito di Liberazione Londinese!
Una raccolta di umanisti in pantaloni laceri!
Durante le settimane seguenti, Markham ebbe altri tre incontri col professor Hyggens e con la rappresentanza dell’Armata di Liberazione Londinese. Nonostante gli sforzi dello Psicoprop, la notizia della battaglia di Hampstead Heath si era sparsa per tutta la Repubblica con grande rapidità e arricchita da voli di fantasia.
Nella City si mormorava che ci fosse stata una battaglia tra cinquanta Fuggiaschi e un’intera brigata di androidi. Si diceva che i Fuggiaschi avevano perso una dozzina di uomini e distrutto più di cento androidi. Si diceva che lo Psicoprop avesse riprogrammato cinquemila androidi da combattimento.
Nelle voci che circolavano, Markham capì che c’era lo zampino di Crispin incaricato della guerra psicologica.
Quando Markham tornò a incontrarsi con Hyggens e il resto del suo stato maggiore in un convegno che era stato organizzato ben lontano dalla City per evitare un altro attacco di sorpresa, capì immediatamente che l’umore dell’Armata era cambiato. Gli uomini non erano più dei Fuggiaschi: erano individui con uno scopo ben definito. Uomini che non avevano tempo di contemplare le possibilità di una sconfitta. Apprese dal professor Hyggens che c’era un aumento significativo delle Forze di Liberazione, che la gente rifiutava volontariamente la cittadinanza per unirsi a loro, e che, sebbene l’idea di tentare la sommossa per Capodanno fosse conosciuta solo dallo stato maggiore, tutti parevano rendersi conto che stavano per succedere grandi cose.
Markham colse l’occasione per rinforzare la sua organizzazione. Progettò tre o quattro razzie notturne nei depositi chimici, perché Corneel Towne e la sua squadra potessero procurarsi materiale sufficiente a produrre un migliaio di granate. Una razzia venne fatta anche in un magazzino d’armi della Repubblica. Forni pistole, fucili da caccia, vecchi revolver antiquati, fucili moderni e perfino alcuni fucili da tiratori scelti, con mirino telescopico.
Durante il secondo dei tre incontri, Markham presentò Marion-A al suo stato maggiore. Helm Crispin e il professore la interrogarono entrambi con accanimento, tentando di sottoporla a tutte le prove di controllo di cui erano a conoscenza. Ma alla fine, persino il professore fu costretto a ammettere che Markham aveva compiuto l’impossibile, a meno che Marion-A fosse l’androide più brillante e più pericoloso della Repubblica.
Al terzo incontro, si radunarono i capitani di compagnia dell’Esercito di Liberazione. Lentamente, e con ricchezza di particolari, Markham illustrò la strategia che aveva architettato. Sapeva che l’unico piano possibile per avere successo doveva essere semplice e diretto. Elaborare uno svolgimento a fasi, sarebbe stato lo stesso che tirarsi addosso guai. Sapeva benissimo che uomini assolutamente privi di nozioni belliche non potevano raggiungere in una quindicina di giorni la disciplina e l’efficienza necessarie per una operazione complessa.
L’incontro durò più a lungo del previsto e Markham fece ritorno in Knightsbridge solo verso mezzanotte. Marion-A lo aspettava con un messaggio di Vivain.
«La signorina Bertrand ha chiamato personalmente, John. Mi ha detto di pregarti di andare a De Havilland Lodge appena fossi tornato.»
Markham rifletté sul messaggio. Dopo l’invito del Presidente, lui e Vivain non avevano mai comunicato direttamente. Avevano inventato un sistema di messaggi cifrati, che venivano lasciati sotto una pietra ai piedi di una grande quercia in Hyde Park. Fino a che non si era rimesso in contatto con Hyggens, Markham era riuscito regolarmente a vedere Vivain almeno due volte alla settimana. Markham si era adattato a servirsi del sistema della quercia soltanto dietro le insistenze di Vivain, e tutte le volte che andava là per lo scambio di messaggi si sentiva come un bambino che gioca. Dopo un certo tempo, però, aveva finito per considerare la cosa come positiva: era innegabile che l’atteggiamento cospiratorio divertiva entrambi e aumentava oscuramente la loro intimità.
Avevano l’impressione di essere uniti per qualche cosa di vagamente illecito.
Il messaggio datogli da Marion-A gli ricordò che da parecchi giorni non andava alla quercia, tanto era stato occupato con faccende più importanti. Lo convinse inoltre che Vivain, in genere poco portata a spaventarsi, doveva avere motivi seri per desiderare di vederlo.
«Ha detto nient’altro, la signorina Bertrand?»
«Solamente che era cosa urgente, John.» Marion-A fece quell’ammissione con evidente riluttanza, ma Markham non se ne accorse.
«Inutile prendere l’eliauto» disse. «Andrò a piedi. Mi passerà un po’ il sonno.»
«Sembri stanco. Vorrei che ti riposassi un poco.»
Lui rise. «Più tardi, forse, avrò tutto il riposo che mi occorre... Non so a che ora tornerò, Marion, ma non stare in pensiero.»
Marion-A sorrise, rigidamente. «Non ero programmata per stare in pensiero» rispose.
L’aria fredda della notte lo risvegliò. Era l’inizio di dicembre, e per tutto il parco una sottile crosta di ghiaccio rifletteva pallidamente la luce delle stelle. Mentre camminava verso Park Lane, Markham provò un senso improvviso di esaltazione.
Tutti i suoi dubbi e le sue paure, tutto il pessimismo generato dai problemi che nascevano dalla sua nuova parte di capo degli insorti vennero spazzati via. Solo, col gelo e le stelle, di colpo non sì sentì più solo. Una sensazione di sicurezza, di scopo ben preciso, faceva tacere tutte le querule voci interne, lasciandolo con l’incrollabile convinzione che tutti gli avvenimenti in cui si trovava coinvolto fossero inevitabili, e quindi necessari. E quindi giusti.
Con un sussulto si rese conto d’avere già oltrepassato la porta di Vivain. Tornò indietro.
«Androidi vivi! Che aria sognante, John. Presto, entra. Tesoro, come sono contenta di vederti. Ero terrorizzata. Che cosa hai fatto in questi dieci giorni?» Con un movimento rapido, gli diede un bacio frettoloso ma intenso.
«Ho fatto le prove per un’opera comica» rispose Markham in tono spensierato.
Vivain rabbrividì. Non aveva più l’aria sofisticata di donna di mondo. Sembrava incerta e perplessa. Il che, pensava Markham, la faceva sembrare più calda e più umana.
«Solomon non approva l’opera comica» disse lei, giocherellando nervosa con la cintura della tunica che era dello stesso oro dei capelli. «Specialmente quando ha un titolo come Esercito di Liberazione Londinese.»
Markham si sedette sul divano e accese una sigaretta. «Sarà meglio che tu mi dica tutto» disse. «Tutto quello che sai su Solomon e sulle sue antipatie.»
Impulsivamente, Vivain si sedette su uno sgabello imbottito ai piedi del divano e si appoggiò contro le ginocchia di Markham come per cercare conforto nel contatto fisico.
«Sa che i Fuggiaschi stanno organizzando la ribellione. Sa che la rivolta deve scoppiare presto.»
«Capisco. E di me cosa sa, a proposito di questa ipotetica ribellione?»
«Ancora niente, John. Ma non ha intenzione di aspettare le prove. Dice che i rapporti che ha ricevuto dal tuo androide personale indicano che hai bisogno di una cura psichica.»
Per un attimo Markham rimase scosso. Gli passò per la testa che forse era stato troppo ottimista riguardo ai suoi esperimenti con Marion-A. Ma poi scacciò quel dubbio, spazientito. Se si sbagliava su questo, allora si sbagliava su tutto. E poi non era il momento di arzigogolare su quei dubbi.
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