Aveva detto ben poco a Vivain circa la riprogrammazione di Marion-A. Glien’era mancata l’occasione. Ma durante il viaggio di ritorno verso New Forest aveva cominciato a prepararla per l’incontro con l’unico androide Fuggiasco esistente.
Vivain lo ascoltò senza far commenti. Lui aveva sperato di distrarla dalla disgrazia toccata al padre, ma non c’era riuscito. E quando l’elipullman si posò sulla colonia di villette estive, attuale base del quartier generale, il trattamento che Vivain riservò a Marion-A indicava l’atteggiamento convenzionale del ventiduesimo secolo verso un androide programmato. Per Vivain, Marion-A era soltanto una macchina molto complessa.
Markham provò uno strano disappunto, e si sorprese della sua reazione. Aveva sperato... Ma a pensarci bene, non sapeva cosa avesse sperato. E non poteva sciupare tempo prezioso per meditare su faccende personali.
Il mattino di Natale, mentre la neve scendeva lenta e pittoresca su New Forest, Markham poté riposarsi un poco. Tutto era stato provato e riprovato: gli uomini erano a punto con l’addestramento, e ora dovevano pensare a distendere i nervi il più possibile fino al momento fissato per l’ora zero.
Le trenta e più casette portatili che il professor Hyggens era riuscito a racimolare nottetempo dalle varie località mondane della costa, davano un aspetto assurdamente gaio al quartier generale dell’Esercito di Liberazione, facendolo assomigliare più che altro a un accampamento di qualche confraternita religiosa. Vivain e Marion-A dividevano una delle casette più piccole che, con le sue pareti di plastica a strisce bianche e rosa, sembrava a Markham un’immensa cappelliera.
Entrando nella loro casetta, ebbe la sorpresa di vedere che Vivain indossava l’abito verde bottiglia di Marion-A, mentre questa era tornata alla camicetta e alla gonna-pantalone nera.
«Ciao, tesoro» disse Vivain. «Dunque il grande Comandante militare ha trovato qualche momento da dedicare alla sua vita privata? Che te ne pare del mio abbigliamento? Sembro più Fuggiasca così, vero?»
«Non avevo pensato che non avevi niente da metterti oltre l’abito che indossavi» disse Markham. «Avevi freddo con quello?»
Vivain rise. «No, ma non era un abbigliamento funzionale. Non certo l’abito che ci vuole per lanciare granate. Mi sarei sentita ridicola.»
«Tu non lancerai niente, qualunque cosa ti metta addosso» disse serio Markham.
Vivain scosse la testa. «Io sarò dove sarai tu, e farò quello che farai tu. Non dimenticare che adesso faccio parte del tuo Esercito di Liberazione.»
«E quindi sei soggetta alla disciplina» disse Markham sorridendo.
«Androidi vivi!» scattò Vivain. «Non è possibile che la mia vita sia completamente regolata da te, caro.»
Markham si rivolse a Marion-A, che aveva osservato il battibecco con un leggero sorriso.
«Marion» disse, «conto su di te per tenere Vivain fuori dai guai.»
«Sì, John.»
La reazione di Vivain fu violenta. «Questa è bella! Credevo che volessi distruggere gli androidi, John. E invece ti servi di un androide come cane da guardia!»
Markham la guardò freddamente. «Marion è una personalità per la quale nutro il massimo rispetto. Sono fiero della sua amicizia e della sua lealtà. Per me conta di più di molti esseri umani. E vorrei che voi due foste amiche.»
«Amiche!» urlò Vivain. «Con quell’affare!»
«John» disse gentilmente Marion-A, «ci sono momenti in cui sei notevolmente cieco. Non sono programmata con le emozioni umane, ma penso che forse capisco gli umani meglio di te. Baderò a Vivain per te, ma non puoi pretendere che lei ne sia felice.»
«Tu che ne sai della felicità?» chiese Vivain.
«Niente, come fatto personale» ammise Marion-A. «Ma penso di avere imparato a interpretare la felicità a modo mio... e vorrei che John fosse felice. L’ho aiutato non perché io pensi che l’Esercito di Liberazione vinca, ma perché crederlo lo rende felice.»
Improvvisamente Vivain scoppiò a ridere. «Ma è addirittura fantastico! È innamorata di te, John! Un androide innamorato di te! Ora sono certa che siamo impazziti tutti.»
Marion-A non disse niente, ma Vivain la guardava con derisione e, parve a Markham, col disprezzo di chi, confidando nella propria femminilità, se ne serve istintivamente come di un’arma. Quella sensazione gli fece perdere il lume degli occhi.
«Che diavolo ne sai tu dell’amore?» esclamò con violenza. «Per te è soltanto un’attrazione fisica, un’ubriacatura dei sensi, oggi per questo e domani per quello. Questa è la tua programmazione, Vivain! Ma forse la mia è diversa. Forse assomiglia in parte a quella di Marion. Forse noi possiamo rispettarci a vicenda in un modo che tu non potresti mai capire.»
Vivain lo guardò come se non capisse quello che lui stava dicendole.
«Ripetilo, John!» La sua voce era stranamente tranquilla.
«John!» La voce di Marion-A suonò acuta e autoritaria. «Tu sei stanco e teso per questa impresa da compiere. I tuoi pensieri non sono coerenti, non ti rendi conto di quello che dici. Faresti meglio a riposare, per essere completamente calmo quando verrà il momento di agire.»
L’ira di Markham si calmò con la stessa rapidità con cui era esplosa. «Hai ragione, Marion, come sempre» disse.
Guardò supplichevole Vivain. «Scusami, cara. Sono un imbecille. Ma anche tu devi avere i nervi a pezzi. Mi perdoni?»
Vivain non parlò. Lo guardava: e nei suoi occhi c’era una mancanza assoluta di comprensione. In silenzio, Marion-A andò alla porta e uscì all’aperto.
Cominciava a gelare e l’aria era freddissima, ma lei non era programmata per patire il freddo.
Il British Museum, pur recando i segni visibili dei danni subiti nei Nove Giorni, si ergeva ancora tra due vaste buche, monumenti eterni dell’ultima guerra. L’immenso edificio si presentava ancora identico a come era centocinquant’anni prima, quando John Markham ne frequentava le biblioteche.
Markham l’aveva scelto come quartiere generale per la sollevazione dell’ultimo dell’anno non certo per un suo capriccio. In passato, il British Museum aveva preservato le meraviglie dell’antichità e tutto quello che era stato conseguito da uomini ormai morti perché servisse da esempio ai vivi. Nel. ventiduesimo secolo era ancora una reliquia del passato, raramente visitato dai. londinesi e mantenuto in efficienza da cinque o sei custodi androidi.
Nonostante che fosse una tesoreria di valori artistici e culturali, era affondato lentamente nell’oscurità. Sebbene immenso, la mancanza di vita gli aveva consentito di esistere quasi inosservato. Si adattava quindi mirabilmente agli scopi di Markham. La posizione conveniente offriva mezzi ragionevolmente rapidi di mantenere le comunicazioni con le unità dell’Esercito di Liberazione. La capacità dei locali consentiva di trasformarlo, eventualmente, in ospedale di fortuna. E la massiccia struttura nascondeva anche all’osservatore più attento l’attività che ferveva all’interno.
Inoltre, e questa considerazione non era meno importante delle altre, se gli androidi avessero scoperto che serviva all’Esercito di Liberazione, non sarebbero riusciti a montare facilmente un attacco di sorpresa. E solo un attacco su vasta scala avrebbe potuto impedire che gli occupanti fuggissero.
Appena era calata l’oscurità, la sera dell’ultimo dell’anno, Markham si era trasferito nel museo col suo stato maggiore, una guardia di cinquanta uomini e una dozzina di portaordini. Ci aveva portato anche Vivain e Marion-A. Non solo Vivain aveva molto insistito per accompagnarlo in città, ma Markham stesso si era convinto che il rischio per lei non sarebbe stato maggiore che a New Forest, soprattutto nel caso che le comunicazioni fossero state interrotte.
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