Il corpo principale dell’Esercito di Liberazione era già in città prima ancora che Markham ci arrivasse. Durante il pomeriggio i guerriglieri erano giunti alla spicciolata in piccoli eliauto. Alcuni indossavano costumi carnevaleschi, come Hyggens e Crispin, travestiti l’uno da Mefistofele, l’altro da Morte, per dare l’impressione di essere diretti a qualche festa. Altri erano vestiti con abiti normali, ma fingevano di andare a qualche riunione festosa recando una profusione di bottiglie e di pacchi incartati a colori vivaci, nei quali erano nascoste granate e carabine.
Con la protezione dell’oscurità, si erano diretti lentamente verso i punti di raduno, fissati in edifici in disuso o disabitati. Mezz’ora prima di mezzanotte, quando le celebrazioni per l’Anno Nuovo avevano raggiunto un buon grado di animazione, avevano cominciato a spostarsi, in gruppi formati apparentemente da ubriachi, verso altri punti fissati: vicino a Buckingham Palace, vicino all’Ufficio Centrale nella White Hall, e verso i vari reparti dello Psicoprop disseminati lungo e attorno la New Parliament Street.
Il guaio principale per Markham era di non sapere dove Solomon avesse concentrato gli androidi programmati per omicidio. Ma, come si ripeteva per darsi coraggio, l’Esercito l’avrebbe scoperto ben presto. Nell’attaccare contemporaneamente il Palazzo, l’Ufficio Centrale e i dipartimenti dello Psicoprop, si proponevano di colpire i punti vitali, creando sufficiente confusione per impedire a Solomon di organizzare in tempo un contrattacco efficiente.
Helm Crispin trovò Markham nella Galleria Egiziana, intento a bere tranquillamente il tè che era stato fatto da Marion-A su un fornello portatile. Una grande quantità di panini imbottiti era preparata sopra un sarcofago antico di tremila anni, mentre un paio di divinità egizie tenevano pazientemente in grembo carabine, pistole e granate varie.
«Come andiamo, Helm?» chiese Markham sorridendo. «Sarà meglio che ti offra una tazza di tè. Hai l’aria di averne bisogno.»
«Più di trenta sono mancati al raduno presso Buckingham Palace» disse Helm. «Evidentemente catturati da androidi. Ormai Solomon avrà tutte le informazioni che desidera.»
«Ma troppo tardi» disse Markham. «Ascolta.»
I rumori dello scontro si facevano più distinti e più vicini. Il fragore delle armi da fuoco era incessante, e gli facevano da sfondo le detonazioni continue delle granate.
«L’Ufficio Centrale è stato attaccato con le forze al completo, ma quando ho lasciato New Parliament Street mancavano già alcuni uomini.»
Markham si strinse nelle spalle. «Non c’era da dubitare dell’efficienza dello Psicoprop. Ero preparato a perdere circa duecento uomini all’inizio.»
Helm Crispin scosse la testa. «Infatti, tanti saranno. È andato tutto troppo liscio. Ho la sensazione che siamo caduti in trappola.»
«Dovrà essere una trappola ben forte» disse Markham, «per trattenere gli uomini che vi sono entrati.»
Vivain portò a Helm una tazza di tè. «Avete scoperto cosa ne è stato di mio padre?»
Helm fece cenno di no. «Mi dispiace, mia cara. Quello, comunque, è stato un errore di Solomon. Ha voluto sostenere la farsa troppo a lungo. Oggi tutti sanno che il Presidente è stato sostituito da un androide. La sua ultima comparsa sugli schermi non avrebbe convinto un imbecille. Non capisco perché Solomon insista con quella commedia. Si sta alienando anche i sudditi più ortodossi.»
«Non ha altra alternativa» disse Markham. «È compromesso. Se ammette di aver sostituito il Presidente, ammette che gli androidi vogliono la supremazia.»
Marion-A offrì un panino a Crispin. «Trovate così difficile rinunciare alla vostra convinzione che gli androidi possano comportarsi solo in modo logico, Helm?» Marion-A sorrideva.
Lui rise. «No, quando penso a voi, Marion.»
Marion-A continuava a sorridere. «Chissà? Forse, se conosceste i motivi, la mia condotta vi sembrerebbe estremamente logica.»
Vivain le diede un’occhiata breve ma significativa. Markham la intercettò, e rimase sorpreso nell’accorgersi che l’espressione di Vivain era di tenerezza e di pietà. Dalla vigilia di Natale, lei e Marion-A erano rimaste sempre insieme.
Sebbene assorbito dai preparativi del grande attacco, Markham aveva notato che l’antagonismo tra le due donne sembrava scomparso. Se n’era congratulato, e aveva pensato che Vivain avesse compreso l’inutilità del suo risentimento, rendendosi conto che la relazione tra Markham e Marion-A esulava dal normale campo di relazioni umane.
Era convinto che Vivain l’avrebbe accettata con indifferenza, ma ora l’odio di Vivain per Marion-A si era cambiato addirittura in un sentimento positivo. Adesso, cogliendo quel breve sguardo di compassione, Markham fu veramente conscio di uno oscuro legame tra loro due. In un certo senso, questo lo turbava più dell’ostilità originale. I suoi pensieri vennero interrotti dal rimbombare di una cupa esplosione che scesse perfino le pareti massicce del Museo.
«Questo, credo, è Corneel Towne che presenta i suoi omaggi a Palazzo» disse il professor Hyggens, senza smettere di far sparire un panino dietro l’altro.
«Oh, Dio» mormorò Vivain, «spero che...» Non osò terminare.
Markham la prese per mano. «Non volevo dirtelo ancora Vivain. Ho mandato qualcuno a fare un’inchiesta tre giorni fa. Pensavo che ci fosse ancora la pessibilità di portar fuori Clement, di aiutarlo, Solomon aveva in mente di fargli un’Analisi totale, per poter presentare un Presidente genuino sugli schermi, e confonderci. Ma Clement deve essere riuscito a impossessarsi di un veleno. È morto, Vivain. È tutto quello che so. Non è molto, ma ho rischiato uno dei miei uomini migliori per avere notizie.»
Vivain si nascose la faccia tra le mani. Markham tentò di confortarla, ma Marion-A l’aveva già presa tra le braccia. E all’improvviso lui fu distratto dall’arrivo di un messaggero.
Era un lacero Robin Hood sporco di sangue. Entrò nella Galleria Egiziana con la carabina in mano e, contrasto bizzarro, un grande arco a tracolla.
«Salve, capo» disse, ansimando. «Abbiamo distrutto il Palazzo.»
«Perdite?» chiese Markham.
«Più di duecento, signore. Ci hanno mandato contro un’intera brigata psichiatrica. Quando stavamo per avere la meglio, sono arrivati tre o quattrocento androidi omicidi.»
«Lavorano bene?»
«Sì, signore... ma non abbastanza. Non sono programmati per ritirarsi in caso di sconfitta. Perciò abbiamo continuato a distruggerli fin all’ultimo.»
«Malloris, è ancora al comando?»
«Signorsì. Però è ferito alla testa.»
«Bisogna mandargli il cambio. Il comando passi al secondo ufficiale. Malloris torni a farsi medicare. E dite al secondo ufficiale di rinforzare l’assalto all’Ufficio Centrale. E liberatevi di quell’arco!»
«Signorsì.» Robin Hood si tolse l’arco dalle spalle e lo guardò. Parve sorpreso di averlo ancora a tracolla. Lo buttò sul pavimento e uscì.
A un tratto, il rumoreggiare lontano della battaglia venne coperto da un’esplosione, più leggera di quella che aveva fatto saltare il Palazzo. Fu seguito da una seconda, poi da una terza.
«Dev’essere l’Ufficio Centrale!» disse Hyggens, soddisfatto.
Ma le ipotesi sulla causa dell’esplosione caddero appena le guardie della Galleria Egiziana lasciarono entrare un bizzarro gruppetto di quattro persone.
Enrico VIII, Davy Crockett e Giulio Cesare scortavano verso Markham un monaco incappucciato. Enrico VIII spinse avanti senza cerimonie il monaco.
«Salve» disse inchinandosi a Markham. «Abbiamo trovato il reverendo padre in New Parliament Street. Pensavamo che fosse uno dei nostri, ma lui si è messo a sparare. Così l’abbiamo colpito al braccio. Avremmo mirato meglio se avessimo saputo chi era.»
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