Edmund Cooper
Uomini e androidi
Dapprima, un dolore acuto, e dopo la sensazione di dolore uno sciame di ombre svolazzanti come uccelli silenziosi contro uno sfondo di oscurità. Poi immagini nebulose, che ricordavano qualcosa di vago. Poi sogni, che si alternavano senza significato, finché i simboli si fecero chiari e il significato prese a poco a poco i contorni della realtà.
In un fioco chiarore di consapevolezza, i ricordi bruciarono come minuscole candele. Li osservava, affascinato, scosso dalla stupenda certezza di essere vivo.
Un viso di ragazza si materializzò dall’ombra, riconoscibile. Era la faccia di Katy come l’aveva vista la prima volta. La ragazza gli si avvicinò e gli sorrise. Indossava una camicetta a righe e aveva con sé un fascio di documenti. Proprio come la volta in cui si erano conosciuti, quando lui era andato a installare i commutatori nell’ufficio dove lei lavorava.
«Salve» diceva Katy. «Volete un caffè?»
«Potete scommetterci.» Ma non era la sua voce che parlava. Era la voce di un fantasma.
Katy si voltava e spariva. Poco dopo tornava con due bricchi di caffè fumante. Il fantasma ringraziava, le diceva di chiamarsi John Markham, di avere ventidue anni, e di trovarsi a Londra solo per pochi mesi, perché la sua casa era nello Yorkshire. Le diceva di essere appassionato di Beethoven e di Gershwin, di amare gli scacchi e le commedie musicali. E le diceva che un giorno sarebbe andato sulla Luna. Il fantasma parlava molto perché si sentiva molto solo. Perché, essendo appena giunto dalla provincia, Londra l’aveva ingoiato in un solo boccone, e lui aveva paura di dissolversi nello stomaco della città.
Katy rideva. Rideva gettando indietro i capelli biondi. Pensava che l’idea della Luna fosse l’equivalente moderno dell’idea di partire come mozzo sul mare, ed era sorpresa, quasi irritata, dalla possibilità di navigare nello spazio. D’accordo, c’erano i satelliti, le piattaforme spaziali, e tutte le altre assurde diavolerie che gli uomini non si stancavano di collocare nel cielo, ma in un certo senso quelle macchine cessavano subito di appartenere agli uomini. Per lo meno alla gente normale. Erano, e alla lettera, fuori del mondo... No, Beethoven non le piaceva, ma Gershwin restava un grande musicista. E lui, c’era stato a vedere Il commissario e l’esordiente ?
Il fantasma non aveva visto la commedia. Era stato troppo occupato a scervellarsi sulle statistiche che riguardavano i carburanti, sulle traiettorie delle cadute nel vuoto e sulle forze di accelerazione, chiuso nella sua cameretta nei sobborghi. Ma adesso gli si presentava la possibilità di fare amicizia con Katy, di distruggere la solitudine in cui si struggeva. La pregò di accettare un invito, avrebbe acquistato i biglietti per la commedia...
Non badava affatto a Il commissario e l’esordiente ,né prestava orecchio alle canzoni o alla musica. Invece guardava Katy, e ne udiva gli occasionali mormorii eccitati di commento. In quel momento aveva sentito che l’avrebbe sposata, e che non sarebbe mai partito per la Luna.
Ora il suo corpo giaceva su un carrello in una stanza in cui la temperatura era stata aumentata con infinita lentezza per un periodo durato giorni e giorni. Sentiva ancora i capelli pesanti di brina, il mento ispido di barba. Ma gli abiti gelati, induriti da cristalli di ghiaccio, erano stati tagliati via. E nella presente immobilità, nella presente sparuta nudità, la possibilità di vita era incredibilmente fantastica ma reale. Era un cadavere sotto un raggio di luce bianca e ferma che gli massaggiava il petto proprio al di sopra del cuore. Ma era un cadavere il cui cuore cominciava a muoversi debolmente; un cadavere che aveva cominciato a sognare, che veniva risuscitato, trascinato senza misericordia lungo interminabili corridoi di dolore fisico...
Katy... La luna di miele... Un modesto villino ammobiliato sulla costa orientale inglese dove avrebbero conosciuto il lusso di una casa tutta propria per due settimane, prima di tornare nella stanza ammobiliata di città.
La spiaggia, Katy che si cambiava il costume bagnato al riparo di una roccia. Il corpo sottile di Katy, sodo e abbronzato, eppure morbido e sinuoso. Katy era fiera del suo corpo; e anche lui, il fantasma, ne era orgoglioso; e guardandola, sentiva divampare un fuoco di desiderio e di tenerezza che nessun amplesso riusciva a estinguere completamente.
E infine, un bambino: Johnny Boy. Grassoccio, rumoroso, esigente. L’eredità di quella spensierata luna di miele... Johnny Boy che si arrampicava sui tavoli, sulle sedie, su Katy, sui disegni, su tutto. Johnny Boy, la cui costosa crescita assorbiva la maggior parte dei loro risparmi e trasformava la possibilità di avere un’automobile in un miraggio presto dissolto.
Il fantasma era felice di essere padre. Era una sensazione positiva, uno stato che aveva uno scopo. Più importante del volo spaziale, perché Johnny Boy apparteneva a Katy e Katy apparteneva a lui...
Un’altra ondata di oscurità nel corpo sdraiato sotto il fascio di luce. Ondate successive di dolore, di incoscienza. E la temperatura continuava a salire, la brina diminuiva ora per ora. Figure si chinavano sul corpo inerte: iniezioni anti-dolorifiche, dolori attutiti...
L’infanzia! Il fantasma scopriva d’essere stato anche lui un bambino... Pioggia e sole nella valle dello Yorkshire. Trote nei torrenti estivi. Corse in slitta sulle candide colline in dicembre... Un’aula scolastica.
«Markham!»
«Presente!»
«Qual è il cinquanta per cento di un mezzo di zero virgola cinque?»
«Un ottavo.»
«Espresso come decimale?»
«Zero virgola uno due cinque.»
«Espresso come percentuale?»
«Dodici e mezzo per cento.»
«Faresti bene a guadagnarti quella borsa di studio, Markham.»
«Sì, signore.»
E con la borsa di studio, un mondo più vasto di quello dell’infanzia.
«Di’ un po’, Markham, cosa farai quando sarai fuori di questa tana?»
«Non ci ho ancora pensato, Stringer. Tu cosa farai?»
«Mio padre dice che può sistemarmi alla Refrigerazione Internazionale. Vuoi che gli chieda se può fare qualcosa anche per te?»
«Non saprei.»
«Via, non fare l’idiota. Almeno resteremo insieme.»
Il corpo sul carrello si muoveva. Era il primo movimento: il fremito di una narice. Figure in camici bianchi osservavano il movimento. Altre iniezioni. Nessun dolore adesso: soltanto un divino senso di distacco. E le immagini arrivavano più luminose, più rapide secondo un ordine più confuso.
Johnny Boy allo zoo. Elefanti. Una manina che afferrava una moneta da sei pence. «Voglio salire su quello più grosso, pa’. Quello dell’uomo nero.»
E Katy: «Non può salirci da solo, John.»
Il fantasma rideva: «Allora ce l’accompagni tu, tesoro.»
Lo zoo svaniva... Katy si svestiva, pesante, di nuovo in attesa di un bimbo. Il fantasma la osservava, e la trovava ancora bella dopo sei anni. Come faceva un fantasma a sapere che erano passati sei anni? Come può un fantasma sapere qualcosa?
«Avremmo dovuto aspettare, Katy... per il bambino, dico.»
Katy sorrideva. «Nessuno l’aveva preteso, mi pare.»
«Non avremo mai abbastanza denaro per comperarci la casa.»
«L’avremo.» Katy era sempre più saggia del fantasma. «E del resto, se ci formiamo una famiglia finché siamo ancora giovani, caro, ci resterà molto più tempo per noi due in seguito.»
Il fantasma non era d’accordo?
«La casa, Katy. La voglio subito.»
«Riprenditi il bambino, allora!»
«Avrò un impiego migliore. Ecco la risposta al problema: guadagnare di più.»
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