Edmund Cooper - Uomini e androidi

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Uomini e androidi: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel sottosuolo vicino a Londra viene scavato un immenso magazzino dove, grazie a opportuni accorgimenti, potranno essere conservati enormi quantitativi di generi alimentari. Lo scopo dell’impresa è quello di preservare le scorte di cibo da un inquinamento radioattivo, nel caso che si scateni una guerra atomica. Dei lavori si è interessato l’ingegnere John Markham. Così, quando viene segnalata una irregolarità negli impianti elettronici, è Markham a scendere nei sotterranei per un controllo. A un tratto, una scossa violentissima, seguita da altre, poi un crollo improvviso. L’ingegnere pensa a un terremoto o a un errore di costruzione. Comunque, lì vicino c’è una delle tante nicchie col telefono collegato all’esterno. Vi arriva scavalcando i detriti, ma l’apparecchio non funziona. Be’, si tratterà di aspettare un po’. Fuori si accorgeranno che è successo qualcosa e scenderanno a cercarlo. E deve proprio essere andata così perchè Markham, adesso, è in un lettino. Si sente un po’ debole ma è sano e salvo. Però ha freddo. Molto freddo. E quella donna che si china su di lui è Katy! No, non è lei. Ma Dio Santo come le assomiglia. E quello strano dottore che dice cose tanto strampalate... Insomma, affrettatevi a leggere questo romanzo per poter dire a John Markham dove esattamente si trova e cosa gli è successo.

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Dal gruppo si levò un mormorio di assenso. Il professor Hyggens soffiò una grossa nuvola di fumo verso la lanterna schermata, poi si tolse a malincuore la pi­pa dalle labbra.

«Dopo i Nove Giorni» disse, «la civilizzazione non fu più in grado di sostenere il suo vecchio schema ba­sato sui cosiddetti paesi altamente industrializzati. L’u­nica soluzione parve quella di decentralizzare, creando piccole comunità che si basavano sull’impiego dei ro­bot e sull’automazione. Fu lo stesso dappertutto: in Europa, in America, in Russia... Dalle ceneri dei Nove Giorni rinacque il sistema feudale, dove ciascun feu­do rappresentava più o meno un’unità economicamen­te indipendente. I problemi che si presentano a noi nella Repubblica di Londra sono gli stessi che il mon­do deve affrontare dovunque. Noi potremmo rappre­sentare un caso-cavia: si vedrà quello che capiterà a noi se inizieremo una rivoluzione, e forse il mondo prenderà esempio. Per quanto ci risulta finora, non ci sono stati altri tentativi di lotta contro gli androidi... Nei tempi antichi, si diceva che l’Inghilterra portasse la fiaccola. Ho un desiderio infantile di sentir dire la medesima cosa della Repubblica di Londra... Ora, che diavolo volevo concludere prima di mettermi a chiac­chierare? Ah, sì, rassegno le dimissioni. Ora abbiamo bisogno di un capo, qualcuno che parli di meno e che faccia di più. Penso che ci occorra un tipo primitivo, signori: uno che, per virtù dell’era in cui è nato, abbia più possibilità di essere intelligentemente spericolato di quanto lo siamo tutti noialtri messi insieme. In bre­ve, credo molto nei simboli, ragione per cui propongo di creare nuovo direttore delle operazioni il Soprav­vissuto, nella sublime speranza che la sopravvivenza sia contagiosa. Quelli che sono d’accordo alzino la mano.»

Le mani si levarono con prontezza unanime.

Markham li fissò incredulo per un attimo, poi dis­se: «È ridicolo!»

«Certo che lo è» rispose il professore. «Personal­mente, adoro il melodramma.»

All’improvviso, Markham si sentì irritato. «Ascol­tatemi! Vengo tra voi per la prima volta. Sapete po­chissimo sul mio conto. Non siete nemmeno sicuri che non sia una spia. Eppure pensate immediatamente di affidarmi la vostra vita. Non siate infantili!»

Scrosciarono risate d’approvazione. Quando si cal­marono, parlò tranquillamente Helm Crispin. «Sì, John, per te siamo come bambini. Ecco perché devi essere il nostro capo. Fisicamente, sei uno dei più gio­vani tra i presenti. Ma spiritualmente sei il più vec­chio, forse anche il più maturo di noi tutti. Appartieni a un’epoca nella quale gli uomini accettavano le re­sponsabilità come un retaggio. Noi apparteniamo a un’epoca in cui le responsabilità ci vengono negate. Ragione per cui, sotto alcuni aspetti, molti potranno essere anche più saggi di te, ma non più maturi. Ti chiediamo di assumerti la maggiore responsabilità, e speriamo in te perché tu possa cambiare il nostro at­teggiamento difensivo in spirito di aggressività.»

Seguì un silenzio. Tutte le facce si rivolgevano spe­ranzose verso Markham. Tutti gli occhi lo osservava­no intenti. E all’improvviso lui capì che per quanto ridicola fosse la situazione, non poteva deludere que­gli uomini. Era consapevole della propria inadegua­tezza, ma la cosa non pareva avere importanza; era certo che cento uomini fiduciosi valgono di più di mil­le incerti. Evidentemente lui poteva generare la fidu­cia necessaria, e forse, alla resa dei conti, questa fidu­cia avrebbe bilanciato tutti gli errori che lui temeva di commettere.

Guardò le facce ansiose dei compagni, e sentì che avrebbe recitato in quella tragicommedia fino in fon­do.

Alla fine parlò:

«Mi avete sopravvalutato. State facendo una scel­ta pericolosa.»

«È pericolosa anche per te» disse il professore im­perturbabile.

«Se accetto» continuò Markham «alcune cose an­dranno concordate dall’inizio. Non me ne intendo mol­to di guerra, ma conosco l’importanza della disciplina. Se diverrò il vostro condottiero, pretenderò che le mie decisioni siano accettate. Se delegate a me le vostre re­sponsabilità, dovete delegarmi anche i pieni poteri.»

«È anche il nostro punto di vista» disse Helm Crispin. «Ti consiglieremo se e quando sarà necessa­rio, ma le decisioni le prenderai tu.»

«Allora» disse Markham, «avete acquistato un generale dilettante. E il mio primo ordine è che non dobbiate più considerarvi Fuggiaschi, signori. Siete l’Esercito di Liberazione Londinese, temporaneamente camuffato da bande di Fuggiaschi.»

«Generale» disse il professor Hyggens con osten­tato rispetto, «ora sai perché ci sembri l’unico adatto a guidarci.»

Markham sorrise. «L’altro mio decreto è quello di abolire tutte le formalità, professore. E di conseguen­za vi nomino vicecomandante.»

In quel momento Markham si accorse che qualcuno stava correndo fra gli alberi. Poco dopo un ragazzo di circa vent’anni apparve nel cerchio di luce respiran­do affannosamente.

«Dieci eliauto, professore!» ansimò. «Deve trat­tarsi di un centinaio di androidi. Si stanno disponen­do in ordine sparso per rastrellare la zona.»

«Qualcuno avrà commesso una imprudenza» disse in tono di rimprovero Hyggens.

«A che distanza sono?» chiese Markham.

«Circa due chilometri.»

Markham guardò i compagni che scattavano in pie­di con aria preoccupata. «Abbiamo armi?» Malediceva la propria avventatezza per aver lasciato a casa la pistola.

Corneel Towne andò verso un albero e tornò con una cassetta che sembrava alquanto pesante. «Ho due pistole mitragliatrici antiquate e circa cinquecento cartucce. Funzionano bene. Le ho provate ieri. C’è anche qualche granata. Sono la mia specialità.»

«Altre armi?» chiese Markham.

«Io ho una pistola» disse Paul.

«Bene... Immagino che gli androidi appartengano alle squadre psichiatriche. Di che armamenti dispon­gono?»

«Gas» rispose Helm Crispin, «e paralizzatori.»

«Portata effettiva?»

«Circa cinquanta metri.»

«Non c’è male. Spegnete la lanterna.»

«Forse dovremmo sparpagliarci» disse con ramma­rico il professore. «Sono in troppi per tenere loro testa.»

«No» disse Markham. «Attaccheremo noi. Tow­ne, prendi tu un mitragliatore e dai l’altro a qualcuno che sappia usarlo. Chi è in grado di lanciare lontano?»

«Io» disse Paul.

«Prendi le granate» ordinò Markham. «Io terrò la pistola... Helm, voglio due bei fuochi qui, presto. Poi ci ritireremo a cento metri, ventre a terra. Trenta metri di intervallo tra un uomo e l’altro. Appena com­parirà un androide nella luce dei fuochi, usare il mi­tragliatore. E voglio due volontari che mettano fuori uso i loro eliauto.»

Appena venne spenta la lanterna, l’oscurità di no­vembre li avvolse come un sudario. In lontananza, si accesero i fari di perlustrazione.

«Non badate a loro, per ora» disse cupo Markham. «Presto, Paul, noi due dobbiamo metterli fuori uso... Sai cosa si fa? Allora sbrigati.»

Con Paul Malloris al fianco, uscì cauto dal folto degli alberi e, aggirata la zona illuminata dai riflettori, si spinse avanti con l’intenzione di spegnerli. Lui e Paul avevano percorso circa quattrocento metri quan­do due vigorose colonne di fuoco si levarono in mez­zo agli alberi dietro le loro spalle. Voltandosi, scorse­ro due figure momentaneamente illuminate che stava­no per scomparire nel buio. Poi, davanti a loro, sentirono dei rumori.

«A terra» bisbigliò Markham.

Giacquero immobili nell’erica umida, mentre la pri­ma squadra di androidi passava loro accanto. Uno qua­si posò il piede sulla mano stesa di Markham, ma non si accorse di niente perché aveva l’attenzione concen­trata sui fuochi.

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