«Sì.»
«E allora gli androidi consumano cibo, John. Infatti usano l’energia. Inoltre si riproducono, e con molta più efficienza degli umani. Hanno un’organizzazione riproduttiva, mentre noi abbiamo ancora l’antico e superato sistema dell’accoppiamento. E poi, John, hanno una loro linea di evoluzione. Non cambiano per caso, si perfezionano secondo piani ben prestabiliti.»
«Cosa vorreste dimostrare?»
«Niente, figliolo. Sto solo facendo riflessioni a alta voce da vecchio matto. Non puoi aggiungere qualcos’altro alla definizione di vita, o magari qualche altra descrizione di quello che la vita fa?»
All’improvviso, Markham sorrise trionfante. «Forse ci sono, professore! Tutti gli esseri viventi complessi devono adattarsi all’ambiente e tentare di dominarlo. Fa parte della loro natura, è l’elemento dinamico. Se una specie non ci riesce, è condannata a estinguersi... Ripensandoci, in una creatura autocosciente altamente organizzata, questo potrebbe spiegare la ricerca individuale e collettiva del potere. Che ve ne pare?»
«Niente male» disse il professor Hyggens in tono serio. «Mi piace soprattutto la parte che riguarda l’inseguimento del potere. Sai come sono cominciati gli androidi, John? Dapprima, erano computer elettronici, poi robot da due tonnellate programmati per eseguire semplici lavori a ripetizione. Poi robot a misura d’uomo che sapevano fare parecchie cose... bastava spiegare loro come e quando. Infine gli androidi, ai quali non c’era bisogno di dire né come né quando. Facevano esattamente tutto quello che volevamo che facessero, perché erano programmati così. Ma, John, io non volevo che un androide mi sostituisse come professore. E conoscevo un chirurgo che non voleva cedere il suo bisturi, e un ingegnere che amava moltissimo il suo regolo. Il chirurgo ora è morto, si è ucciso. L’ingegnere si è sottomesso all’Analisi. La ricerca del potere, dicevi? A me pare che la descrizione fatta da te si adatti meglio agli androidi che agli uomini.»
«Dove volete arrivare?»
«Chi... io? A niente! Però ripensa a quello di cui abbiamo parlato, John. Potrebbero venirti alcune idee interessanti... Mah, mi sono soffermato nello stesso posto anche troppo. Meglio incamminarsi. Noi Fuggiaschi dobbiamo stare molto attenti, se vogliamo continuare a fuggire. Di’ al tuo androide che volevo convincerti a unirti a una colonia di adoratori del Sole, in Cornovaglia. Può darsi che la beva. Specialmente se le farai capire che sei molto disgustato all’idea.» Con molti brontolii, il professor Hyggens si rimise in piedi.
«Dove andrete?»
«Altrove» rispose con dolcezza il professore. «Se non lo sai, non puoi dirlo, ti pare?»
«E se volessi mettermi in contatto con voi?»
«Volentieri, John. Stabilirò il contatto, se penserò che ne valga la pena. Gli androidi non hanno ancora il monopolio dell’organizzazione. Anche noi poveri Fuggiaschi conosciamo qualche trucchetto per organizzarci. A proposito, tu eri nel Risanatorio di Londra-Nord, vero?»
«Sì.»
«Non hai per caso incontrato una ragazza, là... si chiama Rowena Hyggens. Piccola, morettina, graziosa, di ventun anni, e non ha mai convissuto con uomini... soprattutto a causa di un forte senso di antiquata moralità. È la sua prima nevrosi ufficiale, quindi può darsi che non la tengano molto in animazione sospesa, almeno spero. Probabilmente a quest’ora sarà già in cella di congelamento.»
«No, non l’ho incontrata, non credo, per lo meno. Non ho visto molta gente, ho avvicinato soprattutto androidi.» Poi, all’improvviso, Markham ricordò la ragazza che aveva sorpreso piangere in corridoio. La ragazza che era fuggita alle sue offerte di aiuto, come se temesse di essere aggredita.
«No» disse pensoso il professore. «Al Risanatorio non ti lasciano avvicinare molta gente. È troppo pericoloso. Dividi e impera è sempre stata la strategia più saggia, fin dall’età della pietra. Bene, John, probabilmente un giorno o l’altro verrò a cercarti. Tieni gli occhi aperti e serba per te i tuoi pensieri da uomo del ventesimo secolo. Sii ortodosso, figliolo... per un po’. Finché non saprai con certezza chi fa una cosa, e come la fa, e per chi.»
Mentre si voltava per andarsene, il professor Hyggens raccomandò: «E non dire mai al tuo androide più di quanto le occorre sapere. E quando puoi farne a meno, non dirle nemmeno questo.»
Markham guardò il vecchio allontanarsi attraverso il parco strascicando i piedi. Poco dopo la figura pesante del professore scomparve dietro un gruppo di piante, e Markham restò con la particolare sensazione che il professor Hyggens fosse un’allucinazione tridimensionale. Ripensò un poco alla loro curiosa conversazione, e cercò di cavare un filo logico da quello che il vecchio gli aveva detto.
Poi si ricordò che Marion-A lo stava aspettando vicino all’eliauto. Si alzò e s’incamminò verso la vettura, ma non provava più alcun senso di stanchezza. Si sentiva un gran desiderio di agire, una vivacità nuova. Quasi che, inconsciamente, si fosse reso conto che il fato l’aveva preservato per il bene del ventiduesimo secolo. Era stranamente di buon umore.
«Se siete pronto» disse Marion-A «andremo alla City.»
«Sì, sono pronto.»
Mentre l’eliauto si sollevava da terra, Markham si ricordò improvvisamente il vero motivo per cui era atterrato in Hampstead Heath. Mentre i suoi pensieri tornavano a Katy, si rese conto che la casa in cui avevano vissuto, la casa che era stata il focolare di Johnny e di Sarah, una roccaforte privata e felice, doveva trovarsi a meno di quattro chilometri da lì. Si chiese chi ci abitasse al presente... e se esistesse ancora.
«Vira un poco» ordinò a Marion-A «e segui la strada. Voglio vedere...» ma subito s’interruppe.
Inutile cercare la casa. Non esisteva più. Come non esistevano tante altre case che avevano formato il quartiere di Hampstead nel ventesimo secolo. Da un’altezza di trecento metri, vedeva benissimo un lago ampio, quasi circolare, con le rive lisce e scintillanti come vetro. Ma non era vetro: era pietra fusa, mattoni fusi, argilla fusa... E sogni! Tanti sogni, tutti rinchiusi per sempre in una immensa tazza di cristallo.
Quattro o cinque bambini giocavano vicino al lago. Avevano un battellino, barchette a remi, e un altro congegno che pareva una via di mezzo tra una bicicletta e una barca. Bambini! Gli pareva che fosse trascorso un tempo brevissimo da quando aveva giocato l’ultima volta con i suoi bambini, perché la realtà di un secolo e mezzo non era così grande quanto la concretezza di sette o otto giorni. E la perdita era anche più acuta, perché Katy e i bambini erano in un certo senso ancora vivi... però in un’altra dimensione.
Una dimensione inviolabile, che non aveva niente a che fare con le città spopolate e con i laghi atomici.
Il procedimento di iscrizione all’Elenco Maschile non era stato burocratico come aveva immaginato. Marion-A si era diretta con l’eliauto verso la Whitehall, e l’aveva accompagnato fino a un edificio a un solo piano, in acciaio e plessiglass, che sorgeva al posto dell’antico ministero della guerra. Là avevano dato nome, età e impronte digitali a un funzionario androide, poi Markham era stato affidato a un medico per una elettrodiagnosi completa, e finalmente aveva ricevuto un libretto d’assegni sul quale si leggeva: Repubblica di Londra — Credito personale. Perché un assegno divenisse valido, doveva solo scrivervi l’importo con una stilografica e premere il pollice su una parte dell’assegno ricoperta di una plastica molle.
Quando uscì dall’Ufficio Maschile, Marion-A gli spiegò che, a meno di affittare l’eliauto, o comprarlo, l’apparecchio andava consegnato in un magazzino apposito della Repubblica, dove sarebbe stata rilasciata una ricevuta.
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