«Perché non provi un intervallo da venti secondi?» disse sorridendo.
Marion-A gli rivolse uno dei suoi sorrisi rigidi, e Markham ebbe l’assurda sensazione che lei cercasse di arrossire.
Mentre finiva la sigaretta, Markham si ricordò che il problema dell’alloggio veniva in primo piano.
Con l’eliauto, ci volle poco più di un minuto per andare dal ristorante al Centro Alloggiamenti. Là, l’androide in carica gli presentò la lista aggiornata che pareva offrire ogni tipo di abitazione, dai palazzi di Westminster ai seminterrati di Chelsea. Evidentemente a Londra non c’era la crisi degli alloggi.
Alcune stanze in Knightsbridge venivano al quarto posto sulla lista, e quando, a suo tempo, le ebbe viste, capì che non aveva bisogno di continuare nel suo giro. Erano al terzo piano di una delle poche case vittoriane ancora esistenti. Le preferì ad altri appartamenti perché aveva un debole per l’architettura massiccia, perché gli piaceva la sensazione di trovarsi parecchio in alto dal suolo, e perché dalle finestre si godeva una bellissima vista della Serpentina e di Hyde Park.
L’appartamento era formato da due camere da letto, un soggiorno, uno studio, una cucina e un bagno. A parte il bagno e la cucina, il mobilio era quasi tutto antico; un’accozzaglia balorda e simpatica di cimeli vittoriani ed edoardiani, con alcune comodità moderne quali un televisore tri-di, un visifono e altri apparecchi.
L’androide del Centro Alloggiamenti lo informò che l’affitto era di sessantacinque sterline mensili. Con la sensazione di commettere una follia, Markham riempì un assegno versando un semestre anticipato, vi impresse il pollice e lo porse all’agente.
Era leggermente sorpreso. In meno di due ore aveva trovato un appartamento che poteva anche trasformarsi in una vera casa. All’improvviso si sorprese a chiedersi cosa avrebbe pensato Katy.
In passato, specialmente prima di sposarsi, Hyde Park era stata la meta favorita dei loro week-end. Erano passati parecchie volte davanti a ogni casa di Knightsbrige, e forse avevano perfino osservata a lungo proprio quella, chiedendosi che effetto poteva fare abitare in una zona così elegante.
Ecco ,pensò amaramente, adesso lo saprò. Ma Katy non l’avrebbe saputo.
Con una mezza dozzina di chiavi in tasca, lasciò che Marion-A lo riconducesse all’appartamento numero tre, Rutland House, Knightsbridge. A casa... o quasi.
Solo in quel momento si rese conto che si trasferiva nella nuova abitazione con ben pochi effetti personali: pochi abiti che gli erano stati riconsegnati al Risanatorio, e niente altro. Guardò Marion-A, perplesso.
«Non avremo proprio niente in dispensa, nemmeno caffè.»
«No, John.»
«Avrei bisogno ancora di un paio di camicie, un paio di scarpe, qualcosa da leggere... E carta da scrivere, cose di questo genere. Compreremo anche qualche vestito per te come... come... Al diavolo, no! Prenderemo qualcosa di moderno adatto a questi tempi.»
«Sì, John.»
Andarono per compere. Markham spese un paio di centinaia di sterline in diversi Magazzini della Repubblica. Marion-A venne servita con efficienza da una sarta androide, mentre Markham sceglieva le camicie più compatibili con i suoi gusti e si faceva prendere le misure per un abito. Dalla profusione di tessuti sintetici dalle tinte vivaci che gli venivano presentati scelse una specie di tweed di un grigio-rosso relativamente sobrio.
Risolto il problema dei vestiti, Markham gironzolò con curiosità negli altri reparti del magazzino per vedere che specie di articoli venivano offerti al pubblico nel ventiduesimo secolo. Molti generi li riconobbe all’istante, ma altri gli parvero davvero problematici e Marion-A dovette spiegargliene l’uso.
Markham si lasciò tentare ad acquistare per sé una combinazione di orologio da polso e radio portatile, una stilografica con carica perpetua, e una serie di scacchi d’avorio antichi, completi di scacchiera. Nel reparto gioielli vide un braccialetto di platino finemente cesellato e lo acquistò per Marion-A prima ancora di rendersi conto di ciò che stava facendo. Non volle esaminare l’oscura ragione che gli aveva dettato quell’impulso, e tentò di rendere razionale l’idea del regalo dicendosi che Marion-A sarebbe sembrata più umana. Lo sorprese che il braccialetto costasse soltanto venticinque sterline.
Marion-A non si mostrò né commossa né entusiasta di fronte al dono. Ringraziò con la calma indifferenza di chi non è sensibile a un omaggio. Sebbene avesse previsto quel contegno, Markham ci rimase malissimo. Per ripicca, la spedì da sola a fare acquisti al reparto alimentare; poi la lasciò sola ad aspettare in eliauto, e se ne andò a prendere un tè nel ristorante quasi deserto del magazzino.
Ormai si stava abituando alla trasformazione subita da Londra, diventata, a suo parere, una città di fantasmi. La popolazione della città, come aveva scoperto da poco, arrivava sì e no a trentamila persone. La gente sembrava dispersa e sparpagliata come un gruppo di mosche su un’immensa torta.
Quanto alla popolazione di androidi la faccenda era tutta diversa. Ripensando alle esperienze fatte in quella prima giornata, Markham calcolò di avere visto come minimo quattro androidi per ogni essere umano.
Un’altra cosa che colpì Markham fu l’assoluta assenza di bambini per le strade: gli unici li aveva visti vicino al lago prodotto dall’atomica.
A differenza del ristorante Da Nino ,dove aveva fatto colazione a mezzogiorno, il salone ristoro del Grande Magazzino era quanto di più moderno si potesse immaginare in fatto di arredamento. Una dozzina di tavoli circolari senza gambe, sospesi al soffitto iridescente per mezzo di un tubo di metallo. Il menù veniva proiettato su un piccolo schermo, e ciascuna portata era accuratamente illustrata, inoltre Markham scoprì che le ordinazioni venivano ricevute da piccoli microfoni inseriti nei tavoli e collegati direttamente con la cucina.
Stava riflettendo se ordinare tè inglese o scozzese, quando si rese conto di essere osservato. Gettò un’occhiata nello specchio di fronte, e vide una giovane donna dai lunghi capelli biondi, di una bellezza eccezionale, ferma in piedi a poca distanza dalla sua sedia. Indossava una tunica di linea e stile vagamente cinese, di una seta blu scuro, e pantaloni di un tessuto dallo scintillio metallico. Sulla testa aveva un piccolo diadema di pietre preziose.
La ragazza incontrò il suo sguardo, sorrise e si avvicinò. Markham si alzò e si voltò a guardarla.
«Salve, signor Markham. Sedete. Vi farò compagnia se non vi dispiace.» La voce della donna aveva un timbro musicale. «Non mi conoscete ancora» continuò «ma abbiamo già un appuntamento. Sono Vivain Bertrand. Ho detto al mio A.P. di mandarvi un invito per il ricevimento di Clement a Palazzo.»
Markham cominciava a sentirsi alquanto confuso, e si malediceva per aver lasciato Marion-A nell’eliauto. Lei avrebbe potuto aiutarlo ad affrontare la situazione.
«Piacere» disse, con cortesia formale, chiedendosi se fosse corretto stringerle la mano. «Siete forse la... la moglie del Presidente?»
Lei prese posto sulla sedia accanto. «Tanto per la cronaca, spero di non sembrare la moglie di nessuno. Sono la figlia, signor Markham. Allora cosa vogliamo ordinare? Avete appetito?»
«Veramente no, signorina Bertrand. Io...»
«Chiamami pure Vivain, io ti chiamerò John. Quel ridicolo androide ha sciupato tutto. Ha proprio bisogno di essere riprogrammato. Bene, se non hai fame, prenderemo solo un tè e un po’ di torta.»
Non aveva ancora finito di parlare, quasi, che apparve un androide col vassoio: servì tè e torta in silenzio, e si ritirò. Vivain Bertrand allungò un braccio ben tornito e premette un pulsante al centro del tavolino. Immediatamente un cilindro trasparente di plastivetro salì dal pavimento attorno al tavolino e alle sedie. Il sottofondo di rumori del ristorante venne completamente tagliato fuori, e Markham ebbe l’impressione di essere precipitato all’improvviso in una vasca di pesci assieme a Vivain Bertrand.
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