«Bene, adesso ci conosciamo» disse Markham. «Vogliamo venire al sodo?»
«Ti dispiace se ti chiamo John?» chiese l’altro con un sorriso. «Un semplice trucchetto psicologico. Ti sarà più difficile consegnarmi al nemico se saremo in termini di amicizia.»
«Perché dovrei consegnarvi?»
«John, io sono un Fuggiasco. Ecco perché potrebbe venirti l’idea di denunciarmi. Ma non lo farai... o almeno, penso proprio che non vorrai farlo perché anche tu, in fondo, sei un Fuggiasco. Non lo sai ancora, probabilmente. Ma te ne renderai conto appena avrai assaggiato come sia in effetti questo adorabile mondo nuovo.»
«Consideratemi pure un bambino di quattro anni» disse Markham. «Non so niente di niente, io. Sono appena uscito dalla ghiacciaia. Cos’è un Fuggiasco?»
«Io» disse il professor Hyggens, sorridendo, con affettazione. «Ne sono la definizione perfetta. Un pazzo antiquato e refrattario che crede nella dignità umana, nella libertà d’azione e nel diritto di lavorare. Sono pericoloso. Praticamente sono un anarchico. La società non mi ama, o meglio, mi teme addirittura e per società, John, intendo i maledetti androidi. Quindi mi si propone per l’Analisi. Ora, io non ho una grande opinione dell’Analisi, perché alcuni miei amici l’hanno subita, e dopo essere stati analizzati non sono più gli stessi. Non sembrano più nemmeno esseri umani... per lo meno dal mio punto di vista. Dov’ero rimasto? Oh, già l’Analisi. Dunque, io rifiuto di lasciarmi analizzare, e loro rifiutano di iscrivermi nell’Elenco Maschile. I miei assegni non hanno più corso, ragione per cui muoio di fame, o divento Fuggiasco. Un Fuggiasco, John, è un uomo al quale non è rimasto più niente, salvo il rispetto di se stesso. Per conservare questo rispetto, e tra parentesi anche la propria libertà, è costretto a rubare indumenti e viveri, a fare a pezzi gli androidi ficcanaso, a vivere di notte e a rappresentare una minaccia per tutti gli esseri umani per bene. Che te ne pare?»
«Orribile» disse Markham. «Bene, mi avete spiegato cosa siete. Ditemi ora il perché.»
Il professor Hyggens tolse di tasca una vecchia pipa e cominciò a riempirla di tabacco. «Brutta abitudine. Antigienica. Disgustosa. Provoca il cancro, la tubercolosi, l’indurimento delle arterie, e il buon senso. Vuoi fumare?»
«Grazie, no. Fumo sigarette.»
«È piacevole essere antigienici, vero?» disse il professore. «E ora vediamo un po’. Mi hai chiesto perché... Ecco John, io sono vecchio. Ho vissuto a sufficienza da vedere questi maledetti androidi impossessarsi di tutto. Trent’anni fa insegnavo filosofia, è un modo un po’ pomposo di presentare la cosa, magari, a classi composte di venti o trenta studenti. Tutti esseri umani. Non molto intelligenti, tranne i soliti due o tre, ma pur sempre umani. Poi le mie classi cominciarono a farsi meno numerose. Diamine, qual era il costrutto nel consumare materia grigia sul positivismo logico quando il mondo offriva tanta facilità di vita? Ma dopo un paio d’anni, quando i miei corsi contavano al massimo nove o dieci studenti, il numero aumentò di nuovo. C’era da ridere, ma ti assicuro che non era una risata allegra.»
Markham prese un’altra sigaretta e si accorse sorpreso che le dita gli tremavano. «Sono ancora un po’ debole» spiegò. «Mentalmente e fisicamente... Avete detto che il numero aumentò di nuovo?»
Il professor Hyggens annuì. «Gli androidi» disse con enfasi. «Gli androidi studiavano filosofia. Che te ne pare di questa barzelletta?»
Markham lo fissava. «Dipende dal senso dell’umorismo che uno ha» disse. «Personalmente, sarei stato più incline a perdere il sonno che a ridere.»
Il professor Hyggens prese un’aria beata e soddisfatta. «Lo sapevo che di temperamento eri un Fuggiasco. Maledizione, dovevi per forza esserlo, appena uscito come sei dal glorioso ventesimo secolo. Ma il meglio deve ancora venire, John. Il numero continuò a crescere, e gli umani continuarono a diminuire. A un certo punto avevo in classe due soli allievi umani: uno era un poliomielitico, l’altro era rimasto infortunato in seguito a un incidente di volo. Forse per questo si erano iscritti a filosofia, penso. Ma il resto della classe era composto di androidi, grandi androidi intelligenti, pronti a papparsi in quattro e quattr’otto la saggezza di secoli e secoli. Ero talmente furibondo che avrei voluto creare in classe un bel campo elettromagnetico per fondere i loro maledetti circuiti. E sai cosa feci?»
Suo malgrado, Markham cominciava a provare simpatia per quel vecchio. Era sudicio, straccione, e puzzava d’alcol. Ma c’era qualcosa di irresistibile, nella sua personalità: un entusiasmo, una malizia che lo rendevano estremamente giovanile.
«Lasciate perdere le domande retoriche» disse secco Markham. «Non sono in carattere con un professore di filosofia.»
Il professor Hyggens rise. «Troppo giusto. Lo sai che feci, John? Inghiottii il mio sacro sdegno, e continuai a insegnare a quei luridi bastardi la metafisica e la logica meglio che potevo... Non hai mai fatto lezione all’università, John?»
«No, ma sono stato a lezione.»
«Allora conosci la ricetta, figliolo. Stuzzicare l’interesse degli studenti con una piacevole dichiarazione controversa, versarci dentro due quarti di informazioni autentiche, e salare bene con qualche aneddoto fuori chiave. Poi lasciare che il tutto scivoli dolcemente nel lento forno mentale.»
«Usate delle curiose metafore.»
«Appropriate» disse in tono solenne il professor Hyggens. «Se il cervello umano non è un forno, come può la cultura restare a metà cottura? Dunque, come ti dicevo, questa è la ricetta. Non con gli androidi, però. Nossignore. Quelli ti siedono di fronte come macigni, ti fissano come gatti di porcellana, e tu versi ingredienti con tutta la velocità che ti è possibile perché il loro potere di assimilazione è senza limiti. Sai, John, io sono un imbecille di professione. Avrei dovuto anticipare la loro mossa successiva. Chiunque non fosse stato un professore mattoide ci sarebbe riuscito.»
«Così a occhio» disse «ritengo che abbiano eliminato il corso di filosofia perché gli androidi avevano scoperto di non averne bisogno.»
«Non è esattamente così, figliolo.» Il sorriso che gli rivolse Hyggens era paterno. «Si limitarono a eliminare me.»
«In che senso?»
«Licenziato... ecco il senso. Trovarono un professore più efficiente. Un androide, John! Uno dei miei ex studenti. E adesso dimmi che non è divertente!»
Markham rimase silenzioso per un poco. Silenzioso e avvilito. Poi disse: «C’è una cosa che non afferro. Perché mai gli androidi dovrebbero studiare filosofia? Da quello che ho scoperto fino a questo momento sono puramente funzionali.»
«La filosofia» disse il professore «è vita. Per lo meno è uno dei grandi aspetti della vita, della vita intellettiva. Ecco perché gli androidi ci tengono a incamerarla nelle loro bobine. Per poter valutare i problemi della vita.»
«Ne hanno bisogno?»
Il professor Hyggens batté la pipa contro la suola logora della scarpa. «Così pensano. A che punto ne abbiano bisogno chiedilo a te stesso.»
«Ve lo sarete già chiesto voi. C’è una risposta?»
«Forse, e forse non c’è. Ma di sicuro questa domanda ne comporta una seconda. Hai mai cercato di definire la vita, John?»
Markham guardò il giardino, e Marion-A che ora stava vicino all’eliauto. «Non so» disse. «Può darsi... molto tempo fa.»
«Bene, tenta di nuovo, adesso.»
Markham rifletté un poco, poi disse esitando: «Tutte le cose viventi consumano e poi si riproducono... È il meglio che possano fare, temo.»
«E non è molto» disse Hyggens divertito. «Ci dice cosa fa la vita, ma non cos’è. Sei d’accordo che il cibo, per esempio, è solo una forma di energia?»
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