Edmund Cooper - Uomini e androidi

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Uomini e androidi: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel sottosuolo vicino a Londra viene scavato un immenso magazzino dove, grazie a opportuni accorgimenti, potranno essere conservati enormi quantitativi di generi alimentari. Lo scopo dell’impresa è quello di preservare le scorte di cibo da un inquinamento radioattivo, nel caso che si scateni una guerra atomica. Dei lavori si è interessato l’ingegnere John Markham. Così, quando viene segnalata una irregolarità negli impianti elettronici, è Markham a scendere nei sotterranei per un controllo. A un tratto, una scossa violentissima, seguita da altre, poi un crollo improvviso. L’ingegnere pensa a un terremoto o a un errore di costruzione. Comunque, lì vicino c’è una delle tante nicchie col telefono collegato all’esterno. Vi arriva scavalcando i detriti, ma l’apparecchio non funziona. Be’, si tratterà di aspettare un po’. Fuori si accorgeranno che è successo qualcosa e scenderanno a cercarlo. E deve proprio essere andata così perchè Markham, adesso, è in un lettino. Si sente un po’ debole ma è sano e salvo. Però ha freddo. Molto freddo. E quella donna che si china su di lui è Katy! No, non è lei. Ma Dio Santo come le assomiglia. E quello strano dottore che dice cose tanto strampalate... Insomma, affrettatevi a leggere questo romanzo per poter dire a John Markham dove esattamente si trova e cosa gli è successo.

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L’intervistatore prese immediatamente la parola. «Vi ha parlato il signor John Markham, il Sopravvissu­to, l’ospite della settimana di Parata di Personalità. Ci colleglliamo ora con il Dominio Scozzese, dove uno dei miei colleghi sta per intervistare il Granduca che dirà le sue impressioni sulla recente campagna negli Altipiani... Amici telespettatori, eccovi New Glasgow.»

Il presentatore toccò il suo congegno da polso. «Ora il collegamento è tolto, signore. Posso quindi chieder­vi scusa se mi sono preso qualche familiarità resa ne­cessaria dall’intervista. Spero che non vi sia dispia­ciuto...»

«Non preoccupatevi» disse Markham, ironico. «Sono ancora intero. Si fa qualsiasi cosa per far diver­tire i cari telespettatori.»

«Esattamente» fece l’androide, tornando impassi­bile. «Grazie per la collaborazione, signor Markham.» Smontò il treppiede, ripose la telecamera in un astuc­cio e si accomiatò salutando con un breve cenno.

Finché l’altro non se ne fu andato, Markham man­tenne un’aria di assoluta indifferenza. Ma appena la porta dell’appartamento si chiuse alle spalle dell’an­droide, lui cominciò a passeggiare su e giù nervosa­mente. Marion-A lo osservava, ma non diceva niente. Alla fine Markham sprofondò le mani nelle tasche. Poi ne estrasse l’accendino e lo guardò.

«Senza sigarette, maledizione! Non ho più fumato dal... da un secolo e mezzo! Non fuma nessuno in que­sto nuovo mondo idiota?»

«Pochissime persone, signore» rispose Marion-A. «E sono quasi tutte della generazione più avanzata. L’abitudine si è spenta qualche decennio fa. Ma mi so­no presa la libertà di prepararvi un po’ di sigarette, nel caso in cui le aveste gradite.» Marion-A prese una scatola di sigarette dal mobile-bar truccato da libreria.

«Grazie. È tabacco autentico?»

«Sì, signore. Coltivato a Londra.»

Markham esaminò una sigaretta, l’annusò pruden­temente, alla fine l’accese. «Mica male. Una volta, im­portavamo il tabacco dall’America, lo sai?»

«Sì, signore. Ma. il commercio internazionale è de­clinato notevolmente dopo l’Epopea. Praticamente, non se ne sente il bisogno.»

«Per tutti i diavoli, piantala di chiamarmi signore

«Scusami, John.»

Markham aspirò profondamente alcune boccate, as­saporando il fumo. «Tanto vale che mi dia alla paz­za gioia e beva qualcosa. Ne ho proprio bisogno. Che specie di liquido abbiamo nell’armadio dei veleni?»

«Brandy, whisky, gin, vini bianchi e liquori dolci.»

«Versami un doppio whisky, allora, per piacere... E bevi qualcosa anche tu, va là! Così mi sembrerai anche più umana.»

Prese il bicchiere e aspettò che Marion-A versasse an­che per sé.

Poi bevve un paio di sorsi e sentì con piacere il ca­lore dell’alcol giù per la gola. Infine osservò Marion-A che centellinava seria seria, e comprese che per lei bere non significava niente.

«Fino a che punto ho fatto la figura dell’idiota in quell’intervista?»

«Ti sei comportato molto bene. Credo che tu abbia fatto un’ottima impressione. La gente capirà che non si può pretendere da te un atteggiamento disinvolto verso le abitudini moderne.»

Markham sorrise amaro. «Qualcosa mi dice che le vostre moderne abitudini sociali mi faranno desidera­re intensamente un altro periodo di animazione so­spesa.»

«Penso che col tempo ti abituerai, John.»

«Spero proprio di no... Un’altra cosa. Che diavolo farò quando sarò fuori di qua? In questi giorni ho vis­suto in una specie di letargo. Forse, senza rendermene conto, aspettavo che qualcun altro decidesse per me.»

«Domani» disse Marion-A «sarà bene andare alla City per iscriverti nell’Elenco Maschile. Poi riceverai un libretto d’assegni e ti intesteranno la pensione che ti spetta. Avrai un conto corrente.»

«Di cinquemila sterline annue» disse Markham «sempre che non renda madre qualche iscritta all’Elen­co Femminile.»

Marion-A esibì uno dei suoi rigidi sorrisi. «E adesso ti consiglierei una buona dormita, John. Sei ancora stanco, e domani ci sarà molto da fare. Sarà necessario stabilire dove vuoi abitare, e disporre per l’alloggio.»

Markham la guardò, poi si avvicinò al mobile-bar e si versò un altro doppio whisky. «Ti do una notizia, Marion. Ho intenzione di prendermi una piccola sbor­nia... Perciò, alla salute della mia fedele infermiera!»

4

L’eliauto era un biposto; una bolla di plastica traspa­rente e metallo leggerissimo, con tre ruote per viaggia­re su strada, e due eliche, di cui la più piccola proprio sotto lo chassì. Nel complesso, la macchina si presen­tava troppo fragile, sia come automobile sia come eli­cottero. Ma dopo averla esaminata attentamente, Markham si accorse di averne sottovalutato parecchio la funzionalità.

Marion-A scivolò lungo il comodo sedile e andò a mettersi al volante. Lui montò accanto a lei e tirò a sé la portiera. Si udì un leggero sibilo mentre il moto­re atomico si riscaldava, poi l’eliauto si staccò dal tet­to e puntò a sud-ovest, verso la City, a una piacevole velocità di cento all’ora.

Era una mattinata calda e serena. La luce del sole, dai riflessi dorati, particolari all’inizio dell’autunno, scherzava dolcemente sulla campagna ondulata. A una quindicina di chilometri s’intravedeva la città di Colchester: un’isola ben delimitata di vetro e cemento, immobile in quel mare di erba verde.

Ora che stava per lasciare il luogo di cura, Markham sentiva irrazionalmente che una porta si stava chiu­dendo sul passato. Razionalmente, sapeva che si era già chiusa molto tempo prima, nell’attimo in cui ave­va sentito la prima onda d’urto nella camera K. Nel­l’appartamento, tuttavia, pur apprezzando la solitudi­ne di cui poteva circondarsi, aveva sempre avuto la vaga convinzione di essere immerso in un elaboratissimo sogno, e che alla fine avrebbe aperto gli occhi, si sarebbe voltato sull’altro fianco e avrebbe raccontato il suo sogno a Katy. E poiché aveva avuto tanto bi­sogno di dormire durante quei cinque giorni, la sensa­zione di sognare si era rinforzata, tanto che aveva fi­nito col credere seriamente in un effettivo e definitivo risveglio alla realtà.

Ma il risveglio reale era arrivato: un viaggio in eliauto verso Londra in compagnia di un essere abile, attento... e senz’anima. Questo era il vero momento della rinascita: l’entrata in un mondo che gli aveva già fatto arrivare accenni della propria implacabile realtà.

Prima che Markham lasciasse il Risanatorio, nel suo appartamento erano state recapitate quattro lettere. Erano il risultato della sua comparsa sui teleschermi durante la Parata di Personalità. La prima era di un tale che voleva ritrarlo in una monocromia rosso su vetro, due erano di donne che si offrivano garbata­mente di iniziarlo alle usanze amorose del ventidue­simo secolo, e la quarta era un invito stampato da par­te del Presidente di Londra.

Mentre l’eliauto continuava il suo viaggio, e Colchester spariva nel paesaggio ondulato, Markham tolse di tasca il cartoncino del Presidente e tornò a guar­darlo.

Diceva:

BUCKINGHAM PALACE 7-9-13

da: CLEMENT BERTRAND

Presidente della Repubblica di Londra

a: JOHN MARKHAM

Siete cordialmente invitato a presentarvi il 15-9-13 alle ore 21. Cena e trattenimenti.

Cena e trattenimenti! Markham sorrise cinicamente tra sé tentando di immaginare il genere di trattenimenti che poteva essere offerto dal Presidente di Londra. Cominciò a chiedersi che specie d’uomo fosse Clement Bertrand, e stava per chiederlo a Marion-A. Ma cambiò idea e si rimise in tasca l’invito. Come poteva un androide descrivere adeguatamente un essere uma­no?

Nel frattempo, l’eliauto stava sorvolando una zona molto boscosa. Ma a meno di due chilometri da lì gli alberi diradavano mettendo improvvisamente allo sco­perto un’area di roccia e di terra brulla. Era un’area rozzamente circolare, di circa mille metri di diametro. Sull’intera superficie non cresceva quasi niente tranne qualche cespuglio striminzito e pochi ciuffi d’erba riar­sa. Dalla bassa quota mantenuta dall’eliauto, Markham riusciva a distinguere la traccia mezzo cancellata di tre strade in disuso che convergevano verso l’area spoglia.

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