Lei rise, toccò un altro bottone, e il cilindro si fece azzurrognolo e lattiginoso, perdendo la trasparenza. «Ora siamo davvero nell’intimità» spiegò lei. «Così resta isolato anche il microfono... Li chiamiamo oubliettes. »
«È la mia prima esperienza in fatto di oubliettes. »
Lei gli diede un’occhiata inquisitrice. «Gli uomini e le donne del ventesimo secolo non ci tenevano a restare soli?»
«Nel bel mezzo di un ristorante... per lo meno, no, e comunque non così.»
Vivain era sorpresa. «Dovevano essere molto incostanti, allora.»
Lui non seppe cosa rispondere a quell’osservazione, e rimase zitto.
«Devi raccontarmi tutto sulla gente della tua epoca» proseguì lei. «Ardo dalla curiosità di sapere com’erano effettivamente... È vero quello che hai detto alla televisione? Eri davvero fedele a tua moglie?»
Markham si sentiva come un bambino che confessa una scorreria nella dispensa. «Sì, verissimo.»
«Che creatura incredibile!»
«Il termine usato oggi è barbaro sessuale, credo» disse lui seccamente.
Vivain riuscì a costringerlo a guardarla negli occhi. «Sono certa che sapresti essere veramente barbaro» mormorò.
Oltre a essere fisicamente la donna più conturbante che lui avesse mai incontrato, c’era un’altra qualità, in Vivain, che lo affascinava. Ogni suo gesto dava una sensazione di potere represso, di forza psicologica trattenuta, come una molla compressa. Si sorprese a chiedersi come sarebbe stata se la molla fosse scattata, e intuì che doveva essere pericolosa, sotto ogni aspetto. Ugualmente pericolosa, nella vittoria come nella sconfitta... Era una donna, concluse, essenzialmente vulcanica; e probabilmente dotata dell’energia distruttiva propria dei vulcani.
«Sembri smarrito» disse Vivain. «Come un orso polare ai tropici. Doveva essere malinconica la vostra epoca! Immagino che il contrasto ti renderà leggermente psicopatico per un certo tempo, ma in modo spassoso. Sarò io la tua custode. Deve essere divertente osservare le tue reazioni.»
«Spero di non deluderti troppo» disse lui, senza scomporsi.
Vivain gli sorrise. «Non credo. Probabilmente in te si annidano più inibizioni che in tutti i Fuggiaschi della Repubblica riuniti insieme.»
«Può darsi che le mie inibizioni mi piacciano.»
«Può darsi che piacciano anche a me» disse lei. «Lo sento... combatteremo una guerra privata. Ciascuno tenterà di modificare l’altro senza esclusione di colpi. Le tue idee contro le mie. Vedremo chi sarà il migliore, e il più forte. Accetti la sfida, caro nemico?»
Markham si sentiva decisamente a disagio. Le cose procedevano a un passo che lo stordiva addirittura.
«Sono troppo intento a chiedermi come ci siamo trovati a parlare in questo modo» disse, e aggiunse:
«Forse dovrei comportarmi con maggior rispetto con la figlia del Presidente.»
Lei rise. «Solo se io volessi. Ma non voglio. Sei troppo interessante perché io voglia tenerti a distanza, John. Non tutti i giorni si incontra un uomo di quasi due secoli.»
«Non esageriamo, prego. Sono un ragazzino di soli centosettantasette anni.»
«E molto ben conservato» disse lei. «Cosa ne pensi della City? Non ti pare che l’abbiamo migliorata? Non posso pensare a come doveva essere quando ci vivevano milioni di persone. Una massa di corpi che si agitavano, immagino... Che cosa ripugnante!»
«Non ho ancora avuto il tempo di chiarire le mie impressioni» rispose Markham prudente. «Ho dovuto registrarmi nel’Elenco, e trovarmi una casa.»
«Sei stato svelto. Dove abiti?»
«Rutland House, Knightsbridge.»
«La conosco. Un vecchio museo ancora in piedi. È per questo che l’hai scelta?»
«Precisamente» disse lui. «Ormai sono anch’io un pezzo da museo.»
Vivain finì il suo tè. «Ma non per molto» disse in tono profetico. «Me ne occuperò io. Si dà il caso che siamo quasi vicini, John. Io ho un alloggio in Park Lane. Sto a De Havilland Lodge.» Guardò l’orologio da polso. «A quest’ora dovrei essere all’Olimpic Club... Vieni a trovarmi stasera. Alle dieci e mezzo, e senza androide. Potrai parlarmi della tua antiquata famiglia e del tuo secolo sorpassato.»
Schiacciò il pulsante e l’ oubliette rientrò nel pavimento.
«Ma io...» Markham non poté proseguire oltre.
«Niente ma, caro nemico. Sono la figlia del Presidente» lo avverti lei con un sorriso allegro. «Un errore di tattica, e tornerai in A.S.»
«Davvero?»
«Sciocco! Stasera ti farò guarire un po’ da quella tua serietà antidiluviana. Ciao, John. Curati le tue inibizioni!»
E se ne andò in fretta, prima che lui potesse formulare un rifiuto diplomatico. Vivain Bertrand gli aveva messo addosso una strana tensione. Si trattenne nel ristorante per qualche altro minuto, meditando sull’incontro e cercando di analizzare la propria reazione. Ma non venne a capo di niente, e rinunciò.
Poi si ricordò di Marion che lo stava aspettando nell’eliauto. Uscì per raggiungerla. Si sentiva in un certo senso vendicato per la mancanza di entusiasmo con la quale lei aveva accolto il braccialetto di platino, pur sapendo benissimo che l’androide non poteva sentire né entusiasmo né umiliazione. Ritornarono in Knightsbridge in silenzio. Markham aprì la porta del suo appartamento proprio mentre squillava il visifono.
«Come funziona questo coso?» chiese irritato.
Marion-A abbassò una piccola leva posta di fianco allo schermo, poi si scostò per uscire dal raggio visivo. Lo schermo si animò, e sul video apparve la testa di una ragazza. Capelli scuri, faccia dai lineamenti mobili, vent’anni circa.
«Ciao, tesoro» disse, disinvolta. «Benvenuto in questo tugurio. Proprio il genere di tana che usavano nel ventesimo secolo, eh? Adesso devi, ripeto devi, scendere immediatamente a bere qualcosa con noi, subito, in questo istante, eccetera. Niente scuse, tesoro. Moriamo dalla voglia di conoscerti. E lascia a casa il tuo A.P. I nostri li abbiamo mandati a spasso per un’oretta... Sai, qualche volta ci si stanca di vederli tra i piedi. Oh, dimenticavo! Sono Shawna Vandellay, abito proprio sotto di te, nell’appartamento Due.»
«Salve» disse Markham, un po’ intontito da quel fiume di parole. «Io mi chiamo...»
«Sappiamo tutto, tesoro. Sei l’incredibilmente romantico Sopravvissuto. In confidenza, potrei interpretarti tragicamente. Saresti una divinità superba. Una specie di Orfeo, credo. Tanto più che hai avuto un inferno tutto tuo. Ma purtroppo non sei un tipo musicale, vero?»
«No, non ho alcun talento particolare... né divino, né artistico.» Pensava che quella ragazza fosse un po’ matta.
«Tesoro» disse lei «stiamo sprecando elettronicamente tonnellate di sforzo psicosomatico. Ci vediamo tra venti secondi.» Un ultimo sorriso radioso, poi lo schermo si spense.
Markham si rivolse a Marion-A. «La gente parla tutta così?» chiese. «O si tratta di un caso speciale?»
«La signorina Vandellay usa l’idioma corrente» rispose Marion-A con un’ombra di sorriso. «Ha un gergo un po’ concentrato, forse.»
«Al diavolo. Dovrò andarci, immagino.»
«Sì, signore. Cosa volete che faccia mentre siete assente?»
Markham ci pensò per un momento. «Provati i vestiti nuovi» rispose secco.
Shawna Vandellay aprì la porta proprio mentre lui arrivava, e impetuosamente lo trascinò all’interno. Gli mise in mano un calice, e senza perdere tempo lo presentò a un tipo alto e abbronzato che aveva l’aspetto e l’atteggiamento di un atleta.
«Questo arnese è Paul Malloris. La mia prima fissazione. Quando non ha niente di meglio da fare, compone versi bellissimi» Shawna rise. «Ma di solito il caro bestione ha cose migliori da fare. Non vedo proprio perché le relazioni amorose non dovrebbero durare per anni, in fondo. Ma già, tu sarai d’accordo... perché anche tu sei passionalmente un primitivo, vero, caro Sopravvissuto?»
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