Diede un’occhiata dalla finestra, vide che il cielo era sereno e decise di andare a piedi. Ci sarebbe voluto, ricordava, un quarto d’ora al massimo per raggiungere Park Lane: bastava tagliare attraverso il parco.
«Volete tornare con l’eliauto?» gli chiese Marion-A.
Lui le aveva detto del suo incontro con Vivain Bertrand, e si era chiesto se Marion avrebbe mostrato qualche reazione alla notizia. Ma, come al solito, non c’era stato alcun commento.
«Non credo. Se dovessi cambiare idea, ti chiamerò.»
«Sì, signore.»
«Evidentemente gli androidi hanno poca memoria.»
«No... John.»
Mentre lasciava l’appartamento, Markham si chiedeva se quel signore usato quando erano soli fosse un segno di broncio. Pensò che era possibile. E si augurò che fosse cosi.
L’aria era limpida, un’aria frizzante d’autunno, e il cielo settembrino era punteggiato di stelle. Nell’attraversare Hyde Park, Markham si sentiva stranamente felice. Per la prima volta si trovava fuori di sera, da solo, e questo gli comunicava un senso esilarante di libertà, e di sicurezza.
Scrutò le stelle, riconoscendo le costellazioni più familiari, fari eterni, nella cui esistenza un secolo e mezzo rappresentava un momento trascurabile. Poi all’improvviso ricordò un frammento di un sogno fatto poco prima, ricordò come nel sogno le stelle si fossero cambiate in fiocchi di neve, sciogliendosi subito dopo. Il senso di sicurezza e di continuità, dileguò. Era solo nel buio, e la solitudine lo agghiacciò come il gelo paralizzante della camera K. Quando finalmente trovò De Havilland Lodge, in Park Lane, si sentiva come un’anima in pena, un uomo desideroso di sfuggire da se stesso, dai propri pensieri, dai propri ricordi. Cominciava a capire come dovessero sentirsi i Fuggiaschi, respinti dalla società.
Vivain Bertrand venne lei stessa ad aprirgli. S’era aspettato di trovare servi, androidi, altri ospiti. Ma evidentemente Vivain aveva optato per un’atmosfera di intimità.
«Salve, mio caro nemico, siamo in ritardo.» Lo accolse con un sorriso che tradiva una traccia d’impazienza.
«Mi dispiace, signorina Bertrand. Sono davvero molto in ritardo?»
«Di sette minuti... Di solito sono gli altri che aspettano me. È un’esperienza nuova. E non sono la signorina Bertrand... per questa sera. Non per te.»
Indossava un vestito molto semplice. Dalla vita in su, era un normale abito da sera, la cui scollatura scendeva fino alla cintura formata da una specie di fune metallica, unico ornamento. Nella parte inferiore, si divideva in un paio di pantaloni attillati, che mettevano in risalto la linea affusolata delle gambe.
Sulla soglia, l’abito era sembrato nero e la fune d’argento. Ma quando entrarono nel soggiorno, l’abito diventò di un lilla pallido e la fune divenne dorata. Contemporaneamente, i capelli biondi si erano fatti color ebano.
Lei rise della meraviglia di lui.
«Ti sto mettendo al corrente della nuova moda» spiegò. «Oggi non amiamo i colori statici. Sono troppo monotoni. Viviamo in un mondo di vita e di movimento, come l’amore e la verità.»
Girò su se stessa con grazia solenne, e l’abito si fece bianco, la lunga capigliatura di un verde cupo e lucido.
Markham la osservava ipnotizzato.
«Come...»
«Come e perché! È tutto quello che sai dire?» disse lei. «Non ti piace vedere le cose belle?»
«Sì, ma...»
«I ma mi annoiano, caro John. Basta con i ma, i come e i perché. Ora scaraventati sul divano, ti preparerò un corroborante speciale: si chiama scossa per l’anima. Poi se sarai buono e divertente, forse accontenterò la tua curiosità.» Lo spinse allegramente su un divano lungo e basso, poi andò a un carrello carico di bicchieri e caraffe e preparò le bibite.
La stanza era ammobiliata in un lussuoso stile modernissimo, ma l’attenzione di Markham era concentrata su Vivain. L’atmosfera sembrava completamente satura della vitalità della ragazza, quasi che lei irradiasse un’energia invisibile capace di caricare tutto quello che sfiorava.
Gli porse un bicchiere, poi si sedette decorativamente su un mucchio di cuscini ai piedi del divano, e sorseggiando la sua scossa per l’anima rimase a osservarlo con occhi scintillanti.
Lui assaggiò con cautela la bibita.
«Che effetto ti fa avere un A.P.?» chiese Vivain.
Lui sorrise. «Mi ci sto abituando» rispose. «Devo continuare a ripetermi che è soltanto una macchina.»
«Forse siamo tutti macchine, in fondo. Solo che non lo sappiamo.»
«Tu ne sei convinta?»
Lei sorrise. «Caro John, sei così spaventosamente serio... Beviamo qualcos’altro. Il mio bicchiere è vuoto.»
Markham si alzò. «Dimmi come si fa.»
Preparò la scossa sotto la direzione della ragazza. Riuscì buona quasi quanto la prima... ma un po’ più forte.
«Sai» disse Vivain «berremo alla memoria di tua moglie... Come si chiamava, John?»
Fu costretto a risponderle. «Katy.»
«A Katy, allora. Sono certa che era molto carina, molto dolce e molto docile... Sei d’accordo?»
«No.»
«Non pensi che fosse carina?»
«Non penso che fosse docile.»
Vivain finì la sua scossa. «Certo che lo era. Si era lasciata addomesticare da te, no?»
«Non capisco di che cosa stai parlando.»
«Sei un ipo, caro nemico. Sai benissimo di che cosa sto parlando.»
Markham finì la sua bibita. «E cosa sarebbe un ipo?» chiese.
«Un ipocrita. Mi hanno fatto ascoltare una quantità di registrazioni storiche, John. L’ipocrisia era la grande arte del ventesimo secolo. In politica, in guerra e in amore.»
«Ma voi avete cambiato questo stato di cose, vero?» disse lui amaramente. «Non esiste più la politica, la guerra non si fa più, e ognuno va a letto con chi gli pare.»
Vivain rise. «Sei legnoso come un androide, e ingenuo come una vergine... e incredibilmente solenne. Forse dovrò fare qualcosa in proposito.» Toccò un bottoncino che Markham notò solo in quel momento sulla cintura di fune dorata.
Ci fu un leggero cambiamento nel tipo di illuminazione diffusa nella stanza, ma la trasformazione più sconcertante stava avvenendo in Vivain.
In un attimo i suoi capelli divennero bianchi e luccicanti, mentre la carnagione si scuriva fino a farla sembrare una nera, e il vestito adesso era trasparente.
«Cosa ne pensi, mio bel puritano?» La voce di lei era calma e vibrante.
Markham rimase a lungo silenzioso sperando che quel silenzio la mettesse in imbarazzo, sperando di poter guadagnare l’iniziativa. Ma Vivain era assolutamente tranquilla, mentre la tensione di lui andava aumentando di momento in momento. Temeva di essere un idiota, e temeva di non esserlo. Temeva di parlare, e non aveva il coraggio di rimanere silenzioso, sapeva che qualunque cosa fosse successa, l’unico sconfitto sarebbe stato lui.
Guardò di sfuggita gli occhi di Vivain, chiedendosi se vi avrebbe scoperto una luce di debolezza, una traccia di intenzione: ma l’occhiata si perse in uno sguardo senza tempo. Un profondo, esame vicendevole. Finalmente ricordò la domanda di lei e disse incerto: «Non saprei... Tu cosa ne pensi?»
«Mi sembra divertente...»
«E pericoloso» disse lui.
«No, pericoloso no. Interessante, caso mai. E spesso eccitante. Anche in questa occasione, forse...»
«E se non lo fosse?»
«Allora potrebbe essere più interessante che mai... Stai cercando con tutte le forze di restare cerebrale, vero, sciocco tesoro? Forse ho sottovalutato Katy.»
«O forse hai sopravvalutato me.»
«Lo credi?» Vivain scosse i lunghi capelli sciogliendoli dalla retina metallica che li teneva raccolti. «Bada alle tue difese, caro nemico» mormorò dolcemente. «Sto muovendo all’attacco.»
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