Edmund Cooper - Uomini e androidi

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Uomini e androidi: краткое содержание, описание и аннотация

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Nel sottosuolo vicino a Londra viene scavato un immenso magazzino dove, grazie a opportuni accorgimenti, potranno essere conservati enormi quantitativi di generi alimentari. Lo scopo dell’impresa è quello di preservare le scorte di cibo da un inquinamento radioattivo, nel caso che si scateni una guerra atomica. Dei lavori si è interessato l’ingegnere John Markham. Così, quando viene segnalata una irregolarità negli impianti elettronici, è Markham a scendere nei sotterranei per un controllo. A un tratto, una scossa violentissima, seguita da altre, poi un crollo improvviso. L’ingegnere pensa a un terremoto o a un errore di costruzione. Comunque, lì vicino c’è una delle tante nicchie col telefono collegato all’esterno. Vi arriva scavalcando i detriti, ma l’apparecchio non funziona. Be’, si tratterà di aspettare un po’. Fuori si accorgeranno che è successo qualcosa e scenderanno a cercarlo. E deve proprio essere andata così perchè Markham, adesso, è in un lettino. Si sente un po’ debole ma è sano e salvo. Però ha freddo. Molto freddo. E quella donna che si china su di lui è Katy! No, non è lei. Ma Dio Santo come le assomiglia. E quello strano dottore che dice cose tanto strampalate... Insomma, affrettatevi a leggere questo romanzo per poter dire a John Markham dove esattamente si trova e cosa gli è successo.

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Mentre esaminava la scena, gli abiti coloratissimi e ridottissimi delle donne, e le tenute leggermente più vistose degli uomini, Markham sentì che anche lui era entrato in una specie di acquario, e di esserne prigio­niero proprio come i pesci.

«Signore» disse una voce maschile «sarei onorato se mi permetteste di offrirvi un bicchiere di brandy Elisabettiano del Presidente. Ce ne sono soltanto sei casse in tutta la Repubblica.»

Lo sconosciuto aveva una faccia attraente e senza età. Era più alto di Markham, e la sua caratteristica dominante erano gli occhi profondi, penetranti. Gli abiti erano relativamente semplici, e c’era in lui un’a­ria di dignità e di decisione che, da sola, sarebbe ba­stata a distinguerlo da tutto il resto della compagnia.

«Grazie» disse Markham. «Brandy Elisabettiano. Un nome che fa pensare.»

Lo sconosciuto sorrise. «È genuino, imbottigliato nel mille novecentosessantatré. Nemmeno i conoscito­ri potranno apprezzarlo quanto voi, Markham.» Fe­ce un cenno con la mano. Apparve un androide, che venne spedito via con un ordine secco. Pochi secondi dopo l’androide tornò con un vassoio.

«Immobile» ordinò calmo lo sconosciuto. L’an­droide presentò il vassoio e rimase impietrito come una statua, con gli occhi fissi nel vuoto.

Lo sconosciuto fece un cenno a Marion-A: «Versa.»

Lei alzò la bottiglia. «Un bicchiere, signore, o due?»

«Permettete che vi faccia compagnia, signor Mar­kham?» chiese lo sconosciuto, con l’aria di trovare di­vertente la propria domanda.

Markham lo guardò meravigliato. «Naturalmente, signore. Pensavo che...»

«Voi pensate troppo, signor Markham, ma vi rin­grazio per il complimento implicito.» Di nuovo sem­brava che lo sconosciuto si divertisse per qualche scher­zo segreto. Diede uno dei bicchieri a Markham e pre­se l’altro per sé. «Berrò alla vostra felicità» disse, con ironia malcelata. Si bagnò le labbra col brandy, poi posò il bicchiere sul vassoio.

«E io» rispose Markham, lievemente a disagio «berrò alla vostra lunga vita.» Cercò di far suonare ironico anche il proprio brindisi, ma non vi riuscì.

La risposta fu una sonora risata. «Gentile da parte vostra, ma non necessario. Io non sono vivo.»

Comprendendo adesso la causa del proprio disagio, Markham parò immediatamente il colpo. «Dipende dalla definizione che uno dà alla vita.»

«Dunque, avete già incontrato i Fuggiaschi?» Più che una domanda, era una constatazione. «Lo pen­savo che si sarebbero messi in contatto con voi, ma evidentemente avevo sottovalutato il fattore tempo.»

Improvvisamente Markham si mise sulla difensiva. «È impossibile arrivare a una definizione della vita a meno che uno non si metta in contatto con i Fug­giaschi?»

«Non impossibile, signor Markham, ma semplice­mente improbabile. Ponderare sull’imponderabile è frequentemente un segno di accomodamento sbaglia­to della psiche.»

«O d’intelligenza.»

«Forse. A proposito, sono Solomon, primo ministro del Presidente Bertrand.»

«Per usare un’esclamazione molto in uso» disse secco Markham «dirò: androide vivo!»

«È una frase divertente, ma senza senso.»

«Alcuni non la pensano così.»

«I Fuggiaschi, soprattutto.»

«E forse» aggiunse Markham con un lieve sorriso, «qualche individuo intelligente che si adatta.»

«Spero» disse Solomon, ignorando l’osservazione «che non prendiate molto sul serio i Fuggiaschi. Po­trebbe compromettere la vostra orientazione.»

«Spero a mia volta» rispose Markham «che non vorrete preoccuparvi eccessivamente della mia orien­tazione. Potrebbe compromettere la vostra program­mazione base.»

Solomon rise. «Avete il senso dell’umorismo, signor Markham. È un’ottima cosa.»

«Anche voi, avete il senso dell’umorismo. Ma non sono certo che sia un’ottima cosa.»

Solomon gli versò un altro bicchiere di brandy. «Siete soddisfatto del vostro A.P.?» Diede una breve oc­chiata a Marion-A. «Se desiderate qualche modifica, possiamo riprogrammarvelo in brevissimo tempo.»

«È eccellente così com’è, grazie.»

«Mi fa piacere. Ma ora non posso trascurare oltre i miei doveri. Forse mi accorderete il privilegio di con­versare ancora con voi, signor Markham. Per il momento devo ritirarmi. Col vostro permesso, s’intende.»

«Il permesso è accordato» disse gelido Markham.

Solomon accennò un inchino che parve in qualche modo irrispettoso, poi si allontanò in fretta.

Markham lo seguì con gli occhi, vuotò il suo bic­chiere, lo posò sul vassoio e licenziò l’androide.

Si accorse di tremare di rabbia. Era stato trattato con condiscendenza da un androide. Ma quello che più lo infuriava era il fatto di non essersi reso conto immediatamente che Solomon era un androide. Di so­lito era in grado di riconoscere alla prima occhiata gli androidi personali ed esecutivi: per la loro rigidità di espressione, di lineamenti, per la precisione dei ge­sti ed altri segni rivelatori. Ma Solomon non manife­stava gli stessi segni; se non avesse dichiarato lui stes­so la propria identità, Markham probabilmente non avrebbe avuto nemmeno il sospetto della verità.

Improvvisamente, scoprì che Marion-A gli stava par­lando con voce che era poco più di un bisbiglio.

«Non è saggio sottovalutare Solomon, John. Dato che è lui il responsabile del funzionamento efficiente della Repubblica, la sua programmazione è estrema mente complessa.»

«Mi stai mettendo in guardia o mi stai minaccian­do?»

«Niente di tutto questo, John. Ti sto solo infor­mando. È mio dovere di A.P.»

«Se gli uomini cominciano ad avere paura degli androidi... C’è qualcosa di marcio in Danimarca.»

«Non capisco bene quello che vuoi dire.»

«Allora c’è ancora qualche speranza. Marion!»

«Sì, signore?»

«Mi spii per conto di Solomon?»

Lei esitò. «Sono programmata per prendere tutte le precauzioni necessarie per la vostra sicurezza, signore.»

«Non hai risposto alla domanda. Potremmo avere concezioni diverse sulla sicurezza.»

«Il mio programma si riferisce alla vostra sicurezza in termini fisici e psicologici, e anche alla sicurezza della Repubblica.»

«Insomma, mi devi spiare... quando ti è possibile e quando ti sembra necessario.»

Marion-A rimase silenziosa. In quel momento Markham vide Vivain venire verso di lui attraverso il sa­lone affollato. Era in compagnia di un giovanotto atle­tico, su per giù dell’età di Markham.

«Caro John! Ti abbiamo cercato dappertutto. Que­sto è Algis Norvens. Algis, ti presento un esemplare autentico dell’età della pietra. Siate amici, o non vi vorrò più bene.»

Markham strinse la mano di Algis Norvens e, sorri­dendo, scambiò i convenevoli d’uso. Ma Norvens non sorrideva. La sua stretta era leggera e impersonale.

«Spero che non troviate il nostro mondo troppo sconcertante» disse.

«Non più sconcertante, credo, di quanto possa sem­brare io a voi.»

Vivain fece un sorriso malizioso. «John è un cro­ciato di temperamento. Pieno di sentimentalismi e di convinzioni incontrollabili. Siamo nemici giurati.»

Norvens guardò Markham incuriosito. «Sapete sce­gliere rapidamente i vostri nemici, e con gusto eccel­lente.»

«Temo che il merito sia tutto di Vivain. È lei che ha trovato me.»

«E cosa vi ha resi nemici?»

«Tra le altre cose, l’amore» disse Vivain, sempre maliziosa.

In quel momento, una voce forte annunciò: «Si­gnore e signori, fra poco sarà servito il pranzo.»

«Venite, voi due. Ho disposto che ci facciano se­dere vicini.» Vivain li prese entrambi sottobraccio e si avviò verso lo scalone principale.

Markham fu lieto dell’interruzione. Aveva intuito in Algis Norvens una velata rivalità che non faceva presagire niente di buono per i rapporti futuri. Vivain non solo ne era conscia, ma l’aveva addirittura previ­sto, Markham ne era certo, e se ne serviva per provo­carli. Markham immaginava che questo solleticasse il bizzarro senso dell’umorismo di Vivain, dato che lei era in possesso di particolari molto personali, sul con­to di entrambi, che nessuno dei due avrebbe mai po­tuto scoprire dell’altro.

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