Mentre esaminava la scena, gli abiti coloratissimi e ridottissimi delle donne, e le tenute leggermente più vistose degli uomini, Markham sentì che anche lui era entrato in una specie di acquario, e di esserne prigioniero proprio come i pesci.
«Signore» disse una voce maschile «sarei onorato se mi permetteste di offrirvi un bicchiere di brandy Elisabettiano del Presidente. Ce ne sono soltanto sei casse in tutta la Repubblica.»
Lo sconosciuto aveva una faccia attraente e senza età. Era più alto di Markham, e la sua caratteristica dominante erano gli occhi profondi, penetranti. Gli abiti erano relativamente semplici, e c’era in lui un’aria di dignità e di decisione che, da sola, sarebbe bastata a distinguerlo da tutto il resto della compagnia.
«Grazie» disse Markham. «Brandy Elisabettiano. Un nome che fa pensare.»
Lo sconosciuto sorrise. «È genuino, imbottigliato nel mille novecentosessantatré. Nemmeno i conoscitori potranno apprezzarlo quanto voi, Markham.» Fece un cenno con la mano. Apparve un androide, che venne spedito via con un ordine secco. Pochi secondi dopo l’androide tornò con un vassoio.
«Immobile» ordinò calmo lo sconosciuto. L’androide presentò il vassoio e rimase impietrito come una statua, con gli occhi fissi nel vuoto.
Lo sconosciuto fece un cenno a Marion-A: «Versa.»
Lei alzò la bottiglia. «Un bicchiere, signore, o due?»
«Permettete che vi faccia compagnia, signor Markham?» chiese lo sconosciuto, con l’aria di trovare divertente la propria domanda.
Markham lo guardò meravigliato. «Naturalmente, signore. Pensavo che...»
«Voi pensate troppo, signor Markham, ma vi ringrazio per il complimento implicito.» Di nuovo sembrava che lo sconosciuto si divertisse per qualche scherzo segreto. Diede uno dei bicchieri a Markham e prese l’altro per sé. «Berrò alla vostra felicità» disse, con ironia malcelata. Si bagnò le labbra col brandy, poi posò il bicchiere sul vassoio.
«E io» rispose Markham, lievemente a disagio «berrò alla vostra lunga vita.» Cercò di far suonare ironico anche il proprio brindisi, ma non vi riuscì.
La risposta fu una sonora risata. «Gentile da parte vostra, ma non necessario. Io non sono vivo.»
Comprendendo adesso la causa del proprio disagio, Markham parò immediatamente il colpo. «Dipende dalla definizione che uno dà alla vita.»
«Dunque, avete già incontrato i Fuggiaschi?» Più che una domanda, era una constatazione. «Lo pensavo che si sarebbero messi in contatto con voi, ma evidentemente avevo sottovalutato il fattore tempo.»
Improvvisamente Markham si mise sulla difensiva. «È impossibile arrivare a una definizione della vita a meno che uno non si metta in contatto con i Fuggiaschi?»
«Non impossibile, signor Markham, ma semplicemente improbabile. Ponderare sull’imponderabile è frequentemente un segno di accomodamento sbagliato della psiche.»
«O d’intelligenza.»
«Forse. A proposito, sono Solomon, primo ministro del Presidente Bertrand.»
«Per usare un’esclamazione molto in uso» disse secco Markham «dirò: androide vivo!»
«È una frase divertente, ma senza senso.»
«Alcuni non la pensano così.»
«I Fuggiaschi, soprattutto.»
«E forse» aggiunse Markham con un lieve sorriso, «qualche individuo intelligente che si adatta.»
«Spero» disse Solomon, ignorando l’osservazione «che non prendiate molto sul serio i Fuggiaschi. Potrebbe compromettere la vostra orientazione.»
«Spero a mia volta» rispose Markham «che non vorrete preoccuparvi eccessivamente della mia orientazione. Potrebbe compromettere la vostra programmazione base.»
Solomon rise. «Avete il senso dell’umorismo, signor Markham. È un’ottima cosa.»
«Anche voi, avete il senso dell’umorismo. Ma non sono certo che sia un’ottima cosa.»
Solomon gli versò un altro bicchiere di brandy. «Siete soddisfatto del vostro A.P.?» Diede una breve occhiata a Marion-A. «Se desiderate qualche modifica, possiamo riprogrammarvelo in brevissimo tempo.»
«È eccellente così com’è, grazie.»
«Mi fa piacere. Ma ora non posso trascurare oltre i miei doveri. Forse mi accorderete il privilegio di conversare ancora con voi, signor Markham. Per il momento devo ritirarmi. Col vostro permesso, s’intende.»
«Il permesso è accordato» disse gelido Markham.
Solomon accennò un inchino che parve in qualche modo irrispettoso, poi si allontanò in fretta.
Markham lo seguì con gli occhi, vuotò il suo bicchiere, lo posò sul vassoio e licenziò l’androide.
Si accorse di tremare di rabbia. Era stato trattato con condiscendenza da un androide. Ma quello che più lo infuriava era il fatto di non essersi reso conto immediatamente che Solomon era un androide. Di solito era in grado di riconoscere alla prima occhiata gli androidi personali ed esecutivi: per la loro rigidità di espressione, di lineamenti, per la precisione dei gesti ed altri segni rivelatori. Ma Solomon non manifestava gli stessi segni; se non avesse dichiarato lui stesso la propria identità, Markham probabilmente non avrebbe avuto nemmeno il sospetto della verità.
Improvvisamente, scoprì che Marion-A gli stava parlando con voce che era poco più di un bisbiglio.
«Non è saggio sottovalutare Solomon, John. Dato che è lui il responsabile del funzionamento efficiente della Repubblica, la sua programmazione è estrema mente complessa.»
«Mi stai mettendo in guardia o mi stai minacciando?»
«Niente di tutto questo, John. Ti sto solo informando. È mio dovere di A.P.»
«Se gli uomini cominciano ad avere paura degli androidi... C’è qualcosa di marcio in Danimarca.»
«Non capisco bene quello che vuoi dire.»
«Allora c’è ancora qualche speranza. Marion!»
«Sì, signore?»
«Mi spii per conto di Solomon?»
Lei esitò. «Sono programmata per prendere tutte le precauzioni necessarie per la vostra sicurezza, signore.»
«Non hai risposto alla domanda. Potremmo avere concezioni diverse sulla sicurezza.»
«Il mio programma si riferisce alla vostra sicurezza in termini fisici e psicologici, e anche alla sicurezza della Repubblica.»
«Insomma, mi devi spiare... quando ti è possibile e quando ti sembra necessario.»
Marion-A rimase silenziosa. In quel momento Markham vide Vivain venire verso di lui attraverso il salone affollato. Era in compagnia di un giovanotto atletico, su per giù dell’età di Markham.
«Caro John! Ti abbiamo cercato dappertutto. Questo è Algis Norvens. Algis, ti presento un esemplare autentico dell’età della pietra. Siate amici, o non vi vorrò più bene.»
Markham strinse la mano di Algis Norvens e, sorridendo, scambiò i convenevoli d’uso. Ma Norvens non sorrideva. La sua stretta era leggera e impersonale.
«Spero che non troviate il nostro mondo troppo sconcertante» disse.
«Non più sconcertante, credo, di quanto possa sembrare io a voi.»
Vivain fece un sorriso malizioso. «John è un crociato di temperamento. Pieno di sentimentalismi e di convinzioni incontrollabili. Siamo nemici giurati.»
Norvens guardò Markham incuriosito. «Sapete scegliere rapidamente i vostri nemici, e con gusto eccellente.»
«Temo che il merito sia tutto di Vivain. È lei che ha trovato me.»
«E cosa vi ha resi nemici?»
«Tra le altre cose, l’amore» disse Vivain, sempre maliziosa.
In quel momento, una voce forte annunciò: «Signore e signori, fra poco sarà servito il pranzo.»
«Venite, voi due. Ho disposto che ci facciano sedere vicini.» Vivain li prese entrambi sottobraccio e si avviò verso lo scalone principale.
Markham fu lieto dell’interruzione. Aveva intuito in Algis Norvens una velata rivalità che non faceva presagire niente di buono per i rapporti futuri. Vivain non solo ne era conscia, ma l’aveva addirittura previsto, Markham ne era certo, e se ne serviva per provocarli. Markham immaginava che questo solleticasse il bizzarro senso dell’umorismo di Vivain, dato che lei era in possesso di particolari molto personali, sul conto di entrambi, che nessuno dei due avrebbe mai potuto scoprire dell’altro.
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