Prima ancora di aver finito di parlare, Vivain si era mollemente sdraiata al suo fianco. E come mosse da invisibili fili, le braccia di lui la circondarono stringendola.
«Dolce nemico» mormorò lei. «È troppo facile, vero? Nessun uomo è un traditore... se non di se stesso.»
Ma le sue labbra non permisero risposta: la loro pressione diventò selvaggia e tenera insieme.
Markham non sapeva per quanto tempo avesse dormito, ma quando aprì gli occhi la stanza era tornata normale. Vivain, ora avvolta in un sari azzurro cielo, con i capelli e la carnagione tornati del colore normale, stava versando il tè a un tavolino apparecchiato con dolci e biscotti. Sembrava, pensò cinicamente Markham, pacata come una vestale. Quasi.
«Dormiglione» gli disse Vivain calmissima. «Avrai appetito, spero.» Poi aggiunse con un sorriso malizioso. «Mi hai sorpreso, sai? Non credevo che un uomo del ventesimo secolo potesse essere così... poco inibito. Dovrò rivedere tutte le mie concezioni storiche.»
Markham si tirò su a sedere e sorrise divertito.
«Anch’io.» Era un po’ colpito dalla propria mancanza di imbarazzo. «Con tutto il rispetto è stata colpa tua.»
Vivain gli si sedette accanto.
«Con tutto il rispetto» lo imitò scherzosa «è proprio quello che intendevo... Come va, John?»
«Benissimo.»
«Sei offeso?»
«No. Dovrei?» Sorseggiò il tè, evitando di guardarla.
«Pensavo che potessi esserlo... Era semplice seduzione, naturalmente.»
Lui le diede un’occhiata in tralice. «Non del tutto. E non trattare con troppa condiscendenza il ventesimo secolo. Nelle vostre registrazioni non c’è lo scheletro della storia.»
«Ma tu sei di carne e sangue, caro amico. E adesso appartieni a me.»
Markham sostenne il suo sguardo. «Non ne sono convinto.»
«Non sei innamorato di me?»
«No. In due si può tentare un esperimento. Volevi vedere come potevo essere senza maschera. Forse avevo anch’io la stessa curiosità sul tuo conto.»
Vivain rise. «Meraviglioso!» esclamò. «Allora era soltanto una piccola scaramuccia. Temevo che capitolassi troppo facilmente. Dunque siamo ancora nemici autentici?»
«Se vuoi usare questa espressione.»
«Nemici passionali» disse lei, con un luccichio nello sguardo. «Ma adesso firmeremo un armistizio, perché voglio scoprire seriamente come sei in realtà, John. Voglio sapere fino a che punto sei diverso.»
«Diverso da che cosa? Dal normale modello ventiduesimo secolo? A quest’ora avresti già dovuto raccogliere prove sufficienti, no?»
Fatto strano, questo la irritò. «Ho detto sul serio quando ho parlato di armistizio, e non mi riferivo ai rapporti di poco fa. Voglio sapere come vivevi, cosa vuol dire essere un lavoratore, dover guadagnare per mantenere la propria famiglia. Voglio sapere che genere di vita conducevi con Katy, sapere dei tuoi bambini, della tua casa, dei tuoi amici.»
«Preferirei tenere privato quel mondo» rispose lui freddamente. «Non è una fonte di divertimento pubblico.»
Lei gli prese una mano. «Guardami, John. Non intendo mettere queste cose in ridicolo, o punzecchiarti, e non ne parlerò mai con nessuno. Non mi credi?»
«Non lo so. Forse.» Per quanto fosse irrazionale, le credeva. Si rendeva conto, con grande meraviglia, che in fondo anche lei era molto sola, e si chiese il perché.
«Ti farebbe molto male» disse lei gentilmente «permettere a un’estranea di scrutare in questo tuo mondo privato?»
«Correrò il rischio» rispose. E prese a raccontarle tutto di Katy, di Johnny e di Sarah, della casa in Hampstead, della Refrigerazione Internazionale ,delle installazioni a Epping. Le parlò della vita londinese del 1967. Del suo lavoro e dei suoi svaghi, delle sue speranze e dei suoi sogni. E mentre parlava, capiva che desiderava confidarsi con lei. O capiva che, attraverso lei, voleva rivivere tutte quelle cose.
Lei lo ascoltava attenta, e Markham sentiva che lei era in grado di capirlo. Continuò a parlare quasi inconsapevole della presenza di Vivain. Perse la nozione del tempo. Poi, a un tratto, gettando un’occhiata dalla finestra, vide che una sottile striatura di luce grigia si stendeva nel cielo.
L’alba! Non poteva crederci! Ma il fatto venne confermato dall’orologino di Vivain. Lei si alzò e si stirò, respingendo le scuse di lui con un sorriso curioso. «Promettimi» gli disse «che lo farai di nuovo.»
«Fare che cosa?»
«Parlare così. Dirmi tutto di te e del tuo mondo. Deve essere stato davvero terribile per te. Credo... credo di capire, adesso, come ti senti pensando a Katy e ai bambini.» Rise. «Però, posso quasi immaginare cosa dovesse essere la vita senza androidi: un vero incubo... Ma, in un certo senso, piacevole.»
Anche Markham si alzò. «Mi dispiace di averti tenuta sveglia così a lungo.»
Vivain gli sfiorò gentilmente la guancia con le labbra. «Ma a me non dispiace di non averti fatto dormire. Ora andiamo a fare una nuotata. Saremo là per la levata del sole. Poi faremo colazione in un piccolo villaggio della costa. Sarà perfetto in ogni caso... come inizio o come fine.»
«Sei pazza?»
«O felice. O tutt’e due. La mia autogetto ci porterà ad Hastings in mezz’ora... Devo portare il mio A.P. o sai accendere un fuoco da campo?»
Lui sorrise. «So accendere il fuoco. Sono un uomo di Neanderthal, non lo sai?»
Dieci minuti dopo, l’autogetto di Vivain Bertrand si alzava silenziosamente da Park Lane e si dirigeva verso sud trasvolando la City nel grigiore argenteo dell’alba.
Quando verso mezzogiorno tornò nel suo appartamento di Knightsbridge, Markham trovò Marion-A in piccolo allarme. Ne scattò fuori appena lui le rivolse la parola. E senza alcuna logica, Markham provò un senso di colpa: sentiva il bisogno di spiegarsi o di giustificarsi. Si meravigliò nell’accorgersi che la sua spiegazione degenerava in una serie di piccole bugie. Rimase anche più meravigliato nel rendersi conto che la spiegazione non era necessaria, che una macchina non sapeva che farsene delle sue scuse, e che quindi non aveva fatto altro che mentire a se stesso.
«Vuoi mangiare qui, John, o preferisci andare fuori?»
Era oscuramente compiaciuto che lei si fosse ricordata di chiamarlo John. Sentiva che questo significava qualcosa. E nello stesso tempo si schernì per quell’eccesso di fantasia.
«Sì, mangerò a casa» rispose. «Ho proprio bisogno di starmene in un posto quieto e tranquillo. Ti rendi conto che ho avuto ben pochi momenti di respiro da quando ho lasciato il Risanatorio?»
Marion-A fece uno dei suoi sorrisi rigidi. «Sarebbe consigliabile prendere la vita con più calma.»
Lui rise. «E tu che ne sai della vita?»
«Soltanto quello che è stato incluso nella mia programmazione, John. So che gli esseri umani non hanno una tolleranza illimitata per la correlazione sensi-elementi. Ragione per cui non è consigliabile sperimentare nuovi stimoli a grande rapidità per lunghi periodi.»
«Una dichiarazione clinica e oggettiva» disse Markham. «Cosa accadrà se ingoierò i nuovi stimoli a grandi bocconi?»
Pensava che la metafora l’avrebbe lasciata perplessa, ma evidentemente i programmi di Marion-A comprendevano la valutazione e l’estensione della metafora.
«Saranno mal digeriti, e vi sentirete male» rispose calmissima.
Lui meditò sulla risposta. C’era del buon senso, senza dubbio. «Oggi pomeriggio» disse «farò un bel sonno. Stasera, mi piacerebbe fare un giro per Londra. Potremmo addirittura concederci il lusso di pranzare fuori.»
«Desideri che ti accompagni, John?»
«Se ti fa piacere... ma può una cosa far piacere a un androide, Marion?»
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