Lei sorrise di nuovo. «Espletare le mie funzioni produce un equilibrio di potenziale che potrebbe essere messo in relazione con la sensazione biologica di piacere.»
«Ora so che sei soltanto una macchina» disse lui, in tono irritato.
Marion-A cominciò ad apparecchiare per il pranzo. «Volete che vi faccia compagnia durante il pasto, signore?»
Si voltò a guardarla, incuriosito. «Mi sono fatto una teoria, Marion. Tu dici John quando mi approvi, e mi chiami signore quando mi disapprovi. Ti sembra una buona teoria, questa?»
Lei lo guardò, inespressiva. «Non posso offrire un’opinione valida... John. Non sono programmata per approvare o disapprovare. Ma sono consapevole della incompatibilità tra i due modi di rivolgermi, specialmente da quando mi avete chiesto di chiamarvi John in privato. Forse, dato che la richiesta era in conflitto con la mia programmazione base, questo ha prodotto una leggera instabilità.»
«E forse» disse Markham «gli androidi sono più sensibili di quanto credano. Non occorre che mangi anche tu, Marion. Però mi piacerebbe se restassi a chiacchierare con me.»
Durante il pasto, lei gli si sedette di fronte, osservandolo tutta seria mentre lui mangiava. Markham le parlava del più e del meno, informandosi soprattutto sulla vita sociale moderna. Marion-A rispondeva con precisione, ma senza aggiungere niente di sua spontanea volontà. Né faceva in modo da incoraggiare la conversazione facendo domande a sua volta.
Markham si versò una seconda tazza di caffè e prese la sigaretta che Marion-A gli porgeva in silenzio.
«Vorrei sviluppare in te il senso della curiosità» le disse bruscamente. «Mi piacerebbe che tu fossi un po’ più indipendente.»
«Penso» rispose inaspettatamente Marion-A «che tu voglia rendermi più umana. Non è una cosa ben fatta, John.»
«Hai la capacità di valutare una situazione e prendere decisioni. Puoi mettere in relazione i fatti col tempo e immagazzinare notizie. Perché non dovresti poter fare anche il resto?»
«Perché non rientra nei miei programmi.»
Markham rise. «Non è nel programma di un bambino umano capire le formule atomiche o la geometria non-Euclidea. Ma i bambini crescono e lo fanno.»
«Io non posso crescere.»
«Fisicamente no, e forse nemmeno spiritualmente. Ma intellettualmente, sì.»
Lei sorrise. «Mi pare che tu stia sopravvalutando le funzioni degli androidi, John.»
«Un corno» disse lui, improvvisamente rabbuiato. «Scommetto quello che vuoi che l’errore più grande dell’umanità sta appunto nel sottovalutare gli androidi.»
«Perché dici questo?»
«Ah!» esclamò lui, trionfante. «Una domanda basata sulla curiosità! O è qualcosa di più?»
Marion-A si alzò. «Sei stanco» disse. «È tempo che tu vada a riposare.»
«Nonché l’evasione» disse lui, divertito. «Voi androidi potete tenere l’umanità appesa a un filo, Marion. Ma noi abbiamo ancora due armi segrete. L’intuizione e l’astuzia.»
Marion-A rise. Era la prima volta che lui la sentiva ridere. Il suono della risata era gradevole e incredibilmente personale. Ne fu sorpreso.
«Caro John» disse lei, con voce straordinariamente espressiva «forse anche l’intuizione e l’astuzia hanno i loro equivalenti meccanici.»
«Ora sono davvero impressionato!» esclamò lui.
«Dormi» consigliò Marion-A con un improvviso ritorno di serietà. «Il sonno cancellerà i tuoi timori... Quando vuoi che ti svegli, John?»
«Quando la stella della sera ornerà come una gemma il seno calmo del cielo.»
Marion-A sorrise. «Allora ti sveglierò alle otto» disse, poi andò nella stanza da letto, chiuse le tende e spostò l’interruttore delle luci nascoste sul chiarore azzurrognolo e smorzato.
Markham rimase seduto al suo posto, meditando sulla breve incursione di Marion-A nel campo dell’ironia. Aveva l’assurda sensazione che l’androide fosse molto su di morale. Ma come diavolo poteva un androide essere su di morale? Aveva inoltre la sensazione assurda che questo dipendesse dal fatto che lui aveva detto di volerla portare fuori la sera.
Durante i Nove Giorni, Buckingham Palace era andato distrutto totalmente. Ma quando la Repubblica di Londra venne costituita come ente autonomo, il palazzo fu ricostruito, non come sede della monarchia, dato che la successione ereditaria non esisteva più, ma come sede simbolica dell’autorità.
Il nuovo Palazzo non aveva nessuna rassomiglianza col suo equivalente del passato. Sorgeva esattamente allo stesso punto, all’incrocio tra Costitution Hill e The Mall, ma era sparita per sempre la facciata di pietra severa, spariti i pesanti portali e le finestre monotone e inespressive. Al suo posto, si ergeva una struttura quasi sferica la cui superficie esterna era formata interamente da mattoni di vetro e argentati, in modo che l’impressione totale ricordava una palla di luce rotolata per caso nei Giardini del Palazzo.
Di notte, un elaborato sistema di illuminazione dava l’impressione che il Palazzo ruotasse lentamente, con uno scintillio quasi allucinante.
Sebbene Markham si fosse dato la pena di arrivare puntualissimo al ricevimento del Presidente, capì dal numero di eliauto e di autogetti di non essere certo fra i primi. Lui e Marion-A furono ricevuti da un androide gallonato, che li condusse verso una delle quattro massicce colonne di metallo leggero che sorgevano dal suolo per sostenere la sfera nel suo diametro eriz zontale.
Ogni colonna era cava, e conteneva uno spazioso ascensore. Markham e Marion-A vennero sbarcati sulla balconata principale del palazzo, dove un altro androide in livrea li scortò attraverso un portico semicircolare e due vaste anticamere da dove gli invitati c©n vergevano nella Sala Grande.
Poco dopo si trovarono davanti a una grande porta ricoperta in bronzo, con graziosi sportelli schermati in vetro colorato. La porta si aprì silenziosamente all’avvicinarsi di Markham e di Marion-A, e dall’altra parte apparve un maggiordomo. Markham si fece avanti e presentò il biglietto d’invito, dopo di che il maggiordomo batté cerimoniosamente il pavimento con una mazza d’oro e gridò a voce stentorea: «Il signor John Markham e il suo androide personale.»
Poi, prima ancora di avere il tempo di rendersi conto dell’ambiente che lo circondava, Markham si trovò a faccia a faccia con il Presidente.
Clement Bertrand era sui sessant’anni, massiccio e coi capelli bianchi. Aveva una carnagione sana e rosa e il tessuto liscio della sua pelle sembrava contrastare vivamente col resto del suo aspetto. Indossava una corta giacca nera da cerimonia orlata di ermellino, calzoni al ginocchio, calze bianche ben tirate e scarpe con grandi fibbie d’oro. Sembra il personaggio di una commedia in costume ,pensò Markham.
«Buonasera» disse il Presidente, in tono formale. La faccia era sorridente, ma gli occhi si mantenevano seri e attenti.
«Buonasera, signore» rispose Markham inchinandosi leggermente come gli era stato raccomandato. «Siete stato molto gentile a invitarmi.»
Clement Bertrand rise. «Ero curioso di vedervi, caro amico. Vivain mi ha detto tutto di voi. Ha detto che siete un puritano decadente, però io non so cosa voglia dire con esattezza. Immagino che la mia piccola strega vi stia già cercando. Accomodatevi e cercate di essere socialmente osmotico. Dopo cena dobbiamo scambiare qualche parola insieme.»
Markham si affrettò ad avanzare nella Sala Grande. Pareva di essere in un’immensa grotta sottomarina. Al di là delle spesse pareti di cristallo, pesci di ogni misura, forma e colore, guizzavano attraverso una foresta acquatica, gettando occasionali occhiate di noia alla folla di gente che conversava nel salone.
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