Frank Herbert - Il cervello verde

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In un mondo sovrappopolato, che cercava spazio vitale nella giungla, l’Organizzazione Ecologica Internazionale sterminav sistematicamente dei voraci insetti che rendevano inospitali quelle zone. Uomini come Joha Martinho e i suoi aiutanti usavano bombole schiumogene mortali e nuove armi a vibrazione per ripulire l’inferno verde del Mato Grosso. Ma, per ragioni sconosciute, le aree già disinfestate completamente incominciarono a essere di nuovo assalite dagli insetti malgrado le impenetrabili barriere. Dalla giungla si sentirono strane storie… insetti divenuti enormi… creature dalle sembianze umane, ma i cui occhi avevano quel particolare scintillio degli insetti.

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Si sentiva febbricitante, confuso e il suo stesso battito cardiaco disturbava quelle riflessioni.

Come un fiume.

Non ha alcuna intenzione di confessare al mondo intero il fallimento del suo paese. Ha un piano… e io rappresento lo strumento per realizzarlo.

Il vento della notte soffiava sempre più impetuo­so prima su una semiala e poi sull’altra, costringen­do la capsula a beccheggiare, a rollare. Come l’aria penetrò attraverso i filtri d’areazione, la sua sostan­za corroborante stimolò i centri nervosi di Joao. Distese le gambe, sbadigliando, quindi si mise sedu­to.

Rhin gli toccò un braccio. «Come stai?» C’era in­teresse nella sua voce, ma anche qualcos’altro che Joao non riuscì a individuare. Rinuncia? Vergogna?

«Mi sento ancora… molto caldo», sussurrò.

«Un po’ d’acqua?» disse lei e gli avvicinò la borraccia alle labbra.

Pur sapendola calda, gli parve fresca come appe­na attinta a una sorgente. Parte dell’acqua gli scivo­lò dal labbro inferiore, il che gli confermò lo stato di debolezza in cui si trovava, nonostante l’impacco energetico. Lo sforzo per deglutire fu enorme.

Sono malato, pensò, molto malato… seriamente malato.

Lentamente appoggiò la testa allo schienale e guardò attraverso il pannello trasparente. Concen­trò lo sguardo sulle stelle… tante macchioline acu­minate che sembravano minacciare le nuvole al loro passaggio. Il movimento incessante della cap­sula gli provocava un fastidioso senso di nausea. Abbassò lo sguardo e notò delle piccole luci che flut­tuavano lungo la sponda di destra. «Travis», mor­morò.

«Sì?» fece Chen-Lhu, e si domandò: Da quanto tempo sarà sveglio? Sono stato ingannato dal suo re­spiro. Ho parlato troppo?

«Quelle luci», disse Joao, «quelle luci… laggiù».

«Ah, quelle? Ci hanno seguiti per tutto il tempo, ci sono sempre stati alle calcagna.»

«Quanto è ampio il fiume in questo punto?» chie­se Rhin.

«Circa un centinaio di metri», rispose Chen-Lhu.

«Come fanno a vederci?»

«Come non potrebbero con questa luna?»

«Non sarebbe il caso di sparare un colpo solo per…»

«Risparmiamo munizioni», la interruppe Chen-Lhu. «Dopo un attacco come quello di oggi… be’, non ce la faremmo a sostenerne un altro.»

«Sento qualcosa», fece Rhin, allarmata. «Che cos’è, una rapida?»

Joao si sollevò. Lo sforzo che dovette compiere lo atterrì. Non sarò in grado di manovrare i coman­di, pensò. E dubito che Rhin o Chen-Lhu sappiano farlo.

«Che cos’è?» incalzò Chen-Lhu.

Joao sospirò. «Deve trattarsi di una secca, là a si­nistra.»

Il rumore si faceva sempre più distinto: il ritmi­co lamento dell’acqua che si frangeva contro un ra­mo insabbiato, a poco a poco, si dileguò alle loro spalle.

«Che cosa potrebbe accadere se il galleggiante di destra dovesse andare a sbattere contro una secca?»

«Sarebbe la fine.»

Un improvviso vortice fece roteare la capsula che prese a oscillare avanti e indietro in un lento, incessante pendolare. Piccoli mulinelli si infranse­ro contro i galleggianti e il movimento cessò.

«Farò un turno io stanotte, Travis», disse Rhin.

«Mi domando perché non ci attacchino mai di notte», osservò Chen-Lhu. «È molto strano.»

«Tuttavia, non ci perdono mai di vista», disse Rhin. «Dormi adesso, monterò io la guardia.»

«Come vuoi, ma non far altro.»

«Che cosa vuoi dire?»

«Be’, non dormire, mia cara Rhin.»

«Va’ all’inferno», esplose lei con rabbia.

«Dimentichi che non credo nell’inferno.»

Joao fu svegliato dal lento scrosciare della piog­gia che contribuiva a prolungare il triste grigiore dell’alba. Pigramente la luce aumentò, dando ri­flessi color acciaio alle linee oblique dell’acquaz­zone che si riversava sul verde pallido della giun­gla. Era una pioggia di una violenza monotona che picchiettava sul pannello della capsula e costella­va la superficie del fiume di un’infinità di piccoli crateri.

«Sei già sveglio?» chiese Rhin.

Joao si mise a sedere. Si sentiva riposato e i capogiri erano del tutto scomparsi. «Da quanto tem­po piove così?»

«Da mezzanotte circa.»

Chen-Lhu si schiarì la voce e si avvicinò alle spalle di Joao. «Sono ore non vedo tracce dei nostri amici. Sarà forse perché odiano la pioggia?»

«Io odio la pioggia», disse Joao.

«Che cosa intendi dire?» chiese Rhin.

«Da un momento all’altro questo fiume diventerà un inferno.» Joao guardò a sinistra verso le nuvole che si addensavano basse sopra gli alberi. «E se mai dovessero arrivare i soccorsi, non potrebbero certa­mente vederci», aggiunse.

Rhin si inumidì le labbra. Si sentiva soffocata dal­l’emozione e si rendeva conto di quanto avesse spe­rato in quei soccorsi. «Quanto… quanto durerà la pioggia?» chiese.

«Quattro o cinque mesi», rispose Joao. «Nessuno di voi è uscito?»

«Io», rispose Chen-Lhu.

Joao si voltò e notò che la tuta dell’OIE era piena di macchioline scure.

«Non ho notato nulla là fuori: pioggia, solo piog­gia», disse Chen-Lhu.

Joao sentì un pizzicore alla gamba destra. Si chinò e notò con sorpresa che l’impacco energetico non c’era più.

«Stanotte mi sono accorta che soffrivi di spasmi muscolari», lo informò Rhin, «quindi te l’ho tolto».

«Dovevo dormire profondamente, non mi sono accorto di niente.» Le accarezzò la mano. «Grazie, mia bella infermiera.»

Rhin ritrasse la mano.

Joao la fissò con espressione interrogativa, ma lei si volse e guardò fuori del finestrino.

«Vado… un momento fuori», disse Joao.

«Ti senti abbastanza in forma?» chiese lei. «Eri molto debole.»

«Adesso sto bene.» Si alzò, si diresse verso il por­tello e si lasciò scivolare sulla piattaforma galieggiante. Sentiva la pioggia calda e contemporaneamente fresca bagnargli il viso. Si rannicchiò sulla punta del galleggiante, godendo di quella frescura.

Nella cabina, Chen-Lhu disse: «Perché non sei andata fuori con lui, Rhin?»

«Sei un gran bastardo, Travis.»

«Sei innamorata di lui?»

«Ma che cosa vuoi da me?» disse lei fissandolo con odio.

«La tua cooperazione, mia cara.»

«In che cosa?»

«Vorresti possedere una miniera di smeraldi? O magari di diamanti? Una ricchezza che tu non puoi nemmeno immaginare.»

«In cambio di che cosa?»

«Lo saprai al momento giusto, Rhin. Nel frattempo renderai malleabile il nostro bandeirante.»

Rhin represse uno scatto d’ira e gli voltò le spalle. L’indole dell’uomo è tradita dalla sua conformazione fisica, pensò. Tipi come Chen-Lhu sono capaci di tutto, ti piegano, ti torchiano… ma io non voglio! Non voglio! In fondo Joao è un bravo ragazzo. Ma perché porta in tasca un revolver?

Potrei ucciderla ora e spingere Joao giù dal gal­leggiante, pensò Chen-Lhu. Ma questo natante è dif­ficile da manovrare… e io non sono molto pratico di queste cose.

Rhin lo guardò con espressione distratta.

Non è improbabile che la mia dolce Rhin cambi atteggiamento, pensò Chen-Lhu. Conosco la sua de­bolezza, certo, ma ne devo essere sicuro.

Joao rientrò nella cabina, portando con sé un pia­cevole profumo di umidità, che venne subito annulla­to dal persistente odore di muffa.

Man mano che il tempo passava, la pioggia per­deva la sua impetuosità. La cabina era satura di aria calda e umida. Nuvole, simili a giganteschi batuffoli di cotone color cinerino, sfioravano le cime delle colline che si rispecchiavano sulla superficie del­l’acqua, e innumerevoli gocce di pioggia scivolavano di foglia in foglia come festoni di perle.

La capsula si inclinava e serpeggiava lungo un turbinio d’acqua melmosa su cui affioravano relitti di ogni genere: rami, sterpaglie, ammassi di radici grandi come la capsula, interi strati erbosi, canne e giunchi.

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