Ateismo, pensò il Cervello, non appena la serenità chimica si fu ristabilita. Parlano di ateismo e di paradiso. Quegli argomenti disorientarono il Cervello. La conversazione, così come gli era stata riportata, era sorta da una discussione che riguardava i modelli di accoppiamento fra gli umani… almeno fra quelli del veicolo.
Gli insetti sul soffitto si innervosirono dovendo ripetere la domanda: quali sono le tue istruzioni?
«Quali sono le mie istruzioni?»
Le mie istruzioni.
Io… me… le mie.
Di nuovo, gli insetti infermieri accorsero.
Il Cervello riacquistò la calma e si meravigliò del fatto che dei pensieri, dei semplici pensieri, potessero provocare un simile sconvolgimento. La stessa cosa sembrava accadere anche agli umani.
«Gli umani nel veicolo devono essere catturati vivi,» ordinò il Cervello. (E si rese conto che la sua richiesta era puramente egoistica. Aveva parecchie domande da rivolgere al terzetto.) «Radunate tutti i gruppi di azione disponibili. Individuate un posto lungo il fiume più adatto di quello precedente e schierate una metà dei gruppi di azione. L’altra metà dovrà attaccare non appena possibile.»
Il Cervello si placò senza congedare i messaggeri, quindi, come in seguito a un ripensamento, aggiunse: «Se tutto il resto fallisce, distruggete i corpi ma salvate le teste».
Adesso i messaggeri erano liberi e debitamente istruiti. Svolazzarono fuori della caverna nella chiara luce del sole e si librarono sull’acqua rumoreggiante del fiume.
A occidente una nuvola oscurò per un attimo il sole.
Il Cervello registrò questo fatto, notando che il rumore proveniente dal fiume quel giorno era più forte.
Piogge nell’entroterra, pensò. Questo pensiero suscitò immagini nella sua memoria: foglie bagnate, rigagnoli nella foresta, aria fredda e umida, piedi che sguazzano nel fango.
Nell’immagine, i piedi apparivano come i suoi e questo il Cervello lo considerò un fatto strano. Ma ormai gli insetti infermieri erano riusciti a ristabilire la serenità chimica nel loro assistito e il Cervello continuò a considerare ogni dato in suo possesso che riguardava il cardinale Newman. In nessun luogo avrebbe potuto raccogliere informazioni dettagliate su questo cardinale Newman.
La riparazione consisteva, all’esterno, di foglie tenute insieme con liane e strisce di tessuto di tenda e, all’interno, con uno spray coagulante, il contenuto di una bombola schiumogena che Joao aveva fatto esplodere all’interno del galleggiante. Ora la capsula galleggiava sul fiume in senso verticale e Joao, immerso nell’acqua fino alla cintola, ne controllava la riparazione.
Sentiva attorno a sé i sibili intermittenti delle scariche dei fucili a gas e delle bombole schiumogene. L’aria era pregna dell’odore amarognolo dei veleni. Una schiuma nera e arancione fluiva giù per il fiume, formando delle chiazze che lambivano la riva incuneandosi fra i resti delle liane utilizzate per issare la capsula. La schiuma trasportava con sé miriadi d’insetti morti.
In un momento di tregua, Rhin si sporse dalla cabina e disse: «Per amore del cielo, quanto ci vorrà ancora?»
«Sembra che regga», rispose Joao con voce roca.
Si sfregò il collo e le braccia. I fucili e le bombole non avevano neutralizzato tutti gli insetti. La pelle gli bruciava per via delle punture e dei morsi. Quando sollevò lo sguardo, notò che anche Rhin aveva la fronte costellata di puntini rossi.
«In tal caso, è meglio squagliarcela», disse Chen-Lhu continuando a osservare il cielo.
Joao, colto da un improvviso capogiro, barcollò e per poco non cadde in acqua. Il corpo gli doleva per la stanchezza. Sollevò a fatica il capo per studiare il cielo. Si stava tingendo di rosso. Forse avevano ancora un’ora di luce a disposizione.
«Per amor del cielo, andiamocene», insistette Rhin.
Joao si rese conto che l’attacco era ricominciato. Si spostò dal galleggiante per portarsi sulla spiaggia e quel movimento fece allontanare la capsula. Rimase immobile a fissarla notando che il serbatoio era stato riparato; si chiese chi avesse fatto quella riparazione.
Ah, sì… Vierho.
La capsula, sospinta dalla corrente, continuava ad allontanarsi da Joao. Era a circa due metri da lui. Allo stremo delle sue forze, egli avanzò di qualche passo, allungò un braccio per afferrare la punta del galleggiante di destra e si lasciò trascinare nell’acqua.
Dal portello uscì una mano che lo afferrò per il colletto. Con l’aiuto di quella mano Joao si issò sulle ginocchia e scivolò dentro la cabina. Solo allora si accorse che era la mano di Rhin.
Chen-Lhu si dava da fare per ripulire l’abitacolo dagli insetti.
Joao sentì una trafittura alla gamba destra; abbassò lo sguardo e vide che Rhin, ai suoi piedi, gli stava applicando un nuovo impacco energetico.
Perché lo sta facendo? si domandò. Improvvisamente ricordò: Ah, sì… le punture, i veleni.
«Pensavo che l’ultima applicazione ci avesse resi immuni», disse Joao sorpreso dal suono fievole della sua stessa voce.
«È possibile», annuì lei. «A meno che non ci abbiano iniettato un nuovo tipo di veleno.»
«Credo di essere stato punto un po’ dappertutto», fece Chen-Lhu. «Rhin, hai chiuso ermeticamente il portello?»
«Si.»
«Ho dato una bella spruzzata sotto i sedili e sul cruscotto.» Chen-Lhu mise una mano sotto il braccio di Joao per aiutarlo a sedersi. «Qui, Johnny, al suo posto di comando.»
«Già.» Joao barcollò in avanti e scivolò sul sedile. Aveva la sensazione che il suo capo poggiasse su della gomma molle. «Siamo trasportati dalla corrente?»
«Sembra di sì», rispose Chen-Lhu.
Joao aveva il fiato grosso. Sentiva l’impacco energetico come una forza lontana che lottava per lui contro la stanchezza. Era tutto sudato, aveva la gola arida e bollente. Il parabrezza, di fronte a lui, era cosparso di macchie rosse e nere dello spray e di residui di schiuma.
«Sono ancora lì», lo informò Chen-Lhu, «sulla spiaggia e più in là ci sono altri gruppi».
Joao si guardò attorno. Rhin era ritornata al suo posto, aveva il fucile a tracolla, la testa appoggiata allo schienale e gli occhi chiusi. Chen-Lhu era inginocchiato sul cassone e scrutava la sponda di sinistra.
D’un tratto Joao ebbe l’impressione che ogni oggetto nella cabina assumesse tonalità grigie e verdi. Sapeva che quegli oggetti erano di altri colori, ma in quel momento li percepiva soltanto grigi e verdi… persino la pelle di Chen-Lhu… e quella di Rhin.
«I colori… non distinguo più… i colori», mormorò.
«Un parziale daltonismo», fece Chen-Lhu, «può essere un sintomo».
Joao guardò fuori del finestrino di destra e intravide fra gli alberi un’enorme distesa di vette color grigio e, ancor più su, un sole grigioverde.
«Chiudi gli occhi e rilassati», disse Rhin.
Joao appoggiò il capo allo schienale e lo volse per guardarla.
Rhin aveva messo in disparte il fucile e si stava piegando su di lui. Prese a massaggiargli le tempie. «Scotta», disse rivolta a Chen-Lhu.
Joao chiuse gli occhi. Sentiva le mani di lei, fresche e rilassanti. Aveva il cervello offuscato dall’estrema stanchezza… e là, nella gamba destra sentiva una fitta martellante: l’impacco energetico.
«Cerca di dormire», mormorò Rhin.
«Rhin, come ti senti?» chiese Chen-Lhu.
«Mi sono applicata un impacco durante la prima tregua», rispose lei. «Le dosi di ACTH sembrano dare un sollievo immediato, sempre se la puntura è superficiale.»
«E, secondo te, Johnny è stato punto più di noi?»
«Là fuori? Ma certamente.»
Joao riusciva a captare solo i suoni confusi delle loro parole, ma ne capiva il significato con una chiarezza impressionante. Fu stranamente affascinato dai toni contrastanti delle loro voci. Quella di Chen-Lhu era carica di finzione, quella di Rhin rivelava una paura soffocata e un genuino interesse nei suoi riguardi.
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