Frank Herbert - Il cervello verde

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In un mondo sovrappopolato, che cercava spazio vitale nella giungla, l’Organizzazione Ecologica Internazionale sterminav sistematicamente dei voraci insetti che rendevano inospitali quelle zone. Uomini come Joha Martinho e i suoi aiutanti usavano bombole schiumogene mortali e nuove armi a vibrazione per ripulire l’inferno verde del Mato Grosso. Ma, per ragioni sconosciute, le aree già disinfestate completamente incominciarono a essere di nuovo assalite dagli insetti malgrado le impenetrabili barriere. Dalla giungla si sentirono strane storie… insetti divenuti enormi… creature dalle sembianze umane, ma i cui occhi avevano quel particolare scintillio degli insetti.

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La sua mano nella mia, pensò. La sua mano nella mia.

La sentiva amica, possessiva, leggermente umida.

La capsula era chiusa in una morsa di caldo sem­pre crescente. Il sole era diventato una palla di fuo­co che si spostava sopra di loro… e lentamente calava dietro le cime delle montagne, a occidente.

Le nostre mani unite… legate, pensò Joao.

Cominciò a pregare per la notte.

Le prime ombre della sera accarezzavano le spon­de del fiume. La notte avanzava dai flutti increspati per raggiungere lentamente le cime fiammeggianti delle montagne.

Chen-Lhu si mosse e si alzò non appena il sole scom­parve dietro i picchi. Vapori color ametista creati dal tramonto formavano una superficie d’acqua di brillante rubino, simile a sangue fluttuante. Ci fu un momento, nel buio della sera, in cui il fiume parve del tutto silente. Quindi la capsula fu avvolta nella notte ovattata.

Questa è l’ora dei timorosi e dei terribili, pensò Chen-Lhu. La notte è il mio tempo… e io non sono un timoroso.

E sorrise al modo in cui le due ombre di fronte a lui si erano unite in un’unica ombra.

Un animale con due schiene, pensò. L’idea lo di­vertì a tal punto che si portò una mano alla bocca per reprimere una risata. Subito dopo parlò: «Ora dormirei, Johnny. Faccia lei il primo turno. Mi sve­gli a mezzanotte».

I piccoli rumori provenienti dalla cabina cessarono momentaneamente, poi ripresero.

Ah, quella Rhin, pensò Chen-Lhu. Un così buono strumento anche quando non vuole esserlo.

CAPITOLO OTTAVO

Il rapporto, sebbene interessante per le sue varia­zioni, aggiunse ben poco alle informazioni generali che il Cervello aveva assorbito in precedenza. L’ap­parizione dei simulacri lungo la riva del fiume aveva suscitato in loro paura e turbamento. C’era da aspet­tarselo. Il cinese aveva dimostrato senso pratico, non condiviso dagli altri due. Questo fatto, aggiunto agli apparenti tentativi del cinese di far innamorare i due giovani, poteva essere molto significativo. Il tempo avrebbe dato i suoi frutti.

Nel frattempo, il Cervello sperimentò qualcosa di simile a un’altra emozione umana: la preoccupa­zione.

I tre nel veicolo venivano trascinati sempre più lontano dalla caverna sul fiume. Il sistema di rap­porto-calcolo-decisione-azione stava subendo ritardi molto significativi.

Gli organi sensoriali del Cervello riesaminarono le volute dei messaggeri sul soffitto della caverna.

Il veicolo si stava avvicinando a una serie di ra­pide. I suoi occupanti avrebbero potuto trovarvi la morte, oppure rinvigorire le loro forze e superarle in volo. Quello rappresentava un elemento di preoc­cupazione da prendere seriamente in esame.

Il veicolo aveva già volato una volta.

Calcolo-decisione.

«Riferite ai gruppi di azione», ordinò il Cervello, «di catturare il veicolo e i suoi occupanti prima che raggiungano le rapide. Devono catturare gli umani vivi, se possibile. Se devono essere sacrificati, l’or­dine è il seguente: il primo a essere preso sia il ci­nese, poi la regina inerme e per ultimo l’altro ma­schio».

Gli insetti sul soffitto danzarono il campione del messaggio ed emisero ronzii modulati per imprimere i vari elementi che lo componevano, quindi decolla­rono nella luce dell’alba attraverso l’imboccatura della caverna.

Azione.

Chen Lhu teneva lo sguardo fisso davanti a sé, os­servando il corso del fiume illuminato dalla luce lu­nare. Increspato dalle linee circolari dei mulinelli, simili a ragnatele, fluiva come un nastro color ar­gento per lunghi tratti diritti.

Dalla parte frontale della cabina giungevano i re­spiri di un sonno profondo, finalmente appagato.

Ora probabilmente non sarò costretto a uccidere Johnny, quello scriteriato, pensò il cinese.

Guardò la luna, attraverso il finestrino laterale e notò che era bassa e prossima al tramonto. La luce bronzea della terra si rifletteva sulla superficie non illuminata della luna e in questa zona buia si deli­nearono i tratti di un volto: Vierho.

È morto, l’amico di Johnny, pensò Chen-Lhu. Quel­lo era un simulacro apparso sulla sponda del fiume. Nessuno può essere scampato alla distruzione dell’ac­campamento. I nostri amici laggiù saranno andati incontro alla sua stessa sorte.

Si chiese allora: Come avrà affrontato la morte, Vierho… come un’illusione o come un cataclisma?

Una domanda vana.

Nel sonno, Rhin si rigirò accostandosi a Joao. «Mmmmm», mormorò.

I nostri amici insetti non aspetteranno a lungo prima di sferrare l’attacco, pensò Chen-Lhu. Natu­ralmente saranno in agguato aspettando il momento giusto e scegliendo il posto più adatto. Dove avrà luogo: in una gola rocciosa, in una insenatura? Dove?

Quel pensiero trasformava ogni ombra della notte in una fonte di pericolo. E Chen-Lhu si stupì di aver permesso alla sua mente di indugiare in simili paure.

Ciononostante rimase all’erta, coi nervi tesi.

Fuori c’era uno strano silenzio, come di attesa, la sensazione di una presenza misteriosa nella giungla.

È un’assurdità, cercò di convincersi Chen-Lhu.

Si schiarì la gola.

Joao si girò sul sedile e avvertì il calore del corpo di Rhin, rannicchiato contro il suo. Respirava som­messamente.

«Travis», bisbigliò.

«Sì?»

«Che ora è?»

«Riposi un altro po’, Johnny. Ha ancora due ore.»

Joao chiuse gli occhi, si appoggiò allo schienale ma non riuscì a riaddormentarsi. Qualcosa nella cabina… qualcosa. C’era qualcosa che richiedeva una ricogni­zione da parte sua.

Muffa.

Era più forte del solito e si mescolava all’odore acre della ruggine.

Quegli odori lo riempirono di malinconia. Gli di­cevano che tutto nella capsula si stava deteriorando e la capsula era un simbolo di civilizzazione. Quegli odori rappresentavano la fragilità umana e una mi­naccia di morte.

Accarezzò i capelli di Rhin pensando: Perché non approfittare adesso di un attimo di felicità? Domani potrebbe essere troppo tardi.

A poco a poco si riaddormentò.

L’alba fu annunciata da uno stormo di pappagalli ciarlieri, nascosti nel fitto della giungla che fiancheg­giava il fiume. Altri uccelli più piccoli si unirono al coro: si udivano trilli, battiti di ali, cinguettii.

Joao udì le grida degli uccelli, come da un’enorme distanza, che a poco a poco lo strappavano dall’asso­pimento. Aprì gli occhi, era sudato e si sentiva stra­namente debole.

Rhin, durante la notte, si era allontanata da lui; dormiva raggomitolata contro la parete della cabina.

Joao guardò la luce bianco-azzurra del nuovo giorno.

Un velo di nebbia nascondeva sia il tratto di fiume a monte sia quello a valle. L’ambiente chiuso della cabina era saturo di umidità soffocante.

Joao aveva la bocca secca e amara. Si drizzò a se­dere e si sporse in avanti per guardare attraverso la curva del parabrezza. La schiena gli doleva e aveva le gambe rattrappite.

«Johnny, non si aspetterà di veder spuntare dei soccorsi», disse Chen-Lhu.

Joao tossì e replicò: «Stavo osservando il tempo. Tra poco cominceranno le piogge».

«Forse.»

Com’è grigio il cielo, pensò Joao, il colore era cupo, plumbeo come quello di una lavagna, scenario ideale per un avvoltoio che, senza un battito d’ali, volteg­giava attraverso le cime degli alberi. Si inclinò mae­stosamente, batté le ali una volta… due volte… e vo­lò verso le vette dei monti.

Joao abbassò lo sguardo e notò che la capsula du­rante la notte si era incagliata in un’isola galleg­giante di tronchi e cespugli. Vide che i tronchi era­no ricoperti di muschio. L’isola doveva essersi for­mata tempo addietro, forse la stagione precedente… no, ancora prima. Il muschio era spesso.

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