Frank Herbert - Il cervello verde

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In un mondo sovrappopolato, che cercava spazio vitale nella giungla, l’Organizzazione Ecologica Internazionale sterminav sistematicamente dei voraci insetti che rendevano inospitali quelle zone. Uomini come Joha Martinho e i suoi aiutanti usavano bombole schiumogene mortali e nuove armi a vibrazione per ripulire l’inferno verde del Mato Grosso. Ma, per ragioni sconosciute, le aree già disinfestate completamente incominciarono a essere di nuovo assalite dagli insetti malgrado le impenetrabili barriere. Dalla giungla si sentirono strane storie… insetti divenuti enormi… creature dalle sembianze umane, ma i cui occhi avevano quel particolare scintillio degli insetti.

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Rhin sbadigliò, gli sorrise… e si accigliò di colpo nel prendere coscienza della loro situazione. Scosse il capo e si volse a guardare Chen-Lhu.

Il cinese dormiva profondamente. Rhin ebbe l’im­provvisa sensazione che Chen-Lhu simboleggiasse la immagine del suo paese, una grandiosità decaduta. La pelle del viso, porosa e grinzosa, conferiva ai suoi lineamenti un’asprezza che Rhin non aveva mai no­tato. Una peluria ispida e grigia spiccava sul labbro superiore. Rhin si rese conto che Chen-Lhu si tinge­va i capelli. Era un tocco di vanità che non aveva mai sospettato.

«Non c’è un alito di vento», osservò Joao.

«Ma fa più fresco», disse lei. Guardò fuori e notò piccoli ciuffi d’erba rossa avvinti al galleggiante.

La capsula, a ogni spinta improvvisa della cor­rente, compiva strani zigzag. Il movimento in sé aveva una certa imponenza: giri lenti e prolungati simili a una danza, accompagnata dal ritmo del fiume.

«Sento uno strano odore», fece notare Rhin.

Joao annusò: odore di benzina… appena percetti­bile, un leggero odore di traspirazione… muffa. Sen­za chiedergliene conferma, sapeva che quello era l’odore a cui lei si riferiva. «È muffa», le disse.

«Muffa?» Rhin si guardò attorno, lanciando un’oc­chiata al telone marrone che scorreva lungo i bor­di del soffitto e alle rifiniture cromate del cruscot­to. Appoggiò una mano sulla cloche e la mosse.

Muffa, pensò.

«Siamo prossimi alla stagione delle piogge, vero?» chiese. «Quali saranno le conseguenze?»

«Guai seri», rispose lui. «Il livello dell’acqua si alzerà… si formeranno delle rapide.»

«Perché dovete pensare sempre al peggio?» si in­tromise Chen-Lhu.

«Perché è necessario», fu la secca risposta di Rhin.

Chen-Lhu passò la borraccia a Rhin che la rifiu­tò, sopraffatta da uno strano senso di nausea.

Il veleno contenuto nell’acqua del campo mi ha condizionata a tal punto da provarne repulsione, pensò. Vedere Joao bere la faceva star male. Con quanto gusto beveva! Si girò dall’altra parte.

Joao restituì la borraccia a Chen-Lhu, mentre pen­sava: Strano che si sia svegliato così all’improvviso intromettendosi nel nostro discorso con quel suo tono invadente e presuntuoso. Probabilmente finge­va di dormire, mentre era sveglio e all’erta.

«Credo di aver fame», disse Rhin.

Chen-Lhu estrasse dal cassone tre pacchetti con­tenenti le razioni di cibo e i tre mangiarono in si­lenzio.

Ora Rhin aveva sete… e fu sorpresa nel constatare che Chen-Lhu le porgesse la borraccia prima ancora di avergliela chiesta. Si sentì osservata; era certa che quell’uomo fosse a conoscenza delle sue impressioni, dei suoi pensieri e ne rimase turbata. Bevve con rab­bia e restituì la borraccia al cinese.

Lui sorrise.

«I nostri amici ci hanno abbandonati, a meno che non si siano nascosti sopra il tetto o sotto le ali dove non possiamo scorgerli», osservò Joao.

«Anch’io l’ho notato», disse Chen-Lhu.

Joao percorse con lo sguardo entrambe le sponde.

Nessun movimento.

Nessun suono.

Il sole era già alto nel cielo e aveva ormai dissolto la foschia mattutina.

«Ho l’impressione che sarà una giornata maledet­tamente calda», fece Rhin.

Joao annuì.

Il caldo comincia proprio in un momento ben defi­nito, pensò. Prima non si avverte, poi ti piomba ad­dosso all’improvviso e ti opprime. Sganciò la cintura di sicurezza, spostò il sedile e scivolò nella parte posteriore. Prese ad armeggiare fra i morsetti colle­gati alla chiusura ermetica del portello posteriore.

«Dove ha intenzione di andare?» chiese Rhin. Arrossì nel rendersi conto della domanda sciocca che gli aveva rivolto.

Chen-Lhu non riuscì a soffocare una risatina ironica.

Rhin sentì di odiare l’insensibilità di Chen-Lhu no­nostante lui cercasse di attenuare l’effetto della sua reazione dicendo: «Mia cara, dobbiamo imparare ad assimilare gli aspetti convenzionali del tempera­mento occidentale».

Joao aprì il portello, ne esaminò i cardini, dentro e fuori. Nessun segno di insetti. Si chinò e guardò la superficie piatta che si estendeva fra i due galleg­gianti accanto ai motori a razzo: una piattaforma lun­ga due metri e mezzo e larga un metro circa. Anche lì nessuna traccia di insetti.

Saltò giù e chiuse il portello alle sue spalle.

Appena il portello fu chiuso, Rhin aggredì Chen-Lhu. «Sei proprio insopportabile!» urlò.

«Lo scopri ora, dottor Kelly?»

«È inutile che metti l’accento su quel ‘dottor’, continui a essere insopportabile.»

Chen-Lhu abbassò il tono della voce e disse: «Pri­ma che lui ritorni, abbiamo alcune cosette da mette­re in chiaro. Non c’è tempo da perdere in queste scaramucce. L’OIE ci ha dato degli ordini e noi dobbiamo eseguirli».

«L’unica cosa che rimane da fare ora è di comuni­care la tua confessione alle autorità.»

Lui la fissò. Naturalmente si aspettava una reazio­ne simile, ma doveva trovare un sistema per farle cambiare idea. I brasiliani hanno un detto, pensò e disse: «Quando discuti di lavoro, parla anche di soldi».

« A conta foi paga por mim », replicò Rhin. «Ho già saldato quel conto.»

«Non intendevo dire che devi pagare qualcosa.»

«Intendi dire che vuoi comprarmi?» chiese lei con asprezza.

«Altri l’hanno fatto.»

Rhin gli lanciò un’occhiata piena d’odio. Stava forse minacciando di svelare a Joao la sua attività in seno al servizio spionistico-investigativo dell’OIE? Che faccia pure! Ma non essendo stata del tutto in­formata sullo scopo della sua missione, si sentiva ora disorientata. Dove voleva arrivare Chen-Lhu?

Il cinese sorrise. Il popolo occidentale ha sempre avuto una particolare predisposizione alla cupidigia, pensò. «Non vuoi sapere altro?» chiese.

Il silenzio di lei fu come un tacito consenso.

«Per ora», riprese lui, «ti limiterai a esercitare il tuo fascino su Johnny Martinho e a farlo innamora­re. Deve ridursi al punto da essere disposto a fare qualsiasi cosa per te. Non dovrebbe riuscirti dif­ficile».

L’ho già fatto prima, pensò. Be’… se l’ho fatto, è stato esclusivamente per dovere.

Chen-Lhu, in cuor suo, si sentiva soddisfatto. I mo­delli di vita erano inflessibili. Rhin aveva finito col convincersi, come era sua abitudine.

Il portello alle sue spalle si aprì e Joao si arram­picò nella cabina. «Niente», riferì scivolando sul suo sedile. «Non ho chiuso ermeticamente il portello nel caso in cui uno di voi voglia uscire.»

«Rhin?» fece Chen-Lhu.

Lei scosse il capo, mentre un brivido le correva lungo la schiena. «No.»

«Allora approfitto io dell’occasione», disse Chen-Lhu. Aprì il portello e si lasciò scivolare sul galleg­giante, quindi richiuse il portello.

Rhin era convinta che l’avesse solo accostato per poter orecchiare attraverso la fessura. Guardò dritto davanti a sé seguendo la scia argentea del fiume. La capsula sembrava sospesa in una volta celeste, dove l’aria immobile si gonfiava lentamente, per l’effetto del caldo, fino a scoppiare.

Joao la guardò. «Tutto bene?»

A meraviglia! pensò lei.

«C’è qualcosa che non va», affermò lui. «Vi ho sentiti discutere mentre ero là fuori. Non sono riu­scito ad ascoltare quello che vi siete detti, ma lei parlava in tono collerico.»

Rhin cercò di deglutire, ma aveva la gola secca. Chen-Lhu stava sicuramente ascoltando. «Io… lui mi stava prendendo in giro.»

«La stava prendendo in giro?»

«Sì.»

«E per quale motivo?»

Rhin girò il capo e studiò le linee morbide delle colline che si ergevano alla sua destra; intravide in lontananza la cima innevata di una montagna con una corona scura di cenere vulcanica. La serenità di quella montagna pervase i suoi sensi.

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