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Frank Herbert: Il cervello verde

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Frank Herbert Il cervello verde

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In un mondo sovrappopolato, che cercava spazio vitale nella giungla, l’Organizzazione Ecologica Internazionale sterminav sistematicamente dei voraci insetti che rendevano inospitali quelle zone. Uomini come Joha Martinho e i suoi aiutanti usavano bombole schiumogene mortali e nuove armi a vibrazione per ripulire l’inferno verde del Mato Grosso. Ma, per ragioni sconosciute, le aree già disinfestate completamente incominciarono a essere di nuovo assalite dagli insetti malgrado le impenetrabili barriere. Dalla giungla si sentirono strane storie… insetti divenuti enormi… creature dalle sembianze umane, ma i cui occhi avevano quel particolare scintillio degli insetti.

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«Vorrei oppormi, ma non ne ho l’autorità», ri­spose Chen-Lhu. «Il suo braccio è ferito gravemen­te? Le manderò uno dei miei medici a dargli un’oc­chiata.»

«Il braccio guarirà», tuonò Alvarez.

«Vuole veramente sapere se sei davvero ferito», si intromise Martinho.

Chen-Lhu lo guardò con aria interrogativa, ma fece finta di nulla.

Vierho porse una carabina al suo capo, dicendo: «Capo, allora andiamo?»

«Perché il buon dottore dovrebbe dubitare che io sia ferito?» chiese Alvarez.

«Gli sono giunte delle strane voci», spiegò Martinho.

«Quali voci?»

«Che noi bandeirantes stiamo infestando di nuovo le zone Verdi per prolungare il nostro lavoro e che alleviamo strani insetti in laboratori segreti.»

«Che stupidaggini!» brontolò Alvarez.

«E di quali bandeirantes si tratterebbe?» chiese Vierho. Guardò cupamente Chen-Lhu, quindi imbrac­ciò la carabina come se volesse puntarla contro il funzionario dell’OIE.

«Vacci piano, Padre», fece Alvarez. «Le voci sono sempre molto vaghe, non fanno mai nomi.»

Martinho volse lo sguardo nel punto in cui la gi­gantesca figura del cervo volante era scomparsa. Trovava più allettante il dialogo con Chen-Lhu e con i suoi compagni dell’idea di dover andare a perlu­strare la tana del mostro. L’aria della sera era cari­ca di un senso di oscura minaccia… di isterismo. E ciò che gli pareva più strano era la sua riluttanza ad agire di fronte a tutti. Era come la tregua dopo un’ardua battaglia.

È una specie di guerra, disse fra sé.

In Brasile stavano ormai lottando da otto anni. In Cina la lotta era durata ben ventidue anni. E, se­condo l’opinione dei cinesi, il Brasile ce l’avrebbe fatta in dieci anni. Per un attimo il pensiero che po­tesse durare ventidue anni, vale a dire altri quattor­dici, lo fece rabbrividire. Una fatica mostruosa.

«Dovete ammettere che stanno accadendo strane cose», disse Chen-Lhu.

«Già», convenne Alvarez.

«Perché nessuno sospetta i Carsonites?» insinuò Vierho.

«Una domanda intelligente, Padre», disse Alvarez. «I Carsonites possono contare su numerosi appoggi esterni… tutte le nazioni alleate: Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Europa.»

«Paesi che non hanno mai avuto grossi fastidi con gli insetti», osservò Vierho.

Stranamente, adesso era Chen-Lhu che protesta­va: «No, le nazioni alleate non sono realmente in­teressate, ma soddisfatte di vederci occupati in que­sta lotta».

Martinho annuì. Sì, la stessa cosa l’avevano detta i suoi compagni al tempo in cui studiava in Nord America. Non se ne curavano minimamente. «Ades­so vado a dare un’occhiata in quel buco», annunziò.

Alvarez prese la carabina di Vierho e se la mise a tracolla sulla spalla sana, quindi impugnò la ma­novella del carrello. «Vengo con te, Johnny.»

Martinho guardò Vierho e notò un’espressione di sollievo sul suo viso. Si rivolse ad Alvarez. «E il tuo braccio?»

«Non preoccuparti, me ne rimane un altro.»

«Travis, si metta dietro di noi», disse Martinho.

«I miei uomini sono appena arrivati», fece Chen-Lhu. «Aspettate un momento, propongo di accer­chiare il luogo. Dirò loro di portare gli scudi.»

«Lo trovo saggio, Johnny», approvò Alvarez.

«Ci avviamo lentamente», aggiunse Martinho. «Padre, va’ all’autocarro e di’ a Ramon di guidarlo fino al bordo dell’aiuola. Poi fa’ in modo che i fari del carro Hermosillo siano puntati sull’aiuola.»

«Subito, capo.»

«Non manderete all’aria tutto?» disse Chen-Lhu.

«Anche noi siamo ansiosi di scoprire che cosa c’è là dentro», rispose Alvarez.

«Andiamo», intimò Martinho.

Chen-Lhu girò a destra e si affrettò verso un trat­tore dell’OIE che stava sopraggiungendo lentamente da una strada laterale. La folla ostacolava il passag­gio e non voleva essere allontanata dalla Plaza.

Alvarez girò la manovella e lo scudo cominciò a strisciare sull’aiuola. «Johnny, perché il dottore non sospetta i Carsonites?» chiese a voce bassa.

«Controlla la rete di spionaggio migliore del mon­do», rispose Martinho. «Se non lo sa lui.» Così di­cendo teneva lo sguardo fisso su quella sezione di aiuola, quel luogo misterioso di fianco alla fontana.

«Tuttavia, quale migliore sistema di sabotarci se non screditando i bandeirantes?»

«È vero, ma non credo che Travis Chen-Lhu com­metterebbe un simile errore.» E pensò: Strano co­me quel pezzo di aiuola attragga e ripugni al tempo stesso.

«Spesso questioni di lavoro ci hanno messi l’uno contro l’altro, Johnny. Ma non dimentichiamo di avere un nemico comune.»

«Quale nemico?»

«Un nemico che si nasconde nella giungla, nei prati della savana e nei sottosuolo. I cinesi ci hanno impiegato ventidue anni…»

«Hai motivo di sospettarli?» Martinho, guardando il suo compagno, notò sul suo viso un’espressione torva. «Non ci metteranno al corrente delle loro sco­perte.»

«I cinesi sono affetti da paranoia. Ne avevano la predisposizione ancora prima di venire in urto con il mondo occidentale e quest’ultimo non ha fatto che evidenziare la loro malattia. Sospettare i cinesi? No, non ci penso nemmeno.»

«Io sì», ribatté Martinho. «Io sospetto di chiun­que.» Al suono della sua stessa voce fu colto da un improvviso senso di malinconia. Era vero: sospetta­va di chiunque, persino di Benito, di Chen-Lhu… e dell’affascinante Rhin Kelly. Disse: «Spesso penso ai vecchi insetticidi, a come gli insetti si rafforzavano sempre più, malgrado, o a causa dei veleni».

Un suono alle loro spalle richiamò l’attenzione di Martinho. Pose una mano sulla spalla di Alvarez, fermò il carrello e si volse.

Era Vierho seguito da un carretto carico di attrez­zi. Martinho notò un grosso piede di porco, un vo­luminoso cappuccio sicuramente destinato ad Alva­rez e pacchi di esplosivo al plastico.

«Capo… ho pensato che ci fosse bisogno di questi», disse Vierho.

Martinho fu pervaso da un sentimento di affetto nei confronti del Padre, tuttavia disse bruscamente: «Tieniti alle nostre spalle, hai capito?»

«Certo, capo.» Porse il cappuccio ad Alvarez. «È per lei, capo Alvarez; questo le eviterà altri incon­venienti.»

«Ti ringrazio, Padre», disse Alvarez. «Ma prefe­risco sentirmi libero nei movimenti. D’altra parte ho talmente tante ferite che una in più non farà gran differenza.»

Martinho si guardò attorno e vide che altri scudi stavano avanzando attraverso l’aiuola. «Presto», dis­se. «Dobbiamo arrivare per primi.»

Alvarez manovrò la leva di comando e lo scudo si mise in moto.

Vierho andò a mettersi di fianco al suo capo e mormorò a bassa voce: «Capo, sono appena giunte notizie allarmanti dalla costa. Sembra che qualche creatura abbia divorato le palafitte di un magazzino facendolo crollare. Pare ci siano alcuni morti. La po­polazione è sconvolta».

«Ne ho udito parlare da Chen-Lhu», disse Martinho.

«Non è questo il posto?» si intromise Alvarez.

«Ferma lo scudo», ordinò Martinho. Fissò il ter­reno, alla ricerca delle tracce lasciate in precedenza dallo scudo. «È qui», disse. Allungò la carabina a Vierho e aggiunse: «Passami il piede di porco… e una carica di esplosivo».

Vierho gli porse un pacco di esplosivo al plastico provvisto di detonatore, il genere di ordigno solita­mente usato nelle zone Rosse per far saltare i nidi de­gli insetti.

Martinho calò la visiera protettiva e prese il piede di porco. «Vierho, rimani qui e vedi di coprirmi. Benito, puoi maneggiare la torcia?»

«Certo, Johnny.»

«Capo, non hai intenzione di usare lo scudo?»

«Non c’è tempo.» Si mosse prima che Vierho po­tesse ribattere. La luce della torcia rischiarava il ter­reno davanti a lui. Si inginocchiò, fece scorrere la punta della sbarra sull’erba e cominciò a scavare. La sbarra colpì ripetutamente il suolo, quindi affondò nel vuoto. Improvvisamente urtò contro qualcosa e Martinho fu pervaso da un fremito di eccitazione. «Padre, quaggiù.»

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