Frank Herbert - Il cervello verde

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In un mondo sovrappopolato, che cercava spazio vitale nella giungla, l’Organizzazione Ecologica Internazionale sterminav sistematicamente dei voraci insetti che rendevano inospitali quelle zone. Uomini come Joha Martinho e i suoi aiutanti usavano bombole schiumogene mortali e nuove armi a vibrazione per ripulire l’inferno verde del Mato Grosso. Ma, per ragioni sconosciute, le aree già disinfestate completamente incominciarono a essere di nuovo assalite dagli insetti malgrado le impenetrabili barriere. Dalla giungla si sentirono strane storie… insetti divenuti enormi… creature dalle sembianze umane, ma i cui occhi avevano quel particolare scintillio degli insetti.

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Era una massa di circa quattro metri di diametro e di mezzo metro di altezza e riconoscendosi in una «Suprema Integrazione» svolgeva il suo ruolo con vigilanza passiva, eppure era non poco contrariato di fronte alle necessità che lo tenevano ancorato in quella caverna rifugio.

Una maschera sensoriale mobile che poteva spo­starsi e flettersi a piacere — per assumere ora la for­ma di un disco, ora di un tubo membranoso e addi­rittura per simulare il volto gigantesco di un umano — giaceva, simile a un berretto, sulla superficie del cervello. I suoi organi sensoriali erano diretti ver­so la luce grigia dell’alba che filtrava dall’imboc­catura della caverna.

Il ritmico pulsare di una vescica laterale pompava nel cervello un liquido scuro e viscoso. Insetti senza ali strisciavano sulla superficie membranosa, ispezionando, riparando e alimentando dove era ne­cessario.

Sciami di insetti volanti si ammucchiavano negli anfratti della caverna, alcuni dei quali producevano acidi per ottenere il loro fabbisogno di ossigeno, altri digerivano, altri ancora rifornivano energia ai muscoli atti a pompare.

La caverna era permeata di un odore amarogno­lo di acido.

Gli insetti volavano dentro e fuori nella luce del­l’alba. Alcuni si fermavano per compiere piroette, oscillare e ronzare per stimolare gli impulsi del cer­vello; altri emettevano modulati striduli nel ripor­tare notizie; altri ancora si raggruppavano o si alli­neavano; altri formavano motivi complessi con va­riazioni di colore o agitavano le antenne nei modi più complicati.

Giunse la squadra da Bahia: «Piogge abbondanti… terreno bagnato; crollati i covi della nostra po­stazione d’ascolto. Un osservatore è stato scoperto e attaccato, ma un caposquadra lo ha tratto in salvo aprendogli un varco attraverso il fiume. In quel pun­to una delle strutture dei ponti è crollata. Non ab­biamo lasciato tracce del nostro operato, tuttavia gli umani ci hanno avvistati. Quelli che non sono riusciti a mettersi in salvo sono stati soppressi. Tra gli umani ci sono state molte perdite».

Numerosi morti tra gli umani, rifletté il cervello. Allora le notizie trasmesse dalla radio erano esatte.

Era un disastro.

Ora il cervello richiedeva una maggior quantità di ossigeno; gli insetti specializzati si riversarono su di esso; il ritmo di pompaggio aumentò di velocità.

Gli umani si crederanno attaccati, pensò il cer­vello. Allora metteranno in atto i loro meccanismi di difesa. Riuscire a penetrare in quei meccanismi col pacato ragionamento sarà difficilissimo, se non impossibile.

Chi può ragionare con una mente irrazionale?

Gli umani erano estremamente difficili da capire, coi loro valori religiosi e i loro modelli di accumu­lazione.

Gli «affari» erano ciò che i libri definivano i loro modelli di accumulazione, ma al cervello sfuggiva il vero significato della parola. Il denaro non era com­mestibile, non sembrava contenere energie, inoltre era fatto di un materiale per nulla resistente. Le taipe ,le case degli umani più poveri, fatte di graticcio e di fango, avevano maggior consistenza.

Eppure gli umani erano avidi di denaro. Quella roba doveva essere importante, proprio come la lo­ro concezione della divinità, qualcosa simile a una suprema integrazione, la cui essenza e localizzazione erano impossibili a definirsi. Era tutto troppo com­plicato.

Il cervello sentiva che in qualche luogo doveva esistere la fonte originaria del pensiero che riuscisse a spiegare queste cose, ma gliene sfuggiva il modello.

Allora pensò come fosse strana questa struttura vitale, questo trasferimento di energia intera per creare visioni immaginarie, che in realtà erano schemi e progetti, e che a volte si smarrivano per strada. Come era curiosa, misteriosa e anche bella la scoperta dell’essere umano, le cui fattezze erano state copiate e adattate a uso di altre creature. Com’era ammirevole e sublime questa manipolazio­ne dell’universo che esisteva solo entro i confini dell’immaginazione, senza riscontro reale.

Per un attimo il cervello si sottopose a una pro­va, cercando di simulare le emozioni umane. La pau­ra e l’unità dello sciame… solo quello poteva capire. Ma i mutamenti, il tipo di paura chiamata odio, i riflessi stimolati dalla vescica laterale… questi erano più difficili da capire.

Il cervello non aveva mai preso in considerazione l’idea di essere stato una volta parte di un essere umano e quindi soggetto a tali emozioni. Questo pensiero irritante lo aveva sempre evitato. Ora il cervello era solo un sosia di quello umano, più grande e più complesso. Nessun sistema circolatorio umano poteva sostenere le necessità di nutrimen­to che lui richiedeva. Nemmeno il più semplice si­stema sensoriale umano poteva soddisfare la sua sete di informazione.

Era semplicemente il Cervello ,una parte funzionale del sistema del super-alveare, ora più impor­tante persino delle api regine.

«Quale classe sociale umana è stata sterminata?» chiese.

La risposta gli giunse in tono stridulo: «Lavoratori, femmine, umani immaturi e qualche regina sterile».

Femmine e umani immaturi, pensò il cervello. Nel­lo schermo della sua consapevolezza prese forma un’antica maledizione indiana. Di fronte a simili eccidi, la reazione umana sarebbe stata violenta. Si imponeva un’azione immediata.

«Quali notizie dai nostri messaggeri penetrati nel­le barriere?» domandò il cervello.

La risposta fu: «Sconosciuta la posizione segre­ta dei messaggeri».

«Deve essere individuata. I messaggeri devono re­stare nascosti fino a nuovo ordine. Informateli im­mediatamente.»

Operai specializzati si allontanarono per esegui­re l’ordine.

«Dobbiamo catturare degli esemplari umani più vari», ordinò il cervello. «Dobbiamo trovare un ca­po vulnerabile tra loro. Inviate osservatori, messag­geri e unità d’azione. Fate pervenire notizie il più presto possibile.»

Quindi il cervello rimase in ascolto, controllando che i suoi ordini venissero eseguiti e i messaggi trasmessi anche a lunghe distanze. Fu pervaso da un vago senso di frustrazione; sentiva delle necessi­tà che non riusciva a spiegarsi. Sollevò la maschera sensoriale e la depose su alcuni paletti di sostegno, formò gli occhi e li concentrò sull’imboccatura del­la caverna.

Pieno giorno.

Ora doveva solo attendere.

L’attesa era la parte più difficile dell’esistenza.

Il cervello cominciò a esaminare questo pensie­ro, considerando possibili alternative al processo di attesa, immaginando proiezioni di crescita fisica.

Tali pensieri produssero una specie di caos in­tellettivo che mise in allarme l’intero sciame. Gli insetti presero a ronzare furiosamente intorno al cervello, proteggendolo, alimentandolo, formando fa­langi di guerrieri.

Questa iniziativa preoccupò il cervello.

Il cervello sapeva che cosa aveva spinto lo sciame all’azione: proteggere il fulcro dell’alveare era un istinto di sopravvivenza radicato in tutte le specie. Il cervello si rendeva conto che le primitive unità dello sciame non potevano cambiare quel concetto. Eppure dovevano abituarsi al cambiamento. Dove­vano acquisire elasticità di ingegno e capacità di as­suefarsi a nuove idee, affrontando ogni situazione co­me una «cosa» unica.

Devo continuare a insegnare e a imparare, pen­sò il cervello.

Ora desiderava ricevere notizie dagli osservatori in­viati a est. Aveva urgente bisogno di informazioni da quella zona, per completare i frammenti di notizie raccolte dagli appostamenti d’ascolto. Da lì poteva giungere una prova indispensabile per impedire al­la razza umana di tuffarsi a capofitto nella distru­zione totale.

Lo sciame a poco a poco ridusse la sua attività mentre il cervello allontanava quegli angosciosi pen­sieri.

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