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Frank Herbert: Il cervello verde

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Frank Herbert Il cervello verde

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In un mondo sovrappopolato, che cercava spazio vitale nella giungla, l’Organizzazione Ecologica Internazionale sterminav sistematicamente dei voraci insetti che rendevano inospitali quelle zone. Uomini come Joha Martinho e i suoi aiutanti usavano bombole schiumogene mortali e nuove armi a vibrazione per ripulire l’inferno verde del Mato Grosso. Ma, per ragioni sconosciute, le aree già disinfestate completamente incominciarono a essere di nuovo assalite dagli insetti malgrado le impenetrabili barriere. Dalla giungla si sentirono strane storie… insetti divenuti enormi… creature dalle sembianze umane, ma i cui occhi avevano quel particolare scintillio degli insetti.

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«Ha visto cose simili nella giungla?» domandò Chen-Lhu.

«Non ha notato la cicatrice sul viso di Vierho?»

«Che cosa può dimostrare una cicatrice?»

«Abbiamo visto… quello che abbiamo visto.»

«Ma un insetto non può raggiungere simili pro­porzioni!» protestò Rhin. Concentrò lo sguardo su quell’oscura creatura che si agitava lungo il bordo della fontana, al di là della cortina d’acqua.

«Così sembra», ribatté Martinho. Quindi ripensò alle voci che gli erano giunte dalla Serra Dos Parecis. Una mantide lunga tre metri. Sapeva come controbattere simili affermazioni. Rhin… la scien­za avevano ragione. Gli insetti non potevano assu­mere una simile struttura fisica. Era possibile che quelle cose fossero degli automi? Chi avrebbe po­tuto costruirle? E per quale motivo?

«Devono essere creature meccaniche», asserì Rhin.

«Tuttavia l’acido è autentico», osservò Chen-Lhu. «Guarda quelle chiazze gialle sull’aiuola.»

Martinho dovette ammettere che la sua basilare esperienza lo costringeva a convenire con Rhin e Chen-Lhu. Si era persino rifiutato di credere all’esi­stenza della mantide gigantesca. Sapeva che le chiac­chiere spesso degeneravano. Quel giorno nella zona Rossa c’erano praticamente solo i bandeirantes. E non si poteva certo negare che molti di loro fossero ignoranti, superstiziosi, attratti dal denaro e facil­mente suggestionabili. Scosse il capo. Eppure lui stes­so era presente quel giorno in cui Vierho era stato investito dall’acido. Aveva visto… quello che aveva visto. E adesso, quella creatura là nella fontana.

Il cigolio delle ruote degli autocarri lo riportò alla realtà. Il rumore si faceva sempre più stridulo. La folla indietreggiò per permettere all’autocarro di Ramon di fare marcia indietro e di accostarsi a quello degli Hermosillo. Lo sportello posteriore si aprì e Vierho saltò giù non appena il motore si spense.

«Capo», chiamò. «Perché non utilizziamo l’auto­carro? Ramon potrebbe avvicinarlo il più possibile alla…»

Martinho gli fece cenno di tacere, quindi si rivolse a Chen-Lhu. «Il camion non ha sufficiente manovra­bilità. Ha visto come sono veloci i movimenti di quella cosa.»

«Non mi ha ancora detto che cosa ne pensa», fe­ce Chen-Lhu.

«Glielo dirò quando avrò visto quella cosa dentro una provetta», rispose Martinho.

Vierho gli si accostò e disse: «Ma con il carro po­tremmo…»

«No! Il dottor Chen-Lhu vuole un esemplare in buo­no stato. Procurati delle bombe schiumogene. Ci andiamo a piedi.»

Vierho sospirò, quindi, alzando le spalle, si avviò verso la parte posteriore del carro e scambiò qual­che parola con un compagno. Questi cominciò a pas­sargli il materiale.

Martinho si rivolse al poliziotto che aiutava a trattenere la folla. «Può far avere un messaggio a quelle auto là in sosta?» disse.

«Certamente, signore.»

«Voglio che spengano i fari. Non vorrei rimanere abbagliato mentre sto lavorando. Mi capisce?»

«Comunico subito il messaggio, signore.» Si girò di scatto e andò a dare ordini a un funzionario in fondo alla fila.

Martinho si precipitò verso il camion, prese un fucile a gas ed esaminò il caricatore. Quindi lo estras­se e ne prese uno dalla rastrelliera fissata alla por­tiera del camion. Inserì il nuovo caricatore e lo esa­minò. «Lascia qui la provetta finché non avremo im­mobilizzato quella… cosa», disse. «Verremo a pren­derla in seguito.»

Vierho fece scivolare all’esterno lo schermo pro­tettivo: uno scudo di vetro temperato di due centimetri di spessore, resistente agli acidi, montato su un carrello a due ruote e manovrabile a mano. In una fessura laterale era stato infilato il fucile.

Dal camion un bandeirante porse due tute protet­tive: due strati di una fibra di vetro grigio-argentea rivestita di un tessuto sintetico resistente agli acidi.

Martinho ne infilò una e controllò le chiusure ermetiche. Vierho indossò l’altra.

«Thome potrebbe aiutarmi con lo scudo», fece Martinho.

«Non ha molta esperienza, capo.»

Martinho annuì e prese a controllare le bombe schiumogene e l’equipaggiamento supplementare, quindi appese degli altri caricatori nella rastrelliera dello scudo.

Tutto fu eseguito in silenzio e con la massima ra­pidità, con quell’abilità conseguita dopo una lunga esperienza. La folla dietro l’autocarro aspettava in silenzio, un’attesa carica di tensione. Solo un leggero brusio circondava il camion.

«È ancora là nella fontana, capo», fece Vierho. Impugnò il manico dello schermo protettivo e lo di­resse verso le piastrelle che decoravano il pavimento. La ruota destra si fermò sulla figura di un condor dipinta in una gradazione di blu.

Martinho ripose il fucile nella fessura e disse: «Sa­rebbe più semplice se dovessimo limitarci a soppri­merla».

«Quelle cose sono veloci come una saetta», os­servò Vierho «È una faccenda che non mi piace, capo. Se lo scudo non dovesse ripararci…» Si toccò la manica della tuta. «Questa qui diventerebbe co­me una carta assorbente.»

«Dobbiamo manovrare lo scudo con molta atten­zione.»

«Farò del mio meglio, capo.»

Martinho studiò la creatura, immobile sul bordo della fontana, dietro la cortina d’acqua e disse: «Va’ a prendere una torcia elettrica. Forse riusciamo ad abbagliarla».

Vierho bloccò lo scudo e si precipitò verso il ca­mion. Riapparve dopo pochi minuti con una torcia appesa alla cintura della tuta.

«Andiamo», ordinò Martinho.

Vierho allentò il freno dello scudo e avviò il mo­tore che emise un debole ronzio. Spostò di due tac­che la leva di comando e lo scudo avanzò lentamen­te, sollevandosi per superare il cerchio di mattonel­le in rilievo, quindi si fermò nell’aiuola.

Uno spruzzo di acido scaturì dalla creatura e schizzò sull’erba a dieci metri da loro. Un fumo bian­castro si levò dall’aiuola e, sospinto da una leggera brezza, si dissolse alla loro sinistra.

Martinho notò la direzione della brezza e ordinò a Vierho di girare lo scudo controvento.

Un altro getto di acido ricadde vicino a loro, qua­si alla stessa distanza.

«Sta cercando di dirci qualcosa, capo», scherzò Vierho.

Lentamente le si avvicinarono, attraversando una chiazza di erba ingiallita.

Un ulteriore spruzzo d’acido si levò dal bordo del­la fontana.

Vierho spostò il carrello all’indietro. L’acido schiz­zò il vetro e scivolò sulla parte anteriore del carrel­lo. Un odore acre li investì.

Un mormorio concitato si levò dalla folla radunata attorno alla Plaza.

«Sono pazzi a rimanere così vicini», fece Vierho. «Se quella cosa dovesse attaccare…»

«Qualcuo le sparerebbe addosso», ribatté Martinho. «E sarebbe la fine della pulce.»

«La fine di un esemplare per le ricerche del dottor Chen-Lhu», proseguì Vierho, «e addio ai dieci­mila cruzados».

«Sì», proseguì Martinho, «non dobbiamo dimen­ticare la ragione per cui corriamo un simile rischio».

«Non penserai che lo faccia per divertimento», disse Vierho e spostò in avanti lo scudo di un altro metro.

Una nuvola di vapore si addensò nel punto in cui l’acido era ricaduto.

«Ha intaccato il vetro!» esclamò Vierho in tono sbalordito.

«Dall’odore sembra acido ossalico», affermò Mar­tinho. «Deve essere anche più potente. Fa’ attenzio­ne, adesso. Non dobbiamo mancare il bersaglio.»

«Perché non provi con una bomba fumogena?»

«Vierho!»

«Ahhh, sì, l’acqua.»

La creatura cominciò a scivolare lungo la fontana alla loro destra. Vierho girò lo scudo per difendersi dal nuovo attacco. La creatura si fermò, quindi re­trocesse.

«Aspetta un momento», disse Martinho. Studiò la creatura attraverso un punto nitido del vetro.

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