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Frank Herbert: Il cervello verde

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Frank Herbert Il cervello verde

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In un mondo sovrappopolato, che cercava spazio vitale nella giungla, l’Organizzazione Ecologica Internazionale sterminav sistematicamente dei voraci insetti che rendevano inospitali quelle zone. Uomini come Joha Martinho e i suoi aiutanti usavano bombole schiumogene mortali e nuove armi a vibrazione per ripulire l’inferno verde del Mato Grosso. Ma, per ragioni sconosciute, le aree già disinfestate completamente incominciarono a essere di nuovo assalite dagli insetti malgrado le impenetrabili barriere. Dalla giungla si sentirono strane storie… insetti divenuti enormi… creature dalle sembianze umane, ma i cui occhi avevano quel particolare scintillio degli insetti.

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Si spostava avanti e indietro, chiaramente visibile sullo sfondo oscuro della folla. Aveva le stesse ca­ratteristiche del suo piccolo omonimo, esattamente come una caricatura potrebbe evidenziarle. Le se­zioni del suo corpo erano sorrette da zampe nervate ricoperte di ispida peluria. Le antenne, rigide e ba­gnate sulla punta, brillavano alla luce dei fari. D’un tratto sollevò la proboscide e schizzò una gran quan­tità di liquido in direzione dello scudo.

Martinho si abbassò di scatto. «Dobbiamo avvici­narci ancora», disse, «non dobbiamo darle il tempo di riprendersi, dopo averla stordita».

«Con che cosa è caricato il fucile, capo?»

«Con una miscela speciale: solfuro diluito e su­blimato corrosivo in una capsula di butile che a con­tatto dell’aria si condensa. Voglio fare in modo che le zampe si aggroviglino.»

«Mi auguro che tu abbia anche qualcosa per ot­turare il foro della proboscide.»

«Muoviti, vecchio mio», lo esortò Joao.

Vierho avvicinò a sé lo scudo e si sporse per scru­tare attraverso la nube provocata dall’acido.

La pulce gigante saltò lateralmente, si girò, sfrec­ciò a destra lungo il bordo della fontana. D’un trat­to fece un giro su se stessa e spruzzò un abbondante getto d’acido nella loro direzione. Il liquido, illumi­nato dai fari dei camion, scintillava come una casca­ta di gioielli.

Vierho riuscì a stento a spostare lo scudo per di­fendersi da questo ulteriore attacco. «Al diavolo i diecimila cruzados!» brontolò. «Non mi va di ri­schiare la pelle in questo modo. Non siamo dei toreri, noi.»

«Questo non è un toro, fratello. Non ha le corna.»

«Ti dirò che preferirei avesse le corna.»

«Stiamo perdendo tempo in chiacchiere», fece Martinho. «Avviciniamoci ancora, d’accordo?»

Vierho spinse in avanti lo scudo fino ad arrivare a soli due metri dalla creatura. «Spara!» sibilò.

«Un colpo solo», disse Martinho. «Non dobbiamo danneggiare l’esemplare. Il dottor Chen-Lhu lo vuole intatto.»

E pensò: Anch’io lo voglio.

Puntò il fucile contro la creatura, ma questa bal­zò prima sull’aiuola, poi ritornò sul bordo della fon­tana. Un urlo si levò dalla folla.

Martinho e Vierho si acquattarono per osservare la loro preda che continuava a saltare avanti e in­dietro sull’aiuola.

«Perché diavolo non si ferma un momento?» fe­ce Martinho.

«Capo, se dovesse saltare sotto lo scudo, saremmo rovinati. Che cosa aspetti? Falla fuori!»

«Devo essere sicuro di centrarla.»

Fece oscillare il fucile da una parte e dall’altra, se­guendo i movimenti dell’instancabile insetto. Ogni volta sfuggiva alla loro visuale per spostarsi sempre più verso destra. Improvvisamente si girò e sfrecciò verso il lato opposto attorno al bordo della fontana. Ora l’intera cortina d’acqua li separava dalla preda, ma i fari ne avevano seguito la ritirata e potevano segnalarne la posizione. In quel momento Martinho fu colto dal sospetto che la cosa stesse cercando di attirarli in un tranello. Sollevò lo schermo visivo della tuta e si asciugò la fronte con la mano sinistra. Era madida di sudore. La notte era calda, sebbene lì, vicino alla fontana, ci fosse una frescura carica di umidità, mescolata all’odore amarognolo dell’acido.

«Siamo nei guai», mormorò Vierho. «Con la fon­tana di mezzo, come faremo a catturarla?»

«Andiamo», disse Martinho. «Se rimane dov’è, faccio uscire un’altra squadra. Allora non potrà sfuggirci.»

Vierho prese a manovrare lo scudo lateralmente attorno alla fontana. «Sono ancora dell’idea che avremmo dovuto utilizzare il camion», affermò.

«Troppo grande e ingombrante», replicò Martinho. «Inoltre avrebbe potuto spaventarla tanto da indurla a cercare riparo fra la folla, mentre così può pensare di avere una via di scampo.»

«Sono d’accordo con te, capo.»

In quel momento la pulce gigante sfrecciò verso di loro, poi si fermò e strisciò all’indietro tenendo la proboscide rivolta verso lo scudo. Sembrava un ber­saglio sicuro, ma la grande quantità di acqua che sgorgava fra la bestia e Martinho impedì a quest’ul­timo di sparare.

«Abbiamo il vento alle spalle, capo», osservò Vierho.

«Lo so. Speriamo che non le salti in mente di spruzzare acido in questo momento. Il vento ce lo farebbe ricadere sulla schiena.»

La pulce si ritrasse in una zona in cui la struttura superiore della fontana la riparava dalla luce acce­cante dei fari. Andava avanti e indietro nella zona buia, un movimento oscuro attraverso la cortina di acqua.

«Capo, ho idea che quella cosa non rimarrà lag­giù a lungo.»

«Tieni lo scudo un momento», disse Martinho. «Credo che tu abbia ragione. Dobbiamo sgombrare la piazza. Se le saltasse in mente di assalire la folla, qualcuno potrebbe farsi del male.»

«Hai detto una cosa giusta.»

«Vierho, prendi la torcia e vedi di abbagliarla, nel frattempo mi sposterò sulla destra e cercherò di colpirla a distanza.»

«Capo!»

«Hai un’idea migliore?»

«Almeno spingiamo il carrello più avanti, là nel­l’aiuola. Così non saresti troppo vicino se…»

Ancora nascosta all’ombra della fontana, la pulce balzò sull’aiuola.

Vierho alzò la torcia e un fascio di luce bianco-azzurra inondò la creatura. «Dio mio, capo! Ammaz­zala.»

Martinho fece roteare il fucile per puntarlo nella nuova direzione, ma la fessura dello scudo gli bloc­cò il movimento a metà. Imprecò e afferrò la leva di comando, ma, prima che potesse girare lo scudo, una sezione dell’aiuola, illuminata a giorno dalla lu­ce della torcia, si sollevò dietro la pulce come una botola. Una sagoma nera, sormontata da qualcosa che sembrava una testa tricorne, emerse parzialmen­te dal buco con un suono simile a uno stridulo ri­chiamo.

La pulce sfrecciò oltre la sagoma misteriosa e scomparve nel buco.

Adesso la folla urlava, un frastuono assordante mi­sto a rabbia, paura ed eccitazione selvaggia riempi­va l’atmosfera della Plaza.

Ciononostante, Martinho poté udire la voce di Vie­rho che recitava una preghiera, quasi una cantilena: «Santa Maria, Madre di Dio…»

Martinho cercò di spinger lo scudo verso la crea­tura nascosta nel buco, ma Vierho, che invece voleva retrocedere, glielo impedì. Lo scudo fece un giro su se stesso e i due rimasero allo scoperto, mentre là nell’aiuola la sagoma nera si sollevava di un altro mezzo metro. Martinho poteva vederla distintamen­te immersa nel chiarore della torcia: la cosa asso­migliava a un gigantesco cervo volante, alto più di un uomo e con tre corna.

Disperatamente, Martinho sfilò il fucile e lo puntò contro la sagoma mostruosa.

«Capo, capo, capo!» insisteva Vierho.

Martinho puntò l’arma e fece partire una scarica in direzione della creatura.

La miscela velenosa la investì in pieno e l’avvolse.

La creatura, con la gigantesca mole contorta per l’effetto dello spruzzo, esitò, quindi emerse ulterior­mente dalla tana con un grido stridulo simile a un grugnito che risuonò distintamente al di sopra delle urla della folla.

All’improvviso un silenzio agghiacciante scese sul­la Plaza, mentre la creatura enorme sovrastava la folla… un mostro corazzato verde, nero e luccicante, con una mole che superava di un metro quella di un uomo.

Martinho poté udire un suono, uno strano gorgo­glio simile a quello della fontana, ma più distinto.

Con cautela puntò nuovamente il fucile contro la testa tricorne e in dieci secondi svuotò il caricatore. Il mostro si impennò minaccioso e parve lottare con­tro la nube appiccicosa di gas, quindi indietreggiò e scomparve nella sua tana.

«Capo, andiamocene da qui», insisteva Vierho. «Per favore, capo.» Girò lo scudo in modo che fun­gesse da barriera tra loro e l’insetto gigantesco. «Per favore», ripeté, tentando di far retrocedere Mar­tinho con lo scudo.

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