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Frank Herbert: Il cervello verde

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Frank Herbert Il cervello verde

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In un mondo sovrappopolato, che cercava spazio vitale nella giungla, l’Organizzazione Ecologica Internazionale sterminav sistematicamente dei voraci insetti che rendevano inospitali quelle zone. Uomini come Joha Martinho e i suoi aiutanti usavano bombole schiumogene mortali e nuove armi a vibrazione per ripulire l’inferno verde del Mato Grosso. Ma, per ragioni sconosciute, le aree già disinfestate completamente incominciarono a essere di nuovo assalite dagli insetti malgrado le impenetrabili barriere. Dalla giungla si sentirono strane storie… insetti divenuti enormi… creature dalle sembianze umane, ma i cui occhi avevano quel particolare scintillio degli insetti.

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«È questa la convinzione dell’OIE? O non è piut­tosto quella della Cina?»

«Di entrambe», affermò Chen-Lhu.

«Anche se il Nord America si oppone?»

«Suppongo che si lascerà persuadere.»

«E l’Irlanda?»

Rhin si sforzò di sorridere. «Gli irlandesi», disse, «sono notoriamente un popolo irragionevole.» Al­lungò la mano per prendere il suo drink, ma in quel momento la sua attenzione fu attratta da un bandeirante vestito di bianco, ritto di fronte a lei.

Martinho balzò in piedi e si inchinò nuovamente a Rhin. «Dottor Kelly, mi permetta di presentarle uno dei miei fratelli Irmandades, padre Vierho.» Quindi si rivolse al suo compagno: «Questa bellezza, stimato padre, è un direttore settoriale.»

Vierho fece un breve cenno col capo e con aria im­pacciata sedette a una estremità del divano, vicino a Chen-Lhu. «Encantado», mormorò.

«Sono poco mondani i miei Irmandades», disse Martinho, riprendendo il suo posto accanto a Rhin. «Sono certo che preferirebbero esser fuori a ucci­dere formiche.»

«Johnny, come sta suo padre?» chiese Chen-Lhu.

Senza distogliere gli occhi da Rhin, Martinho ri­spose: «La questione del Mato Grosso lo tiene mol­to occupato.» Fece una pausa. «Ha degli occhi in­cantevoli.»

Ancora una volta Rhin rimase sconcertata dalla sua disinvoltura. Sollevò il calice contenente il suo drink e disse: «Cos’è questa roba?»

«Ah, quello è idromele brasiliano. Lo assaggi. Nei suoi occhi ci sono dei puntini luminosi che si into­nano al colore dorato del suo drink.»

Rhin evitò di replicare. Avvicinò il bicchiere alle labbra e assaporò la bevanda. Quando colse lo sguar­do di Vierho fisso su di lei, si fermò col tubo di ve­tro vicino alle labbra.

«I suoi capelli sono proprio di quel colore?» chie­se Vierho.

Martinho scoppiò a ridere e disse in tono sorpreso e stranamente affettuoso: «Ah, Padre!»

Rhin assaporò il suo drink cercando di mascherare una sensazione di disagio; trovò che aveva un sapore delicato, dolce come l’aroma di certi fiori, con una punta di amaro.

«Ma sono veramente di quel colore?» insistette Vierho.

Chen-Lhu si sporse in avanti. «Molte ragazze irlan­desi hanno i capelli rossi, Vierho. Rispecchiano un temperamento selvaggio.»

Rhin posò il bicchiere sul tavolo, meravigliandosi delle sue stesse emozioni. Sentiva che fra Vierho e il suo capo si era instaurato un certo cameratismo e si rammaricava di esserne esclusa.

«Quali sono i suoi programmi, Johnny?» chiese Chen-Lhu.

Martinho lanciò un’occhiata a Vierho, quindi si ri­volse a Chen-Lhu e lo fissò con durezza. Per quale motivo questo funzionario dell’OIE mi rivolge una si­mile domanda, qui e in questo momento? si doman­dava. Chen-Lhu deve essere a conoscenza dei miei programmi. Non potrebbe essere altrimenti. «Mi sorprende che non ne abbia sentito parlare», rispo­se. «Oggi pomeriggio ho fatto un’ulteriore offerta per assicurarmi la Serra Dos Parecis.»

«Dove si trova il grosso insetto della Mambuca», mormorò Vierho.

Un improvviso impeto d’ira rabbuiò i lineamenti di Martinho. «Vierho!» esclamò.

Rhin fissò prima l’uno e poi l’altro. Uno strano si­lenzio era calato sul gruppo. Lo avvertì simile a un fremito per tutto il corpo. C’era in quel silenzio qual­cosa di spaventoso, persino di erotico… che la tur­bava profondamente. Captò la reazione del suo cor­po e ne ebbe una repulsione violenta. Sapeva che questa volta non era in grado di individuarne la vera causa. Poteva solo pensare: Ecco perché Chen-Lhu mi ha mandata a chiamare: per attirare questo Joao Martinho e manipolarlo a dovere. Lo farò, ma ciò che mi turba maggiormente è la certezza che ne trarrò piacere.

«Ma, capo», fece Vierho, «sai bene quel che han­no detto su…»

«Lo so», ringhiò Martinho. «Sì, lo so!»

Vierho annuì con espressione contrita. «Hanno detto che…»

«Che esistono insetti mutanti, lo sappiamo», pro­seguì Martinho. E pensò: Perché Chen-Lhu mi ha co­stretto a questa rivelazione? Per vedermi litigare con uno dei miei uomini?

«Insetti mutanti?» chiese Chen-Lhu.

«Abbiamo visto quello che abbiamo visto», tagliò corto Vierho.

«Ma quella ‘cosa’, come viene descritta, è una im­possibilità materiale. Non può che essere il prodotto di qualche superstizione, ne sono certo», insistette Martinho.

«Veramente, capo?»

«Comunque, qualunque cosa sia, siamo in grado di affrontarla», dichiarò Martinho.

«Di che cosa state parlando?» chiese Rhin.

Chen-Lhu si schiarì la voce. Lascia che ora scopra fino a che punto si spingerà il nemico, pensò. La­scia che si accorga della perfidia di questi bandeirantes. Poi, quando le avrò spiegato che cosa deve fare, non si tirerà certo indietro.

«C’è in giro una storia», disse Chen-Lhu.

«Una storia!» sogghigno Martinho.

«Delle chiacchiere, allora», si corresse Chen-Lhu. «Sembra che alcuni bandeirantes di Diogo Alvarez asseriscano di aver visto, nella Serra Dos Parecis, una mantide lunga tre metri.»

Vierho, teso in volto, si piegò verso Chen-Lhu. La cicatrice che gli solcava la guancia era impallidita. «Lo sa, senhor, che Alvarez ha perduto sei uomini prima di abbandonare la serra? Sei uomini! E…»

Vierho si interruppe all’apparire di un uomo tar­chiato dalla carnagione scura che indossava una tuta da lavoro piena di macchie. Si fermò alle spalle di Martinho e rimase in attesa.

Poi il nuovo venuto si chinò su Martinho e gli bi­sbigliò qualcosa all’orecchio.

Rhin riuscì a captare solo alcune parole (parlavano a voce molto bassa in un dialetto incomprensibile del retroterra), un accenno alla Plaza, la piazza cen­trale… folla.

Martinho si umettò le labbra e chiese: «Quando?»

Ramon si raddrizzò e disse alzando leggermente il tono della voce: «Proprio adesso, capo.»

«Nella Plaza?»

«Sì, a meno di un isolato da qui.»

«Di che cosa si tratta?» chiese Chen-Lhu.

«Di una pulce», fece Martinho.

«Una pulce?»

«Così dicono.»

«Ma questa è zona Verde», osservò Rhin sgo­menta.

Martinho si alzò e si allontanò dal divano.

Mentre alzava lo sguardo sul capo bandeirante, il viso di Chen-Lhu tradiva una certa preoccupazione.

«La prego di scusarmi, signorina», disse Martinho.

«Dove sta andando?» chiese lei.

«C’è un lavoro da sbrigare.»

«Una pulce?» insistette Chen-Lhu. «È sicuro che non si tratti di un errore?»

«Nessun errore, senhor», fece Ramon.

«Ma non esiste un modo per evitare questi incon­venienti?» chiese Rhin. «Ovviamente si tratta di un clandestino che è riuscito a infiltrarsi nella zona Verde, nascosto in qualche carico, oppure…»

«Forse no», replicò Martinho. Poi si rivolse a Vierho. «Raduna gli uomini. Avrò particolarmente bisogno di Thome per il camion e di Lon per mano­vrare le luci.»

«Subito, capo.» Vierho balzò in piedi e attraversò il locale per unirsi agli altri Irmandades.

«Che cosa significa… forse no?» chiese Chen-Lhu.

«Si tratta di quelle stranezze cui lei si rifiuta di credere», disse Martinho, poi si rivolse a Ramon: «Unisciti a Vierho, per favore.»

«Sì, capo.» Ramon fece dietrofront con una pre­cisione quasi militare, e si mosse sulla scia di Vierho.

«Vuole spiegarsi, per favore?» disse Chen-Lhu.

«Secondo la descrizione si tratta di un insetto, lun­go quasi mezzo metro, che spruzza acido», fece Martinho.

«Impossibile», ribatté Chen-Lhu.

Rhin scosse il capo. «È assolutamente improba­bile che una pulce…»

«È uno scherzo dei bandeirantes», affermò Chen-Lhu.

«Come vuole lei, senhor», disse Martinho. «Ha visto la cicatrice sulla guancia di Vierho? Anche quel­lo è il risultato di uno scherzo.» Si volse e si inchinò a Rhin. «Mi perdona, senhorita?»

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