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Frank Herbert: Il cervello verde

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Frank Herbert Il cervello verde

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In un mondo sovrappopolato, che cercava spazio vitale nella giungla, l’Organizzazione Ecologica Internazionale sterminav sistematicamente dei voraci insetti che rendevano inospitali quelle zone. Uomini come Joha Martinho e i suoi aiutanti usavano bombole schiumogene mortali e nuove armi a vibrazione per ripulire l’inferno verde del Mato Grosso. Ma, per ragioni sconosciute, le aree già disinfestate completamente incominciarono a essere di nuovo assalite dagli insetti malgrado le impenetrabili barriere. Dalla giungla si sentirono strane storie… insetti divenuti enormi… creature dalle sembianze umane, ma i cui occhi avevano quel particolare scintillio degli insetti.

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E rimaneva sempre insoluta la questione princi­pale: come poteva una qualsiasi suprema integrazio­ne permettere il verificarsi di una catastrofe che stava per colpire l’intero pianeta?

Com’era complicata la natura degli esseri umani, bisognava dimostrar loro… forse in modo dramma­tico, la condizione di schiavitù in cui si trovavano. L’ape regina si agitava fra il fresco terriccio, inci­tata all’azione dalle sue api guardiane. Il contatto unificativo attraversò tutte le parti del corpo alla ricerca di quelle superstiti, distribuendo forze. Questa volta avevano imparato nuovi sistemi per sfuggire all’attenzione degli esseri umani. Gli scia­mi successivi avrebbero fatto buon uso di questa conoscenza. Alla fine uno di loro si sarebbe messo in contatto con la città situata nei pressi del Rio delle Amazzoni, dove sembrava avesse origine la di­struzione totale.

Uno di loro doveva farlo.

CAPITOLO SECONDO

Nuvole di fumo color pastello galleggiavano nell’a­ria del cabaret. Ognuna, che fungeva da contrasse­gno, si alzava da un orifizio situato al centro di ciascun tavolo: qui un viola pallido, di fronte un rosa delicato come la pelle di un neonato, là un verde che ricordava la garza indiana tessuta con erbe della pampa. Erano le nove di sera e il caba­ret A’Chigua, il migliore di Bahia, aveva appena ini­ziato lo spettacolo. Un suono di campane tintin­nanti aveva intonato le prime note di un ritmo sen­suale, dando il via a un gruppo di ballerini in posa, ciascuno avvolto in un costume stilizzato raffigu­rante una formica. Le finte antenne e le mandibole ondeggiavano attraverso le nuvole di fumo.

I clienti abituali dell’A’Chigua occupavano dei bassi divani. Le donne, splendenti di colori tropica­li vivaci come fiori della giungla, sedevano di fron­te agli uomini vestiti di bianco e qua e là, come punti interrogativi, spiccavano le candide uniformi dei bandeirantes. In questa zona Verde, i bandeirantes potevano rilassarsi e divertirsi dopo aver presta­to servizio nella giungla Rossa o alle barriere.

Un cicaleccio continuo in una dozzina di lingue diverse aleggiava nel locale.

«Stasera mi è capitato un tavolo rosa. È il colore del seno delle donne, non è vero?» «Così ho co­sparso il formicaio con una schiuma insetticida e l’ho vuotato completamente… era pieno di formi­che come quelle della Piratininga. Dovevano essere dieci o venti miliardi.»

La dottoressa Rhin Kelly era rimasta in ascolto per una ventina di minuti, la sua attenzione era sempre più attratta dalle tensioni e dagli stati d’a­nimo di cui era carica l’atmosfera.

«Già, il nuovo metodo di disinfestazione…» fece un bandeirante seduto a un tavolo alle sue spalle che stava affrontando il problema dei superstiti «… contro gli insetti più resistenti. L’operazione di ripulitura finirà con l’essere un lavoraccio manua­le, proprio come in Cina, dove sono costretti a uc­cidere gli ultimi insetti con le mani».

Rhin udì il suo compagno rigirarsi sul divano e pensò: Deve aver sentito. Levò lo sguardo al di so­pra della colonnina di fumo color ambra e incon­trò gli occhi a mandorla del suo accompagnatore. Lo vide sorridere e pensò, come aveva già fatto al­tre volte, che questo dottor Travis Huntington Chen-Lhu era un «personaggio» veramente distinto.

Era alto, con un viso squadrato dalla carnagio­ne olivastra, sormontato da una massa di capelli ta­gliati corti, ancora neri nonostante la sessantina. Si piegò verso di lei e bisbigliò: «Non c’è modo di evitare le chiacchiere, eh?»

Lei scosse il capo, domandandosi forse per la de­cima volta come mai una persona di riguardo co­me il dottor Chen-Lhu, direttore di zona dell’Orga­nizzazione Internazionale di Ecologia, avesse insi­stito ad accompagnarla là quella sera, la sua pri­ma sera a Bahia. Non si faceva illusioni sul motivo per cui l’avesse invitata a lasciare Dublino: senza dubbio aveva un problema da risolvere che richie­deva l’intervento dei servizi di spionaggio dell’OIE. Come al solito, il problema avrebbe finito con l’im­plicare la manipolazione di qualcuno. Chen-Lhu glie­ne aveva accennato brevemente quel giorno stesso. Ma doveva ancora pronunciare il nome dell’uomo che lei avrebbe attirato con l’inganno.

«Si dice che certe piante muoiano per mancanza di impollinazione.» Adesso era una donna alle sue spalle che parlava e Rhin si irrigidì. Una conversa­zione pericolosa, quella.

Ma il bandeirante dietro di lei disse: «È meglio se tieni la bocca chiusa, bambola. Parli come quel­la signora che hanno pizzicato a Itabuna».

«Quale signora?»

«Una che distribuiva volantini dei Carsonites, proprio nel villaggio oltre la barriera. La polizia l’ha bloccata prima che potesse sbarazzarsi di una ventina di opuscoli. Gran parte del materiale è sta­to recuperato in tempo prima che potesse diffon­dersi, sai come vanno a finire queste cose, special­mente là, vicino alla zona Rossa.»

Del chiasso, proveniente dall’entrata, disturbò l’atmosfera del locale. Si udì una voce che gridava: «Johnny, ehi Johnny! Fortunato te!»

Rhin e gli altri clienti volsero lo sguardo in dire­zione delle voci e Rhin notò che Chen-Lhu fingeva indifferenza. Vide che anche i bandeirantes erano rimasti fermi ai loro posti come bloccati da una for­za misteriosa.

Ritto davanti a loro c’era un bandeirante che por­tava, attaccato al risvolto della giacca, un distintivo d’oro da capogruppo, raffigurante una farfalla. Rhin lo studiò con improvviso interesse e notò che era un uomo di media statura, dalla carnagione scura e dai capelli neri ondulati; era tarchiato, ma si muoveva con una certa agilità. Il suo corpo, che sprigionava forza, contrastava col viso magro e ari­stocratico, dominato da un naso sottile con una gibbosità pronunciata. Evidentemente i suoi ante­nati annoveravano senhores de engenho.

Rhin lo definì «di una bellezza brutale». Anco­ra una volta notò l’atteggiamento indifferente di Chen-Lhu e pensò: Ora capisco perché siamo qui.

Quel pensiero la rese stranamente consapevole del proprio corpo. Provò una momentanea sensa­zione di repulsione per il suo ruolo, mentre pensa­va: Mi sono data da fare e mi sono venduta per essere qui in questo momento. E che cosa mi ri­mane? Nessuno voleva le prestazioni professionali di Rhin Kelly, entomologo. Ma Rhin, una bellezza irlandese, era una donna che traeva piacere da «al­tre» sue prestazioni… questa Rhin Kelly era molto richiesta.

Se non mi piacesse questo lavoro, forse non l’o­dierei tanto, pensò.

Sapeva di non passare inosservata in quel luogo pieno di donne indigene dalla pelle scura. Aveva i capelli rossi, gli occhi verdi, la carnagione delicata punteggiata di lentiggini. In quel locale, vestita con un abito lungo che si armonizzava col colore dei suoi occhi e con un distintivo dorato dell’OIE ap­puntato sul petto, in quel locale, rappresentava il tipo esotico.

«Chi è quell’uomo all’ingresso?» chiese.

Un sorriso simile al soffio di una leggera brezza increspò i lineamenti finemente cesellati di Chen-Lhu. Lanciò uno sguardo verso l’entrata. «Quale uo­mo, mia cara? Ce ne sono almeno… sette.»

«Smettila di fingere, Travis.»

Gli occhi a mandorla si posarono su di lei, quin­di ruotarono verso il gruppo che sostava all’entrata. «È Joao Martinho, jefe degli Irmandades e figlio di Gabriel Martinho.»

«Joao Martinho», fece lei. «Deve essere quello di cui mi hai parlato, che dovrebbe aver carta bian­ca per ripulire la Piratininga.»

«Ha già avuto il denaro, mia cara. Per Johnny Martinho, è ciò che conta di più.»

«Quanto?»

«Ah, che donna pratica», disse lui. «Si sono spar­titi cinquecentomila cruzados.» Chen-Lhu si appog­giò allo schienale del divano, aspirò l’aroma pun­gente dell’incenso che si levava dalla colonnina di fumo del loro tavolo. Pensò: Cinquecentomila! Sa­ranno sufficienti per distruggere Johnny Martinho… se riesco a dimostrare le mie ragioni contro di lui. E con Rhin, come potrei fallire? Questo branco di idioti di Bahia sarà ben felice di accogliere una don­na affascinante come Rhin. Sì, avremo presto il no­stro capro espiatorio: Johnny Martinho, il capita­lista, il gran senhor addestrato dagli yankee.

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