— Una brutta abitudine — rispose Devan riferendosi al fumo — pure adoro questa abitudine.
Betty si fece sentire. — Anch’io — aggiunse — l’adoro.
— Può darsi che si riesca a trovare delle foglie di tabacco da qualche parte — disse il dottor Costigan.
— Personalmente, io vorrò una pipa — intervenne Orcutt. — E voi le vostre sigarette.
— Non sapete cosa state dicendo — si inserì Sam Otto — le sigarette sono roba per signorine. Sigari ci vogliono.
— Vorrei sapere che gusto ci provate — gli disse Devan — non ne accendete mai uno.
Il dottor Costigan ristabilì il silenzio. — Signori — gridò. — C’è qualcosa di più importante di cui discutere del tabacco. L’acquavite. Spero di trovare una vite selvaggia da qualche parte. Che cosa sarebbe mai la vita senza questa soddisfazione?
Era solo un piccolo rifugio di tronchi e d’erba. Anche il suolo era coperto d’erba, e una certa quantità di questa serviva pure per coprirli, dando loro, unitamente al piccolo fuoco acceso, un po’ di benessere.
— Devan, torneremo indietro un giorno?
Betty stava distesa con lo sguardo rivolto al fuoco. Spirava una brezza primaverile, piena di promesse. Intorno non si udiva altro rumore che lo scoppiettio dei ceppi accesi.
— Non so, Betty, non abbiamo ancora cominciato. Ci sono molti problemi da risolvere, oltre a quelli per l’esistenza che ci si presentano giorno dopo giorno, tanto più ardui per noi, gente di città, della soluzione di quelli posti dalla costruzione dell’Ago.
— Per esempio?
— Abbiamo bisogno di carta su cui annotare i nostri problemi, il dottor Costigan ne ha bisogno per i diagrammi. Inoltre, cosa succederebbe se lui morisse? Non potremmo più tornare.
— Non ci avevo pensato.
— E l’elettricità? Come potremo ottenerla?
— Ci riusciremo.
— E poi la cosa finale.
— La cosa finale?
— È giustissimo quello che Costigan dice di invertire la polarità e, in linea di massima, dovremmo tornare da dove siamo venuti; ma supponiamo di andare a finire invece in qualche altra parte?
Betty sospirò. — Forse Sudduth ha ragione dopo tutto. L’unica cosa che dovremmo fare ora è di abbandonarci nelle mani di Dio, che si prenda cura di noi. Forse tutto quello che stiamo facendo non creerà altro che preoccupazioni e dolori.
Devan scosse il capo. — Non credo che Sudduth abbia ragione. C’è anche l’ammonimento che Dio aiuta coloro che si aiutano. E se noi non ci dessimo da fare, e non ci creassimo occupazioni, la vita qui sarebbe molto più penosa. Cosa sarebbe accaduto se Orcutt non avesse preso in mano le redini della situazione, dandoci così uno scopo?
— Sarebbe stato spaventoso.
Il caldo sole di giugno inondava di luce le rocce e un venticello tiepido passava tra le foglie nuove e i fiori che oscillavano dolcemente; e dappertutto sulla spiaggia, nei boschi, sulla distesa di erba, fino a poca distanza dalla riva del lago, si lavorava intensamente. C’era ancora molto da fare, lavoro per tutta l’estate.
Anche gli uccelli sui rami erano in movimento, come lo erano i loro lontani parenti, le galline e i galli, nei prati. I castori uscivano dai loro rifugi e scrutavano l’acqua. I tacchini intorno si dondolavano, e anche per le volpi e i lupi la fame del lungo inverno era finita.
Dalle costruzioni di legno e mattoni si alzavano verso il cielo colonne di fumo che uscivano dai camini, segno che era appena stato preparato il pranzo. Ora gli uomini erano tornati fuori al lavoro, nei campi, nei boschi, a costruire, mentre le donne, rigovernata la cucina, tornavano alle loro occupazioni particolari, agli arcolai, ai telai, agli asili, alle scuole.
C’era solo una grossa colonna di fumo che non proveniva dai camini, ma si alzava da una costruzione a nord, nella quale Devan Traylor, sudato e col volto annerito dal fumo, azionava con energia disperata un mantice.
Vicino a lui si dava da fare un uomo biondo e robusto, i cui muscoli si alzavano e si abbassavano con ritmica regolarità, senza che apparentemente sembrasse fare alcuna fatica. — Non dobbiamo poi ammazzarci — stava dicendo quest’ultimo. — Riusciremo ad avere abbastanza aria, attraverso questi condotti di argilla, vedrete.
— Benone, Gus — disse Devan — non vogliamo che il ferro diventi così caldo da scendere da solo. Dovresti sapere quello che stai facendo.
— Io non lavoravo molto vicino ai forni a Gary — rispose — ma ne sapevo più di quanto si immaginassero. Sino a che il ferro non diventa troppo caldo, noi siamo a posto. Lasciate che regga io i due mantici.
Devan si fermò di buon grado a riprendere fiato, osservando con occhio attento il forno. — Ci vorrà altro carbone, Gus, che ne pensi?
— Non credo — rispose il grosso uomo — magari solo un pochino, una sola palatina.
Devan prese con la pala un po’ di carbone e lo gettò nella pila incandescente. Quindi si offrì di sostituire per un momento Gus ai mantici, ma lui scosse la testa e sorrise.
Il ferro che stavano lavorando era il migliore che Devan e Gus avessero ottenuto sinora. All’inizio Devan aveva richiesto dei volontari che cercassero una cava di minerale grezzo; molti interruppero ciò che stavano facendo e si divisero a gruppi in tutte le direzioni per cercare. I primi rapporti riguardavano solo gli animali che erano stati avvistati, alcuni orsi fuggiti nel sottobosco al loro apparire, qualche volpe e qualche lupo (un uomo disse di aver visto un bufalo e qualche cerbiatto).
Un altro uomo avvistò la colonia degli accoliti di Sudduth sistemata a circa venti miglia a sud del lago, in cave calcaree. Disse, pur non essendosi avvicinato di molto, che i “Sudduthiti” avevano preso assai seriamente la faccenda del nudismo, nel quale Sudduth aveva visto, dopo il passaggio dall’Ago e la perdita generale degli abiti, un segno del volere di Dio. Anzi questo improvvisato reporter fu poi preso in giro dagli amici, insospettiti dalle dichiarazioni su cose viste — stando a quanto lui stesso disse — a distanza. Lo scherzò finì in rissa.
Infine alcuni uomini trovarono il rosso minerale dove meno si aspettavano di trovarlo, vicinissimo al campo e quasi in superficie. Cominciarono a lavorarlo nel vecchio modo, caricandolo dapprima su traini di legno, che trascinavano poi lungo il terreno, fin tanto che non si poté fabbricare un vero carro con le ruote.
Devan fece il primo tentativo di estrarre il ferro, da solo, in una fornace allestita all’aperto, mentre soffiava un vento gelido e Betty gli stava accanto per incoraggiarlo. Dopo diversi giorni fu possibile spegnere il fuoco e Devan con orgoglio poté presentare la massa di ferro estratto. Era soffice e malleabile e senz’altro sproporzionato all’enorme fatica fatta da Devan, ma era all’inizio.
Un mattino, un uomo che sino a quel momento si era occupato della caccia e della pesca, si fermò a osservare i lavori. Era Gus Nelson. — Perché non cercate di costruire un altoforno? — aveva chiesto a Devan.
— È quello che penso di fare — aveva risposto Devan — ho voluto però fare alcune prove per vedere cosa si potesse concludere con un’attrezzatura così elementare.
Poi, osservando la possente muscolatura dell’uomo, le sue larghe spalle e l’onesto azzurro dei suoi occhi, chiese al giovane: — Ehi ragazzo, perché invece di star lì a dar consigli non mi dai una mano?
— Preferisco pescare — rispose con un sorriso luminoso.
— Piacerebbe anche a me. Ma abbiamo bisogno di ferro. Com’è la pesca?
— Abbastanza buona.
— Potrebbe anche andar meglio.
— E in che modo?
— Con gli uncini. Di ferro. — Devan vide che il ragazzo appariva interessato e continuò: — Ci occorrono arpioni. Punte d’acciaio per le frecce. Coltelli per scorticare. Perché non ci stai anche tu? Traylor Nelson, il più vicino concorrente all’acciaio U.S.A. da questa parte dell’Ago.
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