Aprì un cassetto della scrivania e la sua dura faccia di sciolse.
«Ecco un buon sigaro, Barbee.»
La sua voce s’era fatta di nuovo calda e cordiale. «Qui c’è tutta la pratica Walraven. Voglio una serie di articoli biografici. La giovinezza di duri stenti, laboriosa, l’eroismo degli anni di guerra, le opere di beneficenza segreta, la felice vita domestica, le sue prestazioni ispirate al più alto senso patriottico durante la sua attività a Washington. E tralasci tutto quanto possa dispiacere agli elettori.»
Che è parecchio, pensò Barbee. E ad alta voce:
«Benissimo, Presidente».
Ritornò al suo tavolo nella sala cronaca del giornale e cominciò a esaminare i ritagli che gli aveva dato il Presidente. Ma sapeva troppe cose di quelle che i ritagli tacevano, delle obbligazioni emesse per l’impianto di fognature cittadine e dello scandalo dell’autostrada, e perché la sua prima moglie lo aveva lasciato. Era difficile concentrarsi sull’insipido compito di riverniciare a nuovo un uomo simile per il Senato, e si accorse di fissare al di sopra della macchina per scrivere l’immagine sottile di un lupo che, su un calendario, ululava alla luna, e di pensare con nostalgia alla meravigliosa libertà, al potere straordinario che aveva goduto in sogno.
Al diavolo anche Walraven.
Barbee capì che era assolutamente necessario per lui arrivare alla conoscenza dei fatti che stavano sotto la morte di Mondrick, la follia di Rowena e l’assurda confessione di April Bell. Se poi lui non faceva altro che trarre pazzesche fantasie dal whisky e da una serie di coincidenze, tanto valeva saperlo. Diversamente... anche la pazzia, in fin dei conti, era preferibile all’insopportabile tran-tran d’un cronista dello Star.
Cacciò il materiale Walraven alla rinfusa in un cassetto, e tratta la sua auto dal parcheggio percorse tutta Center Street verso l’università. Non riusciva a capire perché il caso Mondrick non rientrasse nella «linea» del giornale: non c’era mai cosa, prima, che fosse abbastanza sensazionale per Preston Troy. A ogni modo, giornale o non giornale, lui doveva sapere che cosa ci fosse, in quella cassa. Fermò la macchina davanti alla villetta di Sam Quain: aveva esattamente lo stesso aspetto che aveva avuto nel sogno, c’era perfino il secchiello di latta arrugginito, con la paletta di Pat che aveva visto durante la notte sul mucchio di sabbia per i giochi. Picchiò, cercando di vincere il malessere che lo dominava, e Nora venne ad aprire dalla cucina dove stava lavorando.
«Oh, Will... avanti!»
Una blanda sorpresa le dilatava gli occhi azzurri, un po’ sbattuti, parve al giornalista, e con le palpebre gonfie, come se non avesse dormito bene. Non poté fare a meno di fiutare l’aria, timoroso di percepire l’atroce fetore che doveva emanare dalla cassa chiusa dello studio. Ma nell’aria aleggiava solamente il caldo aroma dell’arrosto che Nora aveva messo nel forno.
«Sono venuto a cercare Sam per intervistarlo ancora sulla spedizione e su quello che hanno trovato nell’Ala-shan.»
La donna aggrottò la fronte.
«Meglio non pensarci più, Will», rispose a disagio. «Sam non vuole parlarne con nessuno, nemmeno con me. Io non so che cosa abbiano portato in quella misteriosa cassa e Sam non ti direbbe niente.»
«Dov’è Sam adesso?»
«È andato all’Istituto. Ha un gran da fare, là, perché, mi ha detto, stanno impiantando un nuòvo laboratorio. Ha telefonato all’Istituto, quando si è svegliato questa mattina tutto impensierito, e Nick e Rex sono venuti a prendere lui e la sua cassa con una giardinetta. Non ha fatto nemmeno colazione.»
Nora guardò Barbee con occhi imploranti. «Mi ha detto di stare tranquilla», riprese, «ma io sto tanto in pensiero. Poco fa ha telefonato per avvertirmi che questa sera non verrà a casa. Immagino che si tratti di una grande scoperta, che li renderà tutti famosi quando sarà resa nota, ma non riesco a capire il loro modo di fare. Sembrano tutti così... spaventati!» Si scosse, e riprese in tono più allegro: «Speriamo almeno che Rex dirà...». E s’interruppe, come chi ha parlato troppo.
«Dirà che cosa?», insistette Barbee.
«Sam mi ha detto di non parlarne a nessuno...» Torse il grembiule con le mani arrossate dal bucato. «Mi fido di te, Will, ma davvero non avrei dovuto parlarne... Promettimi almeno che non lo pubblicherai.» Un’ombra di terrore le incupì gli occhi. «Oh, Will, sono così sconvolta... non so che cosa fare.»
Barbee le batté la mano sulla spalla grassoccia, tranquillizzante: «Non stamperò nulla di quello che mi dirai», promise.
«Sai, non è molto, a dir la verità», riprese lei in tono di gratitudine. «Semplicemente che Sam ha rimandato qui Rex, stamattina, a prendere la nostra macchina. Dovevo portarla al garage per farle stringere i freni. Sembra che Rex, mi ha detto Sam al telefono, debba andare con la nostra macchina a State College, stasera, a fare un discorso alla radio.»
«Su che cosa?»
«Non lo so... Sam mi ha solo detto che l’Istituto si è accordato con la radio per una trasmissione speciale, stasera. Mi ha pregato anzi di stare in ascolto al nostro apparecchio. Ma di non parlarne a nessuno. Io spero proprio che questa sera spiegheranno un poco tutti questi misteri. Tu non ne parlerai, vero, Will?»
«Stai tranquilla. Oh, buongiorno, Pat, come stai?»
La piccola Patricia uscì lentamente dalla nursery e s’attaccò alla mano della madre. I suoi occhi azzurri erano più arrossati di quelli di Nora e il suo visetto s’era composto come in una ferma espressione di non voler piangere più.
«Sto bene, signor Will, grazie.» La sua vocina rivelò lo sforzo di non spezzarsi. «Lo sa? Il mio povero Grillo, lo hanno ammazzato questa notte.»
Barbee sentì un gelido vento soffiare dalle tenebre della sua mente. Tossì per nascondere un sussulto di terrore.
«Oh, ma è terribile!», disse. «E com’è stato?»
Gli azzurri occhioni umidi tremarono.
«Sono venuti due grossi cani, questa notte, uno bianco e uno grigio, per portare via la cassa del papà nello studio. Il povero Grillo è uscito per fermarli e allora il grande cane grigio lo ha ucciso.»
Muto e sconvolto, Barbee si volse a gardare interrogativamente Nora.
«Questo è quanto va ripetendo la bambina», rispose, con voce stanca. «Certo, il suo cagnolino è morto. Lo abbiamo trovato sul mucchio di sabbia questa mattina, proprio dove Pat mi aveva detto di guardare, quando si è svegliata piangendo.»
La spalla della donna si alzò in un gesto d’impotenza davanti all’inesplicabile.
«Io, a ogni modo», insistette risolutamente, «sono convinta che la povera bestiola sia stata travolta da un’automobile. Ci sono di quegli studenti che la notte guidano la macchina come forsennati. Probabilmente, Grillo si è trascinato fin sul mucchio di sabbia e Pat deve averlo udito gemere.»
«No, mammina, no!», protestò la piccola. «È stato quel grande cane grigio, che è venuto con un bel cane bianco, quando li ho sognati. Anche papà ha detto che era vero.»
Nora accarezzò il volto della figlia, e rivolgendosi a Barbee:
«Il fatto è che Sam è diventato pallido come un cencio, quando la bambina ha raccontato il suo sogno, ed è corso subito nello studio a vedere la cassa». Lo guardò preoccupata: «Sei pallido, Will... non ti senti bene?».
«Ho fatto anch’io un sogno piuttosto buffo», disse Barbee cercando di sorridere. «Dev’essere stato qualcosa che m’è rimasto sullo stomaco. Be’, ora farò un salto all’Istituto e cercherò di vedere Sam.» Pose una mano sulla schiena rotonda della piccola. «Mi dispiace proprio tanto per il povero Grillo, sai, cara?»
La bimba si ritrasse di scatto di sotto alla sua mano e andò a nascondere il visetto rattristato dietro la gonna della madre.
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