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Bob Shaw: Cosmo selvaggio

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Bob Shaw Cosmo selvaggio

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Un’astronave stellare da esplorazione spedisce su un pianeta sconosciuto sei moduli di atterraggio e ne vede tornare sette. Su quel pianeta c’и chiaramente “qualcosa che non va”… Ma nelle zone piщ remote e selvagge del Cosmo, si sa, le cose non vanno mai perfettamente lisce e gli esploratori devono sempre stare in guardia, devono sempre aspettarsi di tutto. Giustamente Bob Shaw ha messo in epigrafe alla strabiliante saga dell’astronave “Sarafand” questi memorabili versi di R. L. Stevenson: “Per il Cosmo strano e selvaggio me ne vado, da eterno straniero. Il mio amore sono le tue strade e i brillanti occhi del pericolo”.

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Scrollò le spalle, come per liberarsi di un fardello invisibile, raggiunse l’ingresso dell’hangar e scese la lunga rampa d’accesso fino a un campo familiare, pieno di sole. In vent’anni era sceso dalla stessa rampa migliaia di volte, accolto dagli orizzonti di pianeti sconosciuti; eppure, questa volta, il senso di estraneità era ancora più grande. Aveva un’idea abbastanza chiara di quello che lo attendeva: l’elemento sconosciuto era dentro di lui. Aveva dato le dimissioni, e grazie alle circostanze particolari, erano state accettate quasi immediatamente. Questo lo poneva di fronte al problema di non avere più problemi, di dover vivere come vivevano gli altri uomini, di non essere più uno straniero volontario.

— Salve, Dave! — Al Gillespie era intento a pulire meticolosamente il lunotto di una macchina presa a noleggio. Sorrise a Surgenor. — Vuoi un passaggio in città?

— Grazie, ma preferisco camminare. — Surgenor si schermò gli occhi dal sole, scrutando una catena di colline azzurre, verso est. — Ho intenzione di arrivarci a piedi ai posti dove voglio andare.

— Ti stancherai presto.

— Credi?

Gillespie diede un colpo finale e superfluo alla macchina. — Sono pronto a scommetterci. Ricordi tutte quelle case che ha detto il Commissario alla TV stamattina, a proposito di navi fornite di speciali pesi spostabili al loro interno? Progettate per entrare nei vortici e permettere agli scienziati di dare un’occhiata all’universo? Scommetto che quando ne avranno costruito una, ti offrirai volontario per il viaggio.

Surgenor avvertì un brivido di freddo nella spina dorsale, che però svanì immediatamente. — Forse ci sarai tu su quella nave — disse con un sorriso. — Ma non io.

— Arrivederci, Dave — disse Gillespie, con l’aria di chi la sa lunga. Entrò in macchina e si diresse verso gli edifici amministrativi, che apparivano in lontananza con colori pastello, nel sole pomeridiano.

Surgenor lo guardò allontanarsi, poi rivolse l’attenzione alla massa torreggiante della nave. I lavori per smontare i quattro alettoni triangolari, che contenevano parte del sistema di propulsione, erano già cominciati. Le robogru circondavano la Sarafand come insetti intenti a smembrare una vittima molto più grande ma inerme, e l’aria era piena dei loro cigolii idraulici. Surgenor trovò spiacevole quello spettacolo. Aveva sperato che conservassero la nave intatta, forse come un pezzo da museo, ma per questo sarebbe stato necessario trasportarla più vicino al centro della Bolla, e l’Ufficio per la Sicurezza Spaziale l’aveva dichiarata inadatta al volo.

Sentendosi alquanto fuori posto, fra le squadre di operai e di tecnici che salivano e scendevano la rampa, Surgenor bighellonò sullo spiazzo di ferro-cemento finché non vide quello che aspettava: la figura alta, con la schiena dritta, di Christine Holmes che emergeva dall’ombra dell’hangar. Aveva avuto poche occasioni di vederla durante le frenetiche settimane seguite all’atterraggio su Delos, ma sapeva che, approfittando di alcune clausole speciali, anche lei aveva abbandonato il Servizio. La donna scese dalla rampa con passo elastico, la sigaretta fra le labbra, la borsa sulle spalle, con aria sicura di sé, e Surgenor avvertì una trepidazione improvvisa per quello che aveva progettato.

— Ancora qui, Dave? — Christine si fermò vicino a lui, accennando con la testa alla gru più vicina. — Non dovresti stare a guardare questo spettacolo, lo sai.

— Non mi disturba. Comunque, stavo aspettando te.

Lei strinse gli occhi. — Perché?

— Volevo offrirti qualcosa da bere.

— Oh? Conosci qualche posto buono?

— Un sacco. Sulla Terra.

— Grazie per l’offerta, Dave. Ma… no, grazie. — Si sistemò la borsa sulle spalle e gli passò a fianco. — Non sono così assetata come credevo.

Surgenor le bloccò la strada. — Era una proposta sincera, Chris. Merita almeno una risposta sincera.

— Te l’ho già data. “No” è una risposta. — Christine sospirò, gettò a terra la sigaretta e la schiacciò sotto il tacco. — Senti, Dave, non voglio essere antipatica; ti ringrazio sinceramente per l’offerta, ma non sarebbe un po’ sciocco? Le storie d’amore di bordo svaniscono sempre nell’aria quando si arriva in porto, e se poi a bordo non c’è stato neppure quello…

Surgenor si rendeva conto che con la loro discussione stavano attirando l’attenzione dei passanti, ma insistette. — Ti sei dimenticata di essere venuta nella mia stanza, quella sera?

— E allora? — Christine fece una risata sarcastica. — Non dirmi che hai approfittato di me, mentre…

— Non parlarmi in questo modo — sbottò Surgenor, prendendola per le spalle, deciso a lanciare il suo messaggio attraverso il baratro di anni perduti che separava le loro vite. — Te lo dico io cosa è successo quella sera, e io lo so meglio di te, perché sono più esperto in fatto di solitudine. Ti sei trovata di fronte a qualcosa che non sapevi come affrontare da sola, e sei venuta da me per aiuto. Ora io mi trovo davanti a qualcosa che non so come affrontare da solo, e…

— E vieni da me per aiuto?

— Sì.

Christine gli prese i polsi e gli staccò lentamente le mani dalle spalle. — Tu sei pazzo, Dave. — Si voltò e si allontanò sul campo polveroso.

— E tu — le gridò Surgenor — tu sei una stupida!

Christine continuò a camminare per una decina di passi, poi si fermò e restò a guardare a terra per un momento, prima di tornare da lui. — Hai un bel coraggio a chiamarmi stupida. Hai idea di cosa ti aspetta, se mi prendi con te?

— No, ma sono pronto a scoprirlo. — Surgenor cercò disperatamente le parole giuste, le parole migliori. — Sarà un nuovo tipo di viaggio, per me. Christine esitò, e lui vide che le tremavano le labbra. — Va bene — disse. — Andiamo.

Surgenor prese la sua valigia, e i due, separati da un breve tratto, si incamminarono verso il perimetro lontano del campo. Il calore improvviso del sole sulla schiena avvertì Surgenor che erano usciti dall’ombra della nave, ma non si voltò a guardarla.

Un autore per tutte le stagioni

di Vittorio Curtoni

Bob Shaw è uno di quegli autori che meriterebbero, e da parecchi anni, molta più fortuna di quella che hanno. Purtroppo per lui, non ha mai scritto grandi best-seller internazionali; nessun regista di grido ha mai tratto un film dai suoi libri; non è in linea con l’attuale tendenza al gonfiaggio dei romanzi, cioè non è il tipo capace di scrivere cinquecento cartelle basate su un’idea che, al massimo, potrebbe reggere un racconto lungo… È, per sua sfortuna (e per grande fortuna dei suoi cinque lettori), un narratore autentico.

Di conseguenza, i suoi libri hanno dimensioni ragionevoli, le sue storie conservano un’esemplare coerenza dalla prima all’ultima parola; e i suoi personaggi hanno un sapore talmente vero da risultare, in più di un’occasione, sgradevoli nella loro nuda realtà umana.

Nato a Belfast nel 1931, laureato in ingegneria meccanica, pubblica il primo racconto nel 1954, ma solo dal 1975 decide di diventare scrittore a tempo pieno. La sua ormai ricca bibliografia comprende romanzi giustamente celebri (all’interno dell’universo degli appassionati di fantascienza, se non altro) come Altri giorni, altri occhi (1972), basato sull’idea del “vetro lento”, un vetro che imprigiona le radiazioni luminose e le restituisce lentamente, fissando quasi per l’eternità le immagini del passato; la trilogia di Orbitsville , iniziata nel 1975, affascinante esplorazione di un mondo artificiale di dimensioni gigantesche, costruito come un guscio attorno alla propria stella; e Luna, maledetta luna , impietosa cronaca dello scontro tra la specie umana e una razza superiore di immortali.

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